Questa scheda è spoiler-free: nel rispetto del lettore vergine della visione del film verranno isolate, nell’arco della recensione, eventuali rivelazioni critiche di trama (spoiler) su note a piè pagina, oltre a essere suggerito, a fine articolo, un indice della presenza di punti sensibili nell’opera il cui svelamento accidentale possa incidere su una sua corretta fruizione
Titolo originale: Fruitvale Station
Nazione: Stati Uniti
Genere: drammatico, biografico
PARTECIPAZIONE a Cannes 2013 nella sezione Un Certain Regard e nomination come Miglior film.
Premio Avenir a Cannes 2013 come Miglior film di debutto.
Gran Premio della Giuria per un film drammatico al Sundance Film Festival 2013.
Premio come Miglior film d’esordio all’Indipendent Spirit Award 2014.
Urlano meno delle blasonate statuette di Los Angeles, e, per non perdere obiettività per partigianeria o irritazione di sorta, in fondo si tratta di riconoscimenti meno importanti all’interno delle stesse manifestazioni in cui Fruitvale Station ha raccolto attenzioni. Resta, tuttavia, il dato sconfortante che ci racconta quanto, stelle di merito a parte, la distribuzione italiana penalizzi così tanto sofisticati lavori come questo debutto di Ryan Coogler con una diffusione nelle sale prossima allo zero: una sola pellicola in tutta la provincia di Torino, nessuna in quella di Foggia.
Fruitvale Station è la biografia delle ultime 24 ore della vita di Oscar Grant, giovane ragazzo di colore che nelle prime ore del capodanno 2009 verrà ucciso da un poliziotto senza giustificato motivo, incidente ripreso da molti cellulari nella metropolitana di Oakland.
No, non si è qui a dire che Fruitvale Station è il film indispensabile che si consiglia di recuperare ad ogni costo, né a celebrarlo oltre ogni merito o pregio infastiditi da un’emarginazione che appare del tutto ingiustificata. Ma il primo lavoro di Ryan Coogler è un gioiellino che, pur non insegnando nulla di nuovo a chi mastica cinema con passione critica, può farlo enormemente a chiunque degli altri abbia desiderio di verificare coi propri occhi come si possa lavorare sul poco incantando l’attenzione dello spettatore. Già, perché le ultime 24 ore di Oscar Grant non hanno nulla di speciale, non hanno una trama accattivante, non sono caronte di profondi significati morali né il regista ne ha approfittato per aggiungerne. Solo vita, quella di un ragazzo con precedenti penali, difficoltà coniugali, i suoi tentativi di reinserimento, le sue passioni, le sue tristezze. Sobrio, il film riprende come un occhio che non disturba, il percorso di Oscar, e ce lo butta là, apparentemente senza filtro alcuno. E cattura, non annoia mai e ci si scopre spesso a chiedersi durante la visione come mai, come possa tanta normalità senza pepe tenere alta l’attenzione.
Sceneggiatura è la prima parola chiave, quella che sa sfrondare i fatti, seminare piccole e invisibili emozioni-carburante ovunque, che sa essere mai banale, che sa essere vicina finanche ad episodi marginali come il gioco con un cane randagio che viene poco dopo investito, rendendo la sequenza straordinaria ed incredibilmente suadente. Si può imparare molto da Fruitvale Station se ci si chiede perché funziona, perché lo fa nonostante un finale annunciato immediatamente in testa al film.
Seconda parola chiave è interpretazione, quella di tutta la compagine attoriale, impeccabile, senza sbavature, lì a dare perfetta credibilità e senso all’attento racconto di una vita qualunque.
Fruitvale Station è l’esordio che si vorrebbe fosse quello di ogni nuovo regista, la base minima per potersi definire tale.
Se così fosse, saremmo ricoperti di emozioni entrando bendati in una qualunque sala sperduta nel deserto.
Valutazione: 7/10
Spoiler: 0/10
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