Statoquotidiano.it, Manfredonia, 5 ottobre 2021 – Se vi fosse una gara tra leggere un libro e vedere il film tratto dallo stesso, nel 99% dei casi il libro vince. Questo non è il caso del Postino.
Era il 22 settembre 1994 e il cinema italiano cambia, ma lui non c’è più, almeno fisicamente. Resta nei cuori di chi lo ha amato.
Il Postino, diretto da Michael Radford, prende spunto da un libro dello scrittore cileno (non a caso) Antonio Skàrmeta, il cui titolo originale è Ardente Paciencia, anche se in tutto il Sud America sarà conosciuto col titolo El cartero de Neruda, da cui il titolo del film. Il romanzo piacque talmente tanto a Troisi che decise di comprarne i diritti e di non cambiare, a parte l’ambientazione, i nomi dei protagonisti principali (Solo Beatriz diventa Beatrice).
Fu fin da subito un film maledetto: le riprese sarebbero dovute iniziare nel 1993 ma a causa dei problemi cardiaci con cui Massimo Troisi dovette combattere per tutta la vita, si aspettò qualche mese per la sua convalescenza. Non fu facile girare il film, tant’è che il alcune scene, come quelle della bicicletta, si optò per una controfigura. Massimo avrebbe dovuto sottoporsi ad un trapianto alla fine delle riprese, ma il destino gioca in modi sconosciuti. Il 3 giugno finiscono le riprese del film. Il 4 giugno Troisi viene stroncato da un infarto, assurgendo a leggenda.
Il film parla dell’amicizia tra Mario Ruoppolo, figlio di un pescatore analfabeta, che farà da postino al poeta cileno Pablo Neruda, interpretato da un Philippe Noiret ormai noto sulla scena cinematografica italiana per le sue interpretazioni del giornalista Perozzi in Amici Miei e Alfredo in Nuovo Cinema Paradiso. L’attore francese ricorderà in seguito “l’atmosfera rilassata e mai triste” sul set, nonostante i problemi di Massimo.
La pellicola traspare poesia, mezzo di amicizia e di amori, che guarda ai sentimenti e non all’erudizione di chi legge, colpendo al cuore. Il “creare metafore” diventa la missione di Mario per dare spiegazione alla sua semplicità, trovandone la bellezza. La cultura elitaria, rappresentata da Neruda, seppur comunista, si mischia con la semplicità della vita di Mario, trovando la complementarietà necessaria per raggiungere i loro equilibri. Lo stesso Mario, sentendosi inferiore, trova difficile anche solo rivolgere la parola a Neruda, riuscendo poi a trovare il coraggio per rivolgere al Premio Nobel cileno una semplice domanda: “Maestro, me lo rende unico?” chiedendo l’autografo per un libro di poesie. Coraggio che aumenta man mano che il film scorre, fino a chiedere di poter diventare lui stesso un poeta. E’ grazie a questo che Neruda si accorge della bellezza che lo circonda, apprezzando la semplicità della Natura.
E’ grazie alla poesia che Mario può dare una voce al suo amore per Beatrice (chiaro risferimento dantesco impersonato da Maria Grazia Cucinotta), volano principale del film. Beatrice è per Mario ciò che di più bello ci sia sull’isola in cui vivono (nel film non ha nome, ma nel libro l’isola si chiama Isla Negra, in Cile). Un amore nato da uno sguardo, una partita di calciobalilla, neanche una parola. L’amore è una malattia di cui Mario vuole soffrire e le poesie del poeta amato dalle donne contagiano la stessa Beatrice.
Questo rappresenta il film-testamento di Massimo Troisi, un destino beffardo che vede morire il protagonista e il suo attore. Un capolavoro che racchiude tutte le migliori qualità del partenopeo, una forza incredibile sprigionata dalla fragile materia, la verità di un uomo che attraverso l’artificio del cinema spiega al mondo chi fosse l’uomo, chi fosse Massimo Troisi.
A cura di Piercosimo Zino