Con atto di recente pubblicazione, la Corte di Cassazione ha recentemente annullato con rinvio la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Bari riguardante un 55enne (classe 1969) di San Giovanni Rotondo, imputato per ricettazione e detenzione di armi e beni di provenienza furtiva.
La vicenda si colloca in un contesto giudiziario complesso, in cui si intrecciano questioni di diritto penale e di valutazione probatoria.
La condanna originaria, confermata in appello, si basava su una serie di elementi ritenuti indiziari: la presenza dell’imputato presso l’abitazione di un coimputato dove erano custodite le armi, i tabulati telefonici che indicavano contatti durante le ore del furto e altre presunzioni di responsabilità. Tuttavia, la Cassazione ha riscontrato gravi contraddizioni nel ragionamento probatorio. In particolare, è stata sottolineata la mancanza di un chiaro nesso causale tra la condotta dell’imputato e i beni incriminati, nonché l’assenza di una ricostruzione convincente della consapevolezza dell’imputato sull’origine illecita di tali beni.
Degno di nota è il tema della geolocalizzazione, ritenuta inattendibile dagli stessi giudici di merito ma, al contempo, utilizzata per confermare la responsabilità dell’imputato. Inoltre, la Cassazione ha ribadito che l’onere probatorio spetta all’accusa, soprattutto per quanto riguarda l’abitualità dei contatti tra l’imputato e il coimputato, spesso considerati indizi di attività illecite.
La sentenza impugnata non solo non chiariva il momento preciso in cui l’imputato avrebbe preso possesso delle armi, ma neppure forniva un’adeguata motivazione circa la sua eventuale partecipazione attiva al reato. Questo ha portato la Suprema Corte a ordinare un nuovo giudizio, affidando il caso a una diversa sezione della Corte d’Appello di Bari.
Questo procedimento segna un passo significativo nella tutela del principio di colpevolezza, evidenziando come le corti di legittimità possano intervenire a garanzia di un processo equo.