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La notte della Befana in Puglia: curiosità di una tradizione millenaria

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
5 Gennaio 2023
Capitanata // Gargano //

StatoQuotidiano.it, Manfredonia, 5 GENNAIO 2023 – La notte della Befana è arrivata.

Questa notte, come vuole la leggenda, un’attempata vecchietta dal naso corvino e bitorzoluto, cavallo di una scopa, porterà doni, cioccolate, dolci di vario tipo ai bambini buoni, carbone o aglio a quelli cattivi. Elemento comune la famosa calza che custodirà i doni. La Befana, per consuetudine, non è avvezza al rapporto con gli adulti, mentre è affettuosa coi piccoli. La Befana (corruzione lessicale di Epifania) rappresenta inoltre l’anno passato, ormai vecchio, che se ne va via.

La festa della Befana è una tradizione antichissima che, a differenza di Babbo Natale e della sua commercializzazione, affonda radici e tradizioni quasi mai cambiate proprio in Italia. Ma spostandoci più a Sud, nella nostra Puglia, storie, tradizioni e religioni danzano e creano un alone di mistero attorno a questa figura leggendaria.

All’epoca si era soliti riempire le calze non tanto con dolci, quanto con prodotti tipici del territorio, vere prelibatezze. Partendo dal Salento, l’Epifania, che tutte le feste porta via, viene visto appunto come il giorno che sancisce la fine del vecchio anno, delle sue disgrazie e dei suoi mali. Ed è ad Aradeo, in provincia di Lecce, che la Befana, da buona strega, viene messa al rogo nella famosa Focara, a sancire la morte dell’anno passato.

A Bari la Befana si unisce alla storia: nel IX secolo la città era governata dai musulmani. Nell’850 d.C. governava il comandante Muffarag che inutilmente cercò di farsi riconoscere quale emiro del territorio. Durante il suo governo, la notte tra il 5 e il 6 gennaio Bari era teatro dell’apparizione di due befane, una buona e una cattiva. Tutta la città aveva paura di Befanì, quella cattiva, famosa per decapitare chiunque incontrasse, e nessuno aveva il coraggio di camminare per strada durante quella notte. Lo spavaldo Muffarag decise di sfidare Befanì, ma l’esito fu disatroso: la befana decapitò il moro, la cui testa rotolò fino ad un edifici. Oggi in Strada Quercia 10 a Bari, sull’architrave del suddetto palazzo possiamo ritrovare quella che, secondo la leggenda, è la testa tagliata di Muffarag.

Salendo nel Gargano e a Manfredonia, la Befana si mischia con la religione. Infatti la calza della Befana era in origine quella che viene chiamata a’ cavzett de l’anème’i mùrte (La calza dei morti). Anticamente infatti, nella notte tra il primo e il 2 di Novembre la tradizione voleva che i nostri defunti, che in quella notte potevano tornare sulla Terra, mettessero dolci, frutta secca, leccornie di vario genere all’interbo della calza. Alle “àneme u Prijatòrie” (anime del Purgatorio) di contro si lasciava una tavola imbandita con un lumino accesso, così che almeno una volta all’anno potessero tornare a mangiare nelle case dove vivevano.

E come non ricordare la nenia delle zitelle: “bbefena, bbefene, stanotte manneme ‘nzunne chi me vole, m’eme o m’amasse nu gran segnore…iette fore tutte sta fatije” (Befana, Befana, questa notte mandami in sogno chi mi ama, mi ama e mi amasse un gran signore, butto fuori tutto sto lavoro); il “lavoro” era rappresentato rappresentato da un pugno di orzo che gettavano in aria.

Ce ne sono altre di tradizioni ma, come ogni bella storia, è meglio che sia raccontata da chi ci ama, dai nostri cari, perché solo così può nascere la passione.

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Se le persone che amiamo ci vengono tolte, il modo per farle vivere è non smettere di amarle (James O’Barr)

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