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Perchè i ricercatori protestano

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
1 Ottobre 2010
Editoriali //

Proteste ricercatori (ustation.it)
Proteste ricercatori (ustation.it)
NON parlano di vittoria, ma esprimono “viva soddisfazione” i ricercatori universitari apprendendo la notizia del rinvio al 14 ottobre della discussione parlamentare sul ddl Gelmini. Lo slittamento, deciso ieri dalla Conferenza dei capigruppo, rischia infatti di significare la rottamazione della riforma, con comprensibile disapprovazione del ministro dell’Istruzione. Esultano invece Pd e blocco della protesta, i quali fanno notare come lo slittamento coincida con la vigilia dell’inizio della sessione di bilancio. Il ddl Gelmini non potrà quindi essere votato se non al termine della sessione di bilancio stessa, ovvero, nell’ipotesi migliore, a dicembre.

Tra i più attivi nell’opposizione alla famigerata riforma, i ricercatori di Rete 29 aprile e di Cnru (Coordinamento ricercatori universitari), che lo scorso 28 settembre erano stati tra le sigle presenti all’audizione parlamentare alla Commissione VII della Camera sul ddl. Oggi i referenti di Rete 29 aprile auspicano che “il governo sfrutti questa pausa di riflessione imposta, con senso di responsabilità e saggezza, dalla Camera dei Deputati per dare ascolto al mondo universitario e non solo ai rettori e per dare avvio a una riscrittura radicale di questo disegno di legge“. Una “riforma condivisa, partecipata, responsabile“, è quel che chiedono a gran voce.

Da diversi mesi è in atto una protesta ( a cui i media sono poco interessati, lamentano gli stessi ricercatori) che vede riuniti ricercatori, a tempo determinato e non, ma anche docenti e studenti, contro quella che viene definita “una legge indecente che smantella l’università pubblica e ne consegna le briciole in mano ai rettori e alle baronìe“.

Quel che viene chiesto non è la conservazione dello status quo. Il no al ddl Gelmini è accompagnato da proposte concrete, perchè di una riforma del settore c’è bisogno, è stata l’affermazione comune delle sigle presenti all’incontro in Parlamento. Ma la riforma deve essere “ben diversa dall’attuale proposta in discussione alla Camera”, e a tale necessità si aggiunge “l’urgenza di un congruo intervento finanziario per evitare il tracollo del sistema universitario italiano nel 2011“.
Tra i rischi insiti nel ddl Gelmini, secondo i ricercatori, dunque i finanziamenti al sistema (che passeranno dai 7,5 miliardi di euro del 2008 a 5 miliardi di euro nel 2013, con un taglio di 1/3 delle risorse), ma anche la precarizzazione a vita dei ricercatori stessi (un giovane ricercatore ad inizio carriera, con uno stipendio mensile di 1200 euro, subirà un taglio del 23%), la verticizzazione degli organi di governo degli atenei, la mancanza di seri interventi in materia di diritto allo studio, il blocco del turn over (ogni 5 professori anziani che vanno in pensione verrà assunto 1 giovane ricercatore).


TUTTI INDISPONIBILI (ALLO SFRUTTAMENTO) – Da qui la decisione di una forma clamorosa di protesta, che miete adesioni in tutta Italia: l’indisponibilità. Dirsi indisponibili a fare lezione e a tutte le altre attività svolte finora gratuitamente (“per spirito di servizio”, o “servizio di volontariato”, come scritto efficacemente dal dottor Paolo Guiotto dell’Università di Padova) significa, e i ricercatori lo sanno bene, il blocco della didattica, ed è quanto sta avvenendo col rinvio dell’inizio dell’anno accademico in vari atenei dello Stivale.

“Indisponibilità” alla didattica non obbligatoria da parte di chi è stato per decenni il pilastro fondante nel sistema universitario italiano (i cui corsi sono nella maggior parte dei casi affidati proprio ai ricercatori) e ora si vede messo in esaurimento dal ministro Gelmini entro il 2013. Si contano circa 24mila ricercatori assunti a tempo indeterminato e almeno il doppio sono i contrattisti, gli assegnisti, i borsisti, tutti precari.

E all’accusa di scarsa responsabilità, il CRUP (Coordinamento dei Ricercatori delle Università Pugliesi) risponde affermandone l’inaccettabilità: “i ricercatori in agitazione rifiutano di diventare, assieme ai precari, le vittime sacrificali di un disegno di legge contraddittorio, potenzialmente lesivo del diritto allo studio, e che rischia di estendere i meccanismi clientelari che dice di voler combattere”. Interesse è invece espresso verso il progetto di Federazione delle Università di Puglia, Basilicata e Molise, “che potrebbe costituire un importante argine alla crisi finanziaria e una leva per il rilancio degli atenei e del sistema della ricerca”.

QUI PUGLIA, LA PAROLA AI RICERCATORI – In Puglia solo l’Ateneo di Lecce (Università del Salento) ha aderito formalmente alla protesta di Rete 29 aprile. Gli Atenei di Bari e Foggia sono comunque a loro volta mobilitati pur senza adesione formale.

L’INTERVISTA CON IL FISICO DI BARI MARCELLO ABBRESCIA – Stato ha contattato il fisico Marcello Abbrescia, referente di Rete 29 aprile e di CRUniBA, il coordinamento dei ricercatori dell’Università di Bari.

Stato: “Qual è lo stato della protesta dei ricercatori in Puglia?”
Abbrescia: “Il Senato Accademico dell’Università di Bari ha recentemente deciso di rinviare l’inizio delle lezioni; il Politecnico di Bari ha fatto altrettanto. In effetti lo svolgimento regolare dell’intero anno accademico nelle università pugliesi, ed in molte università italiane, è seriamente a rischio“.

S.: “Quali sono le ragioni?”
A.: “Una delle ragioni è che moltissimi insegnamenti nei vari corsi di laurea sono rimasti senza un docente, a causa del fatto che i ricercatori che li avevano tenuti finora hanno deciso di non rinnovare il loro impegno didattico nella stessa forma anche quest’anno. In Italia i ricercatori che hanno dichiarato la loro indisponibilità ammontano a circa 10.000, su un totale di 24.000. A Bari, si parla di poco meno 600 ricercatori su un totale attorno a 820, e parecchie centinaia di corsi sono ancora vacanti”.

S.: “Ma i ricercatori possono attuare questa forma di protesta?”
A.: “Il ruolo dei ricercatori è stato istituito nel 1980, e costituisce il primo gradino, ed il più basso gerarchicamente, della carriera universitaria. Come dice il nome, compito primario di questa categoria è la ricerca. In effetti, i ricercatori italiani sono molto apprezzati a livello internazionale. Benché in Italia la ricerca sia finanziata in misura molto minore che in altri paesi, ed il numero stesso dei ricercatori sia ridotto rispetto alla media europea, la produzione scientifica dei ricercatori italiani è di primissimo livello, come testimoniano gli indici di rilevazione oggettivi. I nostri giovani sono ambiti dalle università ed istituti di ricerca stranieri, e sempre più spesso trovano ottime possibilità di carriera all’estero e vi si stabiliscono, il che costituisce un’enorme perdita per il nostro Paese.

Man mano che l’università si è espansa, in particolare negli anni ’90 ed i primi anni 2000, è aumentato il numero delle sedi e degli studenti, e i ricercatori hanno ricoperto sempre più spesso incarichi didattici. La grandissima parte delle volte lo hanno fatto in maniera gratuita, non obbligati a farlo (il loro incarico primario è la ricerca) aggiungendo questo compito a quelli che già svolgevano, motivati dall’entusiasmo di comunicare agli altri i contenuti del loro lavoro, e per senso di responsabilità, in quanto, di fronte all’aumentato fabbisogno di didattica, il personale docente non era stato incrementato a sufficienza. Adesso hanno deciso di ritornare a fare l’unica cosa per la quale sono stati assunti: ricerca, più ricerca, e meno di quel volontariato gratuito e non riconosciuto che hanno fatto per anni”.

S.: “Tutto questo perché sono contrari alla riforma Gelmini?”
A.: “Dire che i ricercatori sono “contro” qualcosa sarebbe troppo riduttivo; al contrario, essi sono coscienti che il sistema universitario debba essere riformato. Il motto della Rete29aprile, il più grande coordinamento dei ricercatori a livello nazionale è: “Ricercatori per una università pubblica, libera, aperta”. E aggiungerei, moderna, che premi il merito, che riesca a dare alcune risposte alle esigenze degli studenti e della società nel suo complesso.

Il problema è che tutto il sistema universitario italiano sta attraversando un periodo di crisi; in primis perché i finanziamenti sono stati drasticamente ridotti già da diversi anni, andando in controtendenza con ciò che si fa negli altri paesi europei. Poi perché viene ridotto il turn-over, cioè i docenti e ricercatori che vanno in pensione non possono essere rimpiazzati, tagliando ancora di più un organico già ridotto. Inoltre, l’ultima finanziaria riduce gli stipendi, colpendo il particolare i più giovani all’inizio della loro carriera, il che riduce l’appeal della ricerca per molti studenti brillanti, che cercheranno lavoro altrove.

Infine, un punto importante da rilevare è che questa riforma è stata fatta senza interpellare alcune delle componenti stesse dell’università, e non eliminerà alcuni dei problemi che vuole affrontare. Per esempio, si teme che il potere decisionale sarà concentrato nelle mani di pochi; per esempio gli organi di governo delle università e le commissioni di concorso, dopo la riforma, saranno appannaggio solo dei professori ordinari, che rappresentano meno di un terzo del personale dell’università, e lo stesso meccanismo dei concorsi sarà parzialmente rimpiazzato da quello, molto più discrezionale, della chiamata diretta. E’ per tutto questo che i ricercatori si sono mobilitati in massa, per dare avvio ad un processo di riforma dell’università virtuoso e che scongiuri alcuni dei pericoli a cui accennavo prima”.

S.: “Sono solo i ricercatori a protestare?”
A.: “In realtà sono molte le componenti dell’università che protestano. Protestano intere facoltà, professori associati ed ordinari inclusi, protestano gli studenti, ed i ricercatori precari. Nell’ultima assemblea della Rete29aprile, che si è svolta a Roma il 17 settembre scorso, le rappresentanze di tutte queste categorie erano presenti ed hanno espresso il loro disappunto. I ricercatori hanno iniziato a protestare per primi, e forse in maniera più forte, a dimostrazione che sono una parte estremamente vitale dell’università, e, paradossalmente, sono i più bistrattati dall’attuale progetto di riforma. Infatti i 24.000 ricercatori attuali sono messi ad esaurimento, ed in futuro la loro figura sarà rimpiazzata con un altro tipo di ricercatori a tempo determinato, con un contratto di sei anni di durata massima. Al momento non è previsto alcun meccanismo efficace che possa in qualche modo ricollocare gli attuali ricercatori nel nuovo sistema universitario, e che riconosca gli anni ed anni di lavoro svolto con dedizione e con passione”.

S.: “Cosa succederà adesso?”
A.: “Il decreto Gelmini è in discussione alla Camera. Spetta al Governo ed alle forze politiche tutte dare una risposta alle istanze che sono state presentate dalle categorie che ho nominato prima. Questo, secondo me, è un momento critico in un settore strategico. Nelle università si formano i nostri giovani, e molti di loro fra non molto andranno a svolgere professioni nella quali verrà chiesta altissima competenza, o a ricoprire posizioni delicate e di prestigio all’interno della società. Tutti noi dobbiamo avere a cuore il fatto che queste persone vengano formate nella migliore maniera possibile, e che la nostra università sia di prima qualità, come lo è stato per tanto tempo in passato. La ricerca, poi, è sempre uno dei principali motori del progresso di un paese, e gli investimenti in ricerca sono rivelati i più redditizi nel lungo periodo. Le scelte fatte in questo momento avranno enormi ripercussioni negli anni a venire, cerchiamo tutti di prendere quelle migliori”.

1 commenti su "Perchè i ricercatori protestano"

  1. Noto con stupore che il PD si è svegliato. e chi se lo aspettava più..certo ce n’è voluta di fatica da parte della gente, diciamo che vi hanno un po’ spianato la strada due anni di proteste ma alla fine forse avete capito che qualcosa in questa riforma davvero non va.

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