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Franco Basaglia, 30 anni dopo

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
5 Febbraio 2010
Psicologia //

Franco Basaglia e Ivo Lisi
Franco Basaglia e Ivo Lisi
Manfredonia – NELL’AGOSTO di 30 anni fa motiva, stroncato da un tumore, Franco Basaglia, il grande psichiatra considerato, in un certo senso, il ‘padre’ della famosa legge 180/1978. Una legge con la quale l’Italia rappresentò il primo Stato al mondo a chiudere i manicomi, ponendosi all’avanguardia nella disciplina degli accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori. Tante volte, nel corso degli anni, quella di Basaglia è stata definita una “grande utopia”; la legge che porta il suo nome è stata criticata per “non essere stata pienamente applicata”, e, specie in coincidenza con tragici eventi di cronaca familiare o sociale legati alla follia, si è parlato di “conseguenze negative della legge 180”. Si dice che mancano le strutture, che le famiglie sono abbandonate a se stesse nella cura dei malati. Ogni polemica pone l’accento sulle luci ed ombre della legge. Discussioni del tutto legittime, ma forse dopo 30 anni si è dimenticato quale fosse la situazione preesistente.

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LA LEGGE – La legge 180 ha rappresentato una sorta di “spartiacque” tra un prima fatto di inciviltà e di trattamenti disumani, e un dopo senza dubbio non esente da critiche ma “civile”, umano. Prima della Basaglia i malati di mente erano considerati nient’altro che i “diversi”della società, da allontanare dalla vista dei “normali”.La realtà manicomiale era rappresentata dalla massima segregazione, dalla contenzione, dalla camicia di forza e dall’elettroshock. Quando Basaglia entrò per la prima volta nel manicomio di Gorizia, di fronte alla violenza e all’orrore che gli apparvero, si chiese angosciato “che cos’è la psichiatria?”.Rispose a se stesso e al resto del personale sanitario che “Un malato di mente entra nel manicomio come “persona” per diventare una “cosa”. Il malato, prima di tutto, è una persona e come tale deve essere considerata e curata (…) Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone”. Le sue parole furono un punto di non ritorno, una rivoluzione copernicana:”La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società , per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere”. Tali considerazioni spinsero Basaglia ad allontanarsi dalla psichiatria tradizionale e a cercare nuove cure e nuove metodologie. Rivoluzionò l’ospedale psichiatrico in cui lavorava, avviando laboratori di pittura e di teatro, formando anche una cooperativa di pazienti, che iniziarono a svolgere lavori riconosciuti e retribuiti. Applicò un moderno metodo terapeutico consistente nel non considerare più il malato mentale alla stregua di un individuo pericoloso, ma al contrario un essere del quale devono essere sottolineate, anzichè represse, le qualità umane, di cui bisogna incentivare i rapporti con il mondo esterno, permettendogli di dedicarsi al lavoro e al mantenimento della socialità. E’ stato detto che con la legge 180 i malati di mente sono diventati “cittadini”, titolari di diritti, che è stata restituita loro la dignità. Ciò è stato possibile considerando finalmente la loro vita degna di essere vissuta, riportandoli all’interno della società, anzichè relegarli tra le quattro mura di un manicomio.Dopo quasi duecento anni, per la prima volta dalla sua nascita, il manicomio, le culture e le pratiche della psichiatria sono state colpite alle radici da una legge italiana. Il ritorno ad un trattamento da “cittadini” ha permesso il ritorno alla vita, dopo la non-vita dei manicomi. La possibilità di fare contrapposta alla morte sociale, alla condanna all’immutabilità. L’inclusione contrapposta alla segregazione, all’emarginazione. La libertà, in una sola parola. La legge 180 ha esteso ai malati di mente il diritto costituzionale alla salute, di cui all’articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo (..) Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Dunque non è più lo Stato che obbliga alla cura, che interna, che interdice per salvaguardare l’ordine e la morale; non è più il malato di mente “pericoloso per sé e per gli altri e di pubblico scandalo”, ma è una persona bisognosa di cure. Un cittadino cui lo Stato deve garantire, e rendere esigibile, un fondamentale diritto costituzionalmente garantito. E’ grazie a Basaglia se oggi non esistono più gli ospedali psichiatrici, sostituiti dai centri di salute mentale. Nel 2007 è stato inaugurato quello di Manfredonia, che di recente l’Amministrazione comunale ha deciso di intitolare, significativamente, ad Alda Merini. La grande poetessa, scomparsa nel 2009, fu internata tra il 1965 e il 1978 al Pini di Milano. Pochi anni fa ricordava quell’ esperienza con parole di tenerezza verso gli amici del manicomio (“I matti sono simpatici.I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita“) e di dolore per il trattamento ricevuto: “Per me è stato un miracolo di Dio essere uscita viva da lì.Ho visto morire tanti ragazzi…Ho cercato di dimenticarne le sofferenze, perchè sennò diventa un’ossessione”.

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“Ci vuole un minuto per notare una persona speciale, un'ora per apprezzarla, un giorno per volerle bene, tutta una vita per dimenticarla.” Sir Charlie Chaplin

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