Edizione n° 5471

BALLON D'ESSAI

"PIZZINI" // “Parente a esponenti società foggiana”. Usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso: arrestata donna
26 Settembre 2024 - ore  10:03

CALEMBOUR

INTERCETTAZIONI // Codice Interno, spuntano i telefonini criptati dei mafiosi baresi
26 Settembre 2024 - ore  09:57

Iscriviti al canale Whatsapp

Foggia

Manfredonia

Cronaca

Politica

Sport

Eventi

San Severo

Cerignola

Macondo – la città dei libri

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
17 Dicembre 2011
Stato news //

“Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito”. (Gabriel Garcia Marquez)
~~•~~•~~•~~•~~•~~•~~••~~•~~•~~•~~•~~•~~•~~•~~•~~~•~~•~~•~~•~~•~~

∞ Basilicata di mafia ∞
di Piero Ferrante

Quant’è lontano il principio della storia della mafia lucana? Quanto profondo l’epicentro di quel sisma che sta affondando, e per nulla lentamente, il ricordo dell’isola felice, lasciando emergere, al suo posto, una terra inquietante e violenta? Dove inizia il dolore? Quale il fenomeno scatenante? Quale la catena di anelli di sangue? Cronodefinire la criminalità organizzata significa porsi domande. Costruire vicende, intrecciare personaggi, scandagliare vite come strade di morte, infamia e dolore. Don Marcello Cozzi, presidente di Libera Basilicata, scrivendo, tempo fa, “Quando la mafia non esiste” (ristampato poi l’anno scorso) ha scelto proprio la narrazione. Lunga, triste, violenta. Ma, in fondo, Pierpaolo Pasolini, a suo modo, non perseguiva lo stesso fine?

Il libro di don Cozzi racconta, dunque. E’ una testimonianza corposa e documentata di una vicenda negata, addirittura scansata. In Basilicata, d’altra parte, parlare di mafia è emblema di allarmismo. Lo dice Cozzi. E lo scrive. A pagina 19, immediatamente: “Tutti hanno cercato di non parlarne esplicitamente, si è preferito usare piuttosto altri termini: mafia è considerata una parola troppo grossa per queste coordinate geografiche, un’esagerazione”. Almeno fino al 1997. Sono le 20.30 quando, un 29 aprile di pioggia, a Potenza, nel popoloso quartiere di Parco Aurora, vengono freddati Pinuccio Gianfredi e Patrizia Santarsiero. Due persone silenziose e cortesi. I vicini li considerano ‘normali’. Con la sola eccezione che l’uomo, Gianfredi, è uno dei massimi esponenti del clan Quaratino-Martorano, operativo già negli anni Ottanta. Anzi, ha legami indiscutibili con Calabria e Sicilia. Fissa patti, controlla affari, stringe accordi. Uno che vende l’acido ai fratelli Graviano, braccia armate di Totò Riina, per lo scioglimento dei cadaveri. Non è, questo di Gianfredi, il primo omicidio. Non è il più grosso. Ma è quello della svolta. Cozzi ci apre il libro, addirittura.

Da questo episodio in poi, il sacerdote potentino, dà il la ad uno spartito di verità suonato dall’orchestra sinfonica del Gruppo Abele, editore coraggioso in momenti letterari di moccianesimo e consumo. Uno spartito che, temporalmente, parte dall’overture 1928, anno in cui il prefetto Mori, per debellare il fenomeno mafia dalle montagne siciliane, pensò di spedire padrini e picciotti in Lucania. 28, per la precisione. Gente scafata e potente in un territorio fragile quanto vergine. I boss presero contatto con i piccoli delinquentelli locali, li avvicinarono a sé. Gettarono le basi della proliferazione successiva. La mafia si radicò e sopravvisse senza contrasti, favorita dallo sguardo strabico della giustizia, aiutata dal silenzio delle valli della Basilicata e dall’aiuto dei vicini. Potenti, potentissimi. Nacque un enorme mercato della droga, il mattone si tradusse da esigenza sociale in affare, i rifiuti e il petrolio furono la grande occasione d’arricchimento, la corruzione la pratica obbligata per consegirlo. Gli anni Settanta come base, gli Ottanta come consolidamento, i Novanta come esplosione. Ma anche di fronte all’evidenza, tutti facevano finta di non capire. Nel 1990, Gennaro Gelormini pontificò, inascoltato che “la Basilicata non è più terra che possa rimanere coperta da una considerazione fallace di quiete”.

Campania, Puglia e Calabria, come falchi, puntavano e puntano alla Basilicata. Terra di passaggio e di approdo. Autostrada, ma anche base operativa. Don Marcello non gioca a rimpiattino. Gli eventi che racconta sono illuminati dal fulgore dell’evidenza. Nelle sue parole, nelle sue storie, nelle vicende giudiziarie, si destruttura, man mano, la credenza della verginità imenea della Lucania. Non è sua volontà, d’altronde, inneggiare alla natura lucana. Una donna che gioca a fare la bimba, ma che conosce bene i suoi vizi. Anzi, essa stessa, a tratti, è puttana impunita. Perché accanto alle emanazioni esterne, ci sono stati tentativi di dar vita a mafie locali, tutte legate al territorio, capaci di trattare da pari a pari con ‘le altre’. Il sogno di una grande casa comune della mala, che unisse il Vulture e la Val d’Agri, si chiamava progetto Basilischi. Un proposito utopico, ai limiti del mistico, strapieno di rituali e giuramenti, leghista nel rito dell’affiliazione nel nome del Pollino e del Sinni. Superstiziosa ma non credulona. Tradizionalista ma non fino al punto d’abboccare al malvezzo di rimanere indietro con i tempi.

Una mafia ancorata alla politica e da essa coperta e foraggiata. Il saggio di Cozzi è anche un manifesto politico. Un’ode alla legalità contro la connivenza, un urlo di giustizia in opposizione ai sistemi consolidato di favoritismi e mazzette. Una stoccata al silenzioso mondo della massoneria, quello che ha ucciso due, tre, quattro volte Elisa Claps (di cui ha officiato le esequie, quest’anno), una randellata all’usura. Insomma, una guerra di carta che vale la pena di essere combattuta.

Don Marcello Cozzi, “Quando la mafia non esiste. Malaffari e affari della mala in Basilicata”, Edizioni Gruppo Abele 2009
Giudizio: 4 / 5 – Testimone di giustizia
_______________________________________________________

∞ Ultimo tango a Madrid ∞
di Roberta Paraggio

Che odore, che sapore, che colore ha una giornata che sta per cambiare la tua vita? Occhi Belli non lo sa, mentre ancheggia sui suoi tacchi a spillo e si avvia al solito bar per la colazione delle 17. Occhi Belli è una prostituta di Madrid, è un corpo senza nome, scolpito dalla volontà dei molteplici uomini fugaci, dalle fantasie più oscene o dal bisogno di sentirsi compresi. Due corpi senza nome che si incontrano, per dare libero scorrere a “En soledad”, romanzo dello spagnolo Antonio Martines Asensio, edito da Aisara, casa editrice sarda, che non delude mai in fatto di scelte narrative, di stile e di quant’altro concorre a fare di libro una piacevole esperienza per il lettore.

Solitudini parallele che non devono mai incontrarsi, quella di Occhi Belli, che vive di amori surrogati, e quella di un cliente occasionale in cerca di sesso a tempo determinato. Uno strano contratto, tanti soldi in cambio di compagnia, una iberica proposta indecente, un ultimo tango a Madrid con domicilio fisso e ben arredato. Un’unica clausola, il divieto assoluto di entrare in una stanza segreta, una “capanna” che sembra fitta di segreti, e soprattutto l’assenza di sentimenti e di domande sul passato, sulla vita che scorre fuori dalla camera da letto.

Ma, se la speranza, – come cita Cortazar – è una puttana vestita di verde, e la curiosità è donna, la narrazione ci ricorda che Occhi Belli è entrambe le cose, speranza, puttana e donna, e, il cinismo che facilmente si vuol associare ad una donna di strada è invece una desertificazione unilaterale, un sentimento che non l’ha scalfita durante le notti da lupi passata in strada. Lei è speranza, è amore che vuole resistere, e, contemporaneamente, è caduta nel tranello in cui non doveva cascare. Cercherà di forzare la porta, quella vera e quella metaforica, ma la chiave non c’è oppure non sa trovarla, potrà solo strisciare laddove le era stato chiesto di non entrare. E’ il momento chiave, quello che carica di forza e dona senso al racconto. Perché l’amore non esiste, perché è una fregatura, perché esiste sesso fatto bene, una sensazione soddisfacente al mattino dopo, ma niente legami, niente complicazioni, e, quando queste giungono, tutto finisce, arriva l’ora di tornarsene a casa, con tanti soldi, una valigia piena di bei vestiti e il cuore a pezzi.

Questa la visione del protagonista e dello scrittore, che viene portata fino agli estremi, fino alla fine, fino a rendere la storia davvero meno interessante nel preciso istante in cui Occhi Belli varca quel confine proibito, in questo sta la forza della narrazione, nel saper portare il lettore ad una interazione con quello che normalmente è avversato come un sentimento negativo. Perché l’amore esiste, e, appena spostati gli occhi dalle righe del libro, ci si rende conto della bravura di uno scrittore, e, si riconosce un bel romanzo da una semplice storiellina sentimentalista.

Antonio Martines Asensio, “En soledad”, Aisara 2010
Giudizio: 3,5 / 5 – Empatico
_______________________________________________________

∞ Letterature apocalittiche ∞
di Angela Catrani

Ci sono eventi epocali nella vita di ognuno di noi che cambiano per sempre il senso che diamo al nostro stare al mondo: un amore perso, un lutto, un trasferimento, una guerra, l’11 settembre 2001. C’è un prima e c’è un dopo, e il dopo è vissuto come un al di là; prima non c’è nulla, c’è una pesante tenda di cenere e sangue, di lutto e di dolore a nascondere l’ormai vissuto. Dopo c’è una guerra decennale e migliaia e migliaia di morti. Il prima è incosapevolezza, superficialità, spregiudicatezza, incoscienza. Il prima è il sorriso trasparente senza ombra di sospetto nel guardare un arabo, il prima è un viaggio in aereo senza paure, il prima sono due torri gemelle simbolo di New York.

I romanzi americani contemporanei portano dentro si sé, tutti quanti, questa cesura con quello che definisco l’anno zero della modernità e questo romanzo del 2008 di Andre Dubus III Il giardino delle farfalle notturne (ma pubblicato nel 2010 in Italia) non può essere da meno e anzi fa di più, perchè ci porta addirittura nella mente di uno degli attentatori, un giovanotto che per i casi strani del destino è testimone della vicenda, cioè il rapimento della figlia treenne della protagonista, April.

Questo è un romanzo complesso, troppo lungo, in cui le voci dei protagonisti si susseguono incessanti nei minimi dettagli di vita.
L’autore è un romanziere di successo, professore di Scrittura Creativa all’Università, figlio d’arte, uno che macina pane e romanzi e questo romanzo, a parer mio, riflette troppo un corso di scrittura creativa – immaginate di essere un panettiere che si alza alle 4 tutte le mattine, prepara il pane, lo vende, va a dormire quando gli altri si alzano, e via dicendo – per attrarre con quella spontaneità e autenticità di vita vissuta davvero.

Artificio. (I romanzieri dovrebbero raccontare quello che conoscono davvero, non impegolarsi nell’immaginare vite lontanissime dalla loro, altrimenti difficilmente funziona, e non riesco a pensare Andre Dubus III che balla su un palco nudo, per dire). E difatti gli stereotipi, figli della finzione classica, sono elevati alla massima potenza: c’è l’anziana signora grassa, ansiogena, amante del giardino, benestante, senza figli, che scopre alla fine della sua inutile vita quanto sia bello avere figli e nipoti, se pur prestati; la spogliarellista brava ragazza al limite tra lecito e illecito, ragazza madre dedita alla figlia che si giustifica con la scusa dei soldi; il classico buttafuori dislessico; il rapinatore che picchia la moglie, uomo frustrato e debole, figlio di madre anafettiva, che non capisce la differenza tra fare la cosa giusta e quella sbagliata; infine, ciliegina sulla torta di questo romanzo così poco spontaneo, il terrorista arabo, infarcito di Corano e Sure, che vede la vita in bianco e nero, in paradiso e inferno, costantemente tentato dal maligno e spinto sulla via della gioia eterna da immagini di vergini che lo ameranno per l’eternità.

I personaggi sono piatti, bidimensionali, senza spessore o complessità che li renda interessanti o tali da riuscire a identificarcisi.

Io sono molto critica con la letteratura americana contemporanea, non mi piace, non mi diverte, non mi attrae e probabilmente il mio pregiudizio mi impedisce di andare al di là di una lettura di sostanza per godere solo del puro artificio letterario.

Andre Dubus III (traduzione di Maria Clara Pasetti), “Il giardino delle farfalle notturne”, Piemme 2010
Giudizio: 2 / 5 – Piatto
_______________________________________________________

I LIBRI CONSIGLIATI DA STATO QUOTIDIANO
IL ROMANZO: Luis Sepulveda, “Ultime notizie dal Sud”, Guanda 2011
IL SAGGIO: Luigi Ciotti, “La speranza non è in vendita”, Giunti 2011
IL CLASSICO: Vladimir Majakovskij, “America”, q.e.

LA CLASSIFICA DEI LIBRI PIU’ VENDUTI DELLA SETTIMANA (Libreria STILE LIBERO FOGGIA)
1. Alessandro Baricco, “Mr Gwin”, Feltrinelli 2011
2. Winifred Wolfe, “Tutte le ragazze lo sanno”, Elliot 2011
3. Arto Paasilinna, “Le dieci donne del Cavaliere”, Iperborea 2011

NATALE ANCORA…
“Le stelle d’oro”. Fiaba di natale dei fratelli Grimm:
Era rimasta sola al mondo. L’avevano messa sopra una strada dicendole: – Raccomandati al cielo, povera bimba!
E lei, la piccola orfana, s’era raccomandata al cielo! Aveva giunte le manine, volto gli occhi su, su in alto, e piangendo aveva esclamato: – Stelle d’oro, aiutatemi voi!
E girava il mondo così, stendendo la manina alla pietà di quelli che erano meno infelici di lei. L’aiutavano tutti, è vero, ma era una povera vita, la sua: una vita randagia, senza affetti e senza conforti.
Un giorno incontrò un povero vecchio cadente; l’orfanella mangiava avidamente un pezzo di pane che una brava donna le aveva appena dato.
– Ho fame – sospirò il vecchio fissando con desiderio infinito il pezzo di pane nelle mani della bimba; – ho tanta fame!
– Eccovi, nonno, il mio pane, mangiate.
– Ma, e tu?
– Ne cercherò dell’altro.
Il vecchio allora la benedisse: – Oh, se le stelle piovessero su te che hai un cuore così generoso!
Un altro giorno la poverina se ne andava dalla città ala campagna vicina. trovò per via una fanciulla che batteva i denti dal freddo; non aveva da ricoprirsi che la pura camicia.
– Hai freddo? – le domandò l’orfanella.
– Sì, – rispose l’altra – ma non ho neppure un vestito.
– Eccoti il mio: io non lo soffro il freddo, e se anche lo sento, mi rende un po’ meno pigra.
– Tu sei una stella caduta da lassù; oh se potessi, vorrei… vorrei che tutte le altre stelle ti cadessero in grembo come pioggia d’oro.
E si divisero. L’orfanella abbandonata continuò la strada che la conduceva in campagna, presso una capanna dove pensava di riposare la notte, e l’altra corse via felice dell’abitino che la riparava così bene.
La notte cadeva adagio adagio e le stelle del firmamento si accendevano una dopo l’altra come punti d’oro luminosi. L’orfanella le guardava e sorrideva al ricordo dell’augurio del vecchio e di quello uguale della bimba cui aveva regalato generosamente il suo vestito. Aveva freddo anche lei, ora; ma si consolava perché la cascina a cui era diretta non era lontana; già ne aveva riconosciuti i contorni.
– Ah sì! – pensava: – se le stelle piovessero oro su di me ne raccoglierei tanto tanto e farei poi tante case grandi grandi per ospitare i bambini abbandonati. Se le stelle di lassù piovessero oro, vorrei consolare tutti quelli che soffrono; sfamerei gli affamati, vestirei i nudi… Mi vestirei – disse guardandosi con un sorriso; – io mi vestirei perché, davvero, ho freddo.
Si sentì nell’aria un canto di voci angeliche, poi il tintinnio armonioso di oro smosso. La bimba guardò in alto: subito cadde in ginocchio e tese la camicina. Le stelle si staccavano dal cielo, e , cambiate in monete d’oro, cadevano a migliaia attorno a quell’angioletto che, sorridendo, le raccoglieva felice:
– Sì, sì! Farò fare, sì, farò fare uno, no… tanti bei palazzi grandi per gli abbandonati e sarò il conforto di tutti quelli che soffrono!
Dal cielo, il soave canto di voci di paradiso ripeteva: – Benedetta! Benedetta!


LIBRI SOTTO L’ALBERO
Hugh Auden, “Oratorio di Natale”, Transeuropa 2011
Andrea Bizzocchi, “Lettera da Babbo Natale. Per una festa più naturale”, Macro Junior 2011
Truman Capote, “Ricordo di Natale”, Donzelli 2011
Pamela Dalton, “La storia del Natale”, Gallucci 2011
Aa. Vv, “Natale di guerra”, Ancora 2010

Per consigli o suggerimenti, scrivete a: macondolibri@gmail.com

Lascia un commento

A settembre, c’è nell’aria una strana sensazione che accompagna l’attesa. E ci rende felici e malinconici. Un’idea di fine, un’idea di inizio. (Fabrizio Caramagna)

Anonimo

Compila il modulo con i tuoi dati per inviare segnalazioni, denunce o disservizi.

Compila il modulo con i tuoi dati per promuovere la tua attività locale, pubblicizzare un evento o per proposte di collaborazione.

Nessun campo trovato.