Ah, che rebus! Cominciava così, con il verso di una canzone di Paolo Conte, un lungo e documentato articolo che scrissi nel lontano 1986 su quel vasto compendio comunale che oggi chiamiamo “Oasi Lago Salso” e che allora veniva chiamato “Ex Daunia Risi”, dal nome di un’azienda che avrebbe dovuto realizzarvi una risaia ma che si limitò ad attrezzare e gestire una riserva di caccia, allora ancora in attività.
Nell’articolo (a disposizione di chi ne voglia avere copia) provai a raccontare la storia e le caratteristiche di quell’area, ma soprattutto la tormentata vicenda amministrativa e giudiziaria che l’aveva interessata nei decenni precedenti, conclusasi nel 1977 con una sentenza del Commissario agli Usi Civici di Bari che ne ordinava la restituzione al Comune, ma che il Comune, a quasi dieci anni di distanza, non si decideva a mettere in esecuzione, non avendo le idee chiare sul da farsi (mentre ad insistere sulla restituzione erano WWF, LIPU e Lega per l’Ambiente, di cui ero attivista).
L’Oasi Lago Salso, come zona umida di importanza internazionale, è una realtà naturalistica straordinaria ma anche delicata (come lo è ogni ecosistema), che per secoli ha fatto a meno e potrebbe fare a meno del Parco Nazionale del Gargano, come ne hanno fatto a meno e potrebbero farne a meno la Foresta Umbra e tutte le altre straordinarie bellezze naturali del Gargano.
A dirlo è chi come me il Parco del Gargano l’ha voluto e con altri si è battuto perché venisse istituito, e che, da sindaco della città, ha chiesto ed ottenuto di modificare i confini del Parco e di inserirvi per intero quell’area (per non dire dei numerosi progetti che furono subito avviati con il compianto Presidente Fusilli).
Ma oggi, mi domando e chiedo: che senso ha l’Ente Parco del Gargano se non si dimostra capace – non dico di gestire, ma nemmeno di occuparsi di un’area di straordinaria valenza naturalistica come l’Oasi Lago Salso? Che senso ha avervi costruito un bel centro visita per poi abbandonarlo, abbandonando anche l’idea che l’Oasi possa costituire la meravigliosa porta di accesso da sud al Parco ed uno dei suoi migliori biglietti da visita?
È troppo ambizioso pensare che sia dal numero di accessi ai centri visita a dover essere misurato il successo di un Parco Nazionale e delle sue iniziative, e non dal numero dei bagnanti che d’estate raggiungono le nostre coste o dei pellegrini che visitano la Montagna Sacra e i suoi luoghi di culto?
E ancora: può l’Ente Parco ridursi, e non da oggi, alla gestione dei vincoli ambientali? o alla partecipazione a sagre e fiere del caciocavallo podolico? o a ente erogatore di finanziamenti a destra e a manca? o a mantenere una struttura burocratica, che, se non persegue la sua missione, diventa pletorica, costosa e improduttiva? Può l’Ente, a 25 anni dalla sua istituzione, andare ancora avanti senza un Piano e senza una vera programmazione?
Nel novembre del 2019, a qualche mese dal suo insediamento, l’attuale Presidente Pazienza ha deciso da un giorno all’altro di mettere in liquidazione per poi sciogliere la società mista che se ne occupava, e di cui l’Ente Parco era socio di maggioranza, dichiarando alla stampa che “L’Oasi Lago Salso non chiude, ma si avvia verso una fase di profondo cambiamento e di riorganizzazione, resisi necessari dopo una gestione, sia attuale che passata, caratterizzata da forti criticità, che hanno compromesso la possibilità di assicurare un’effettiva fruizione pubblica dell’area basata su una concreta e corretta valorizzazione delle valenze naturalistico-ambientali in essa contenute”.
Ci si aspettava, anche per fugare le perplessità e i non pochi dubbi sollevati legittimamente da più parti sulla bontà della decisione e sulle reali finalità dell’operazione, che il Presidente tirasse subito fuori un progetto alternativo per una nuova e migliore gestione dell’Oasi.
Ed invece, a distanza di più un anno … il nulla più assoluto!
Salvo suggerire al Comune di devolverne la proprietà allo Stato (soluzione per altro inattuabile, per via della particolare natura giuridica della proprietà dell’area), perché ad occuparsene non sia l’Ente Parco ma il Corpo Forestale dello Stato (ora passato ai Carabinieri), così come si occupa da decenni della Foresta Umbra. Della serie … se ne occupino altri.
Nel frattempo (il mese scorso), il Comune si è finalmente deciso a chiedere la restituzione dei terreni (e, voglio sperare, anche dei titoli AGEA) al professionista nominato dall’Ente Parco per la liquidazione della società.
E adesso?
A distanza di quarant’anni torna ahimè d’attualità il verso della canzone di Paolo Conte con la quale avevo iniziato l’articolo del 1986.
Ai Commissari Straordinari spetta fare ciò che è doveroso (e chiedere la restituzione al Comune dei terreni lo è). Ai nuovi amministratori, quelli che saranno scelti dai manfredoniani nella prossima tornata elettorale, spetta il compito di arrivare all’appuntamento con idee chiare sull’argomento.
Tra gli anni ottanta-novanta, Sindaco Franco Castriotta, venne un Professore della Facoltà di Agraria della Università Federico II di Pozzuoli ad esporre un piano per l’utilizzo dell’ex Daunia Risi ai fini di realizzare un Parco Scientifico e Tecnologico dedicato appunto all’agricoltura. Sindaco favorevole, ostracismo del Vice-Sindaco D’Errico. Solo dopo un paio d’anni, quando D’Errico mi disse: “li non si può costruire” mi venne il sospetto che per lui la parola “Parco” richiamasse alla mente i nostri “Parco Sicilia, Pellegrino, ecc.”, mentre il Parco Agricolo non prevedeva la costruzione neanche di un muro di recinzione!!! Verso la fine degli anni ’90, Sindaco Dicembrino, venne l’Istituto di Microbiologia Agraria e Tecnica dell’Università di Firenze, con un progetto partito dall’Università della California, che aveva esaminato l’orografia degli stessi terreni, e determinato a installarvi un impianto per la coltivazione dell’Alga Spirulina, insieme alla
Università di Perugia ed a quella di Chieti, col patrocinio della Montedison. Ostracismo del Vice Sindaco, indovina chi?
Parlateci della vergognosa vicenda della Gallina prataiola.