Manfredonia. (Art. 282 “se uno schiavo dice al suo padrone: tu non sei il mio padrone, se viene di ciò convinto, il padrone gli taglierà l’orecchio” ‘Enc. Feltrinelli Fischer, voce Diritto II’). L’altro aspetto che colpisce della disposizione, ed in modo più appariscente, è quello riguardante la sanzione del taglio dell’orecchio.
Si tratta di una punizione corporale che ripugna a noi moderni, ma vi sono paesi in cui dette sanzioni sono tuttora ampiamente praticate. Di mutilazioni e fustigazioni sentiamo parlare molto spesso e senza contare, poi, che in molti paesi è in vigore ancora la pena di morte, che costituisce il massimo delle pene corporali. Interessa altresì notare la natura giuridica della sanzione prevista dalla norma esaminata ed in particolare se essa costituisca una sanzione penale o civile.
Dal contenuto afflittivo, naturalmente connesso al taglio dell’orecchio, parrebbe trattarsi di una sanzione penale. In verità più propriamente si può parlare di sanzione civile, trattandosi di una questione attinente allo status di schiavo, messo in dubbio. Tu non sei il mio padrone, io sono un uomo libero, dice l’interessato e per l’accertamento di questa posizione personale, lo status di schiavo o cittadino libero, occorre effettuare un giudizio civile. Per quanto detto la sanzione del taglio dell’orecchio in questo caso, sebbene efferata, costituisce comunque una sanzione civile.
E’ lo status personale che viene in rilievo, in riferimento alla posizione di diritto reclamata dal protagonista, di libero o di schiavo, e questa si situa totalmente nel campo del diritto civile. Non attiene minimamente ad una infrazione dell’ordine pubblico, alla commissione di un reato ed in definitiva siamo fuori dell’ambito del diritto penale. Una certa analogia, per il potere sanzionatorio attribuito all’altra parte del rapporto, al padrone, qui è ravvisabile con i procedimenti disciplinari, previsti negli attuali ordinamenti.
Il nostro diritto, infatti, prevede la possibilità di applicare sanzioni disciplinari nell’ambito del rapporto di lavoro, appartenente anche questo al più ampio genere dei rapporti civilistici. Anche in ambito di disciplina aziendale le sanzioni, per quanto attinenti, s’è detto, ad un rapporto di natura civile, hanno contenuto afflittivo. Sono certamente meno cruente di quella vista in precedenza. Vanno dalla censura, verbale o scritta, alla multa di un numero determinato di ore lavorative, alla temporanea sospensione dal lavoro dal lavoro e dalla retribuzione, fino alla più
grave costituita dal licenziamento.
Leggendo la norma antica e riflettendo sulla crudeltà della sanzione prevista viene in mente proprio il licenziamento. Chiaramente c’è notevole differenza tra rapporto di lavoro subordinato e schiavitù. Nel primo il lavoratore dispone liberamente unicamente delle proprie energie lavorative. Conclusa la giornata lavorativa il lavoratore, inoltre, è libero di fare ciò che vuole. Nel secondo, invece, si dispone fisicamente di un essere umano, contro la sua volontà e senza limiti di tempo.
Ciò posto la sanzione del licenziamento non pare meno importante.
Il taglio dell’orecchio determina certo una lesione personale, con una sofferenza temporanea ed una mutilazione permanente, ma importa la conservazione del rapporto, sia pure schiavistico ed inumano, con l’onere del mantenimento e della sussistenza dello schiavo. Il licenziamento determina una frattura definitiva del rapporto di lavoro, coinvolge anche la famiglia del lavoratore e gli procura notevoli difficoltà, destinate a protrarsi nel tempo, ove dovesse mancare un nuovo lavoro.
In chiusura si può dubitare dell’interesse per la schiavitù, oggi totalmente sparita si direbbe.
Invero, stando alla nuova opera di Luciano Canfora, “La schiavitù del Capitale” ed. il Mulino, il fenomeno è ritornato prepotentemente. La nuova schiavitù senza catene, subdola e pervasiva, attuata senza esclusioni, con intelligenza e determinazione sarà il terreno di confronto dei prossimi anni, decenni, forse secoli.
(A cura di Orazio Totaro, Manfredonia 15.02.2017)