Questa scheda è spoiler-free: nel rispetto del lettore vergine della visione del film verranno isolate, nell’arco della recensione, eventuali rivelazioni critiche di trama (spoiler) su note a piè pagina, oltre a essere suggerito, a fine articolo, un indice della presenza di punti sensibili nell’opera il cui svelamento accidentale possa incidere su una sua corretta fruizione
Titolo originale: Inside Llewyn Davis
Nazione: Stati Uniti
Genere: commedia, drammatico
UN vincente passaggio all’ultimo Festival di Cannes (Grand Prix Speciale della Giuria), una rapida sortita fuori concorso al Festival di Torino 2013, un paio di nomination agli imminenti Oscar, ed eccolo finalmente doppiato e nelle sale l’ultimo lavoro degli inossidabili fratelli Coen.
A proposito di Davis catapulta lo spettatore nelle calde atmosfere anni 60, usati da scenografia per il racconto su uno squattrinato cantante di musica folk, tra ambizioni, pasticci e nuove consapevolezze.
Singolare e affascinante la nuova piega che per la seconda volta, dopo A Serious Man, conquista il cinema dei Coen, incatalogabile, apparentemente privo di meta, a tratti indecifrabile ma ancora “misteriosamente” coinvolgente ed elegante come grossa parte della loro filmografia.
Inside Llewyn Davis, narrativamente parlando, è un occhio che punta un uomo, lo segue e racconta quel che vede. E finisce là. Non c’è mai un istante in cui allo spettatore si concede il lusso di intuire dove vada a parare, gli si dia riferimenti, una ragione di essere del film, e sui titoli di coda diventa evidente perché si sia stati privati di tanto: semplicemente perché manca davvero un approdo, uno di quelli canonici s’intende, uno di quelli, cioè, che ti fa riassumere il film in poche battute e ti conforti sul suo senso, sulla sua necessità, sul suo genere, sul suo essere storia esaustiva. Niente di tutto questo, e lo spettatore frustrato da A serious man non lo sarà differentemente con quest’ultimo lavoro, forse ancor più scarno di connotati caricaturali o brevi episodi autosufficienti che diano ragione della visione, che spingano lo spettatore a dirsi di aver assistito almeno ad un povero collage di sketch o raccolta di singolari personaggi. L’operazione di (falsa) neutralità, (falso) distacco e (falsa) assenza di fari guida nel percorso narrativo è questa volta portato quasi alle estreme conseguenze.
E o si accetta il gioco o si esce dalla sala.
Accettate il gioco e fatevi prendere per mano dai Coen, senza ribellarvi, senza chiedervi perché accadono certe cose, soprattutto perché sia per loro necessario riprenderle con una camera, e vi accorgerete che la giostra funziona.
Funziona perché A proposito di Davis è una delle migliori prove registiche e di sceneggiatura del duetto americano, forte di una tale maestria sotto ogni fronte da essere in grado di emanciparsi dalle tipiche esche narrative e al contempo di rifilarne di silenziose, silenziosissime e dare un senso inspiegabile ad un percorso apparentemente vuoto. L’occhio attento, quello del cinefilo a caccia delle astuzie, delle trappole d’attenzione, avrà il suo bel da fare ad una seconda visione, ma di certo non faticherà ad accorgersi sin dalla prima del supporto della straordinaria fotografia, delle magnifiche proporzioni d’immagini, del montaggio e dei sapienti dialoghi che fanno dei tempi di battuta il loro ideale trampolino.
Un esempio? Sufficiente la prima sequenza, quella che termina con la scazzottata: è una danza d’immagini, di distribuzione di parti nel recinto delle inquadrature, di movimenti di macchina e corporei degli interpreti, di essenzialità registica.
A proposito di Davis è proprio ciò che il titolo suggerisce, che sia l’originale o l’italiano: si parla di Llewyn Davis, di quel che gli accade, con occhio voyeuristico, dal momento in cui si alza una mattina fino ai titoli di coda. Ma quest’occhio, quello dei Coen, non è un occhio qualunque: sceglie eventi da riferirci, sceglie tempi, quantità, modi di riprenderli e, dietro al gioco di prestigio del cinema, sceglie essenzialmente di quale storia parlarci (sceneggiatura originale ancora di Ethan e Joel).
Che storie sono quelle di Llewyn Davis e Larry Gopnik (A serious man)?
Che cinema è quello che veicolano e come si rapporta alla filmografia dei Coen?
Sembrerebbe inopportuno catalogare questo cinema come noir, ma lo è.
Lo si potrebbe ribattezzare come neo-noir per evitare abusi di linguaggio, ma resta il fatto che sia proprio nel noir il concreto punto di contatto con l’altro mondo dei Coen. E’ il noir ripulito totalmente dall’elemento criminale, quello che lascia solo l’anima fatalista, fatta della totale casualità e incontrollabilità degli eventi, che giocano con noi come il gatto del film col protagonista. La remissività contro un destino ingovernabile è il costante leitmotiv di tutto il cinema dei due registi americani, fato cui hanno concesso per un paio di pellicole un protagonismo assoluto e trasversale ai generi, ma che conserva ancora tutte le impronte del maledettismo del cinema nero.
Esperimento affascinate e provocatorio per lo spettatore, A proposito di Davis segna un ritorno straordinario e originale dei Coen dai tempi di Non è un paese per vecchi. Rammarica vedere due sole candidature per la notte di Los Angeles ed è, allo stesso tempo, lampante conferma che questo sia cinema poco adatto ad una kermesse troppo popolare.
Per fortuna che c’è Cannes.
CANDIDATURE Oscar 2014 – Miglior fotografia (Bruno Delbonnel), Miglior sonoro (Peter F. Kurland, Skip Lievsay, Greg Orloff)
Valutazione: 8/10
Spoiler: 5/10
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