FOGGIA – È caccia aperta ai fiancheggiatori del boss di Vieste Marco Raduano: coloro che lo hanno aiutato a fuggire dal carcere di massima sicurezza di Nuoro Badu e Carros il 24 febbraio 2023 e poi tutti quelli che gli hanno garantito 342 giorni di latitanza, circa undici mesi, tra bella vita, donne, auto e ristoranti di lusso sulle coste della Corsica.
Sono due le indagini in corso che puntano a smascherare la rete dei complici del boss del Gargano: una aperta dalla Procura di Cagliari sulla evasione dal carcere definita dai magistrati «cinematografica», calato dalle mura del penitenziario con lenzuola annodate; l’altra della Dda di Bari sui fiancheggiatori pugliesi.
La prima cerca le probabili complicità all’interno della struttura carceraria ma anche in territorio sardo, cioè tra i sodali della criminalità locale che avrebbero fornito supporto logistico al boss in fuga e, probabilmente, al suo trasferimento in terra francese.
La seconda è coordinata dai magistrati baresi, gli stessi che hanno rintracciato Raduano riportandolo in cella (e ventiquattr’ore prima a Granada, in Spagna, hanno catturato anche il suo braccio destro, il 31enne Gianluigi Troiano, latitante da settembre 2021, evaso dagli arresti domiciliari a Campomarino, in Molise).
L’obiettivo di questa indagine è ricostruire la rete dei fiancheggiatori della sua terra d’origine, da dove partiva il denaro destinato al boss e tramite i quali il capo clan continuava a gestire dall’estero i traffici illeciti.
Le due Procure, Cagliari e Bari, sono in stretto e continuo contatto, in uno scambio di informazioni che possa aiutare gli inquirenti anche a ricostruire la rete dei complici nei due paesi stranieri.
E mentre gli inquirenti sono al lavoro per dare un volto e un nome a chi ha tentato di nascondere le tracce di Raduano per quasi un anno, le autorità stanno predisponendo tutto perché il boss torni presto in un carcere italiano a scontare la sua pena.
Per l’estradizione ci vorrà qualche settimana e allora inizierà il conteggio – forse non troppo tardi in un regime carcerario più rigido – dei 19 anni di reclusione che gli sono stati inflitti in via definitiva per traffico di droga, in attesa che diventino irrevocabili anche le altre sentenza. L’ultima, denominata «Omnia Nostra» gli è costata un ergastolo (in primo grado) per associazione mafia e due omicidi.
I tempi dei provvedimenti giudiziari sono strettamente collegati alla fuga: il 30 gennaio diventa irrevocabile la condanna a 19 anni per droga, il 2 e il 21 febbraio Raduano scrive due memorie autografe e il 24 evade dal carcere.
La condanna all’ergastolo arriva a ottobre, quando il boss è già lontano dalle patrie galere ormai da ben otto mesi.
Nelle motivazioni della sentenza «Omnia Nostra» racconta anche la vicenda dell’evasione per ricostruire la storia criminale di Raduano. «Un’esistenza trascorsa a delinquere, fatti salvi i numerosi periodi di detenzione subiti, che non hanno all’evidenza minimamente piegato la sua attitudine criminale» scrive la gup Valeria Isabella Valenzi, che descrive la «pericolosità del condannato, capace di tessere complicità all’interno del carcere e potendo contare, all’evidenza, su una rete di supporto esterna, che gli ha consentito di sottrarsi alle ricerche». La giudice parla di una «personalità vendicativa, sanguinaria e spregiudicata dell’imputato, privo di ogni scrupolo e pervicacemente assetato di potere criminale, pronto a tessere alleanze con altre compagini criminali e sempre a disposizione per la commissione dei più svariati e spietati reati».
In definitiva, un «delinquente abituale» dal «curriculum criminale costellato di delitti dolosi gravissimi», con una «radicata e mai sopita tendenza a delinquere, via via affinata nel corso degli anni, che ha munito il condannato di una attuale e spiccata capacità criminale in un crescendo di pericolosità».
La sua, si legge nella sentenza, «è una esistenza votata al crimine, motivata da un’insaziabile sete di potere», «conclamata – secondo la gup – dalla rocambolesca evasione dalla casa circondariale di Nuoro, che dimostra come nemmeno la detenzione in un carcere di massima sicurezza riesce a contenere la sua spinta a delinquere».