Giusy Potenza fu uccisa a soli 14 anni, un crimine che sconvolse l’intera nazione. Dopo una notte di ricerche disperate, i genitori ritrovarono il suo corpo sulla spiaggia di Manfredonia, in provincia di Foggia, il 12 novembre 2004. Il cadavere mostrava segni di violenza brutale, con la testa fracassata, colpita da una pietra di circa quattro chili. L’efferato omicidio generò orrore e indignazione. Il cugino di secondo grado di Giusy confessò il crimine e fu condannato a trent’anni di reclusione. Tuttavia, rimangono dubbi sulle circostanze dell’omicidio e sulla possibilità di eventuali complici, con la famiglia di Giusy che continua a chiedere chiarezza e giustizia completa.
Il cugino, Giovanni Potenza, aveva 27 anni all’epoca dei fatti. Nella sua confessione affermò di aver ucciso Giusy per impedirle di rivelare alla moglie la loro relazione. La condanna a trent’anni di carcere arrivò nel 2006, e Giovanni è tuttora in prigione. Anni dopo, ha chiesto perdono alla famiglia, che ha reagito con riserva. Il nonno di Giusy, tramite il proprio legale, dichiarò che sarebbe disposto a perdonare l’assassino solo se questi svelasse l’identità di eventuali complici. La richiesta di perdono è stata vista da alcuni come un possibile tentativo di ottenere benefici penitenziari.
Secondo le ricostruzioni, Giusy e Giovanni si erano appartati in auto nelle campagne di Manfredonia per un incontro intimo. Durante una lite, Giusy avrebbe minacciato di raccontare la loro relazione alla moglie di Giovanni, provocando in lui una reazione violenta. Giovanni la colpì ripetutamente alla testa con una pietra, uccidendola, per poi lasciare il corpo sulla scogliera. Il liquido seminale ritrovato sul corpo di Giusy, identificato come appartenente a Giovanni, confermò che i due avevano avuto un rapporto consensuale prima della tragedia.
Lo riporta Corrierediarezzo.it