L’uomo, difeso dal proprio legale, aveva impugnato la decisione che lo aveva condannato per un’aggressione violenta avvenuta nel corso di una colluttazione.
Il ricorso, secondo la Cassazione, non solo risultava manifestamente infondato ma si basava su doglianze di fatto, inaccettabili in questa fase del processo. Le censure riguardavano presunti errori di legge in merito alla valutazione delle circostanze attenuanti generiche e alla motivazione sul diniego della concessione di tali attenuanti. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che le argomentazioni presentate fossero già state adeguatamente esaminate e rigettate dalla Corte di Appello, che aveva giustificato la propria decisione con solide motivazioni giuridiche.
Nella sentenza impugnata, la Corte di Appello aveva evidenziato diversi aspetti rilevanti dell’incidente: “le testimonianze di (…), che aveva assistito casualmente alla scena, e quelle dei fratelli (…), che avevano denunciato l’aggressione. In particolare, la testimonianza di (…) aveva confermato che uno degli aggressori“, tra cui il ricorrente, “aveva impugnato una pistola e sparato, seppur senza colpire nessuno. Inoltre, il rinvenimento di un bossolo calibro 38 nelle vicinanze del luogo dell’aggressione ha ulteriormente corroborato la versione dei fatti.”
La Corte di Appello aveva anche motivato il diniego delle attenuanti generiche sulla base della brutalità dell’aggressione, le gravi lesioni riportate dalla vittima, e la pericolosità dell’uso dell’arma. Anche la circostanza che la pistola non fosse mai stata rinvenuta è stata considerata un aggravante, suggerendo che l’arma fosse ancora nella disponibilità del ricorrente.
Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte di Appello, dichiarando inammissibile il ricorso e imponendo a Padovano il pagamento delle spese processuali e una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale.