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CULTURA La speranza. Controfigura dell’angoscia

Riflessioni a margine dell’ultimo libro del filosofo sudcoreano Byung Chul Han, a cura di Michele Illiceto

AUTORE:
Michele Illiceto
PUBBLICATO IL:
17 Febbraio 2025
Cultura // Manfredonia //

Dopo aver delineato alcuni caratteri dell’angoscia, Han passa a definire la speranza, o almeno alcuni caratteri di essa. Il primo di questi è il protendersi verso il futuro. Riprendendo il dizionario etimologico di Friedrich Kluge, Han sostiene che sperare è proprio di “cerca, sporgendosi in avanti, di vedere piú lontano, con piú accuratezza. Pertanto, speranza significa: guardare lontano, verso il futuro” (p. 10).

Insomma, la speranza esige una sporgenza. E chi si sporge, lo fa proiettandosi in avanti, per cercare una direzione. E’ chiaro però che chi si sporge, si espone. Questo significa che non siamo noi che aspettiamo il futuro, ma è il futuro che aspetta noi. La speranza esige fiuto e intuizione. Esige una visione che rompe con il già veduto, con il già visto, con il già dato.

Il secondo elemento è dato dal fatto che la speranza ha a che fare con la negatività. Solo che si tratta di una negatività del tutto particolare. Il “non” della negazione con cui ha a che fare la speranza non è assoluto, ma relativo, perchè ha a che fare con il divenire del tempo. E’ il non della lontananza e della distanza. Ma tutto ciò, se da un lato esige pazienza e sofferenza, dall’altro esige forza e coraggio che insieme ci consentono di attraversare il tempo apparentemente debole del rimando e del ritardo, tutte condizioni che ci portano invece a disperare.

Ecco perché è nel cuore della disperazione che si comincia a sperare. “La speranza piú intima –  sostiene Han – si risveglia proprio nel cuore della disperazione assoluta” (p. 11). Non solo i greci, ma anche Paolo di Tarso sottolinea come inerente alla speranza vi sia una negatività, quando afferma che la “la tribolazione produce perseveranza, la perseveranza virtú provata, la virtú provata speranza e la speranza non può essere motivo di vergogna” ().

A questo punto Han cita Nietzsche, il quale, in Umano, troppo umano, afferma che “La speranza è l’arcobaleno gettato al di sopra del ruscello precipitoso e repentino della vita, inghiottito centinaia di volte dalla spuma e sempre di nuovo ricomponentesi: continuamente lo supera con delicata bella temerarietà, proprio là dove rumoreggia piú selvaggiamente e pericolosamente” (p. 11). Come a dire che la speranza, anche se inghiottita dalla disperazione, riemerge sempre e comunque proprio laddove si fa di tutto per annichilita.

Un terzo carattere della speranza è che ti fa vedere cose che altri non vedono. E in questo senso è contemplativa: “Dentro la speranza abita un che di contemplativo. Essa si protende in avanti e sta in ascolto. La sua ricettività la rende temeraria, le conferisce bellezza e grazia. (p. 12).

A questo punto Han comincia a dire che cosa non è la speranza. Ad es. essa non va confusa con l’ottimismo, e questo perché “Al contrario della speranza, all’ottimismo manca ogni negatività. L’ottimismo non conosce né il dubbio né la disperazione. La sua essenza è la piatta positività. L’ottimista è convinto che le cose andranno per il meglio” (p. 12).

Inoltre per l’ottimista “il tempo è chiuso. L’avvenire come campo indeterminato del possibile gli è sconosciuto. Niente accade. Niente lo sorprende. Il futuro gli appare come a portata di mano(p. 12). Invece, per chi spera il futuro non è disponibile, non è prevedibile né pianificabile. Chi spera deve fare i conti con la distanza temporale, con il ritardo o addirittura con l’inaspettato e l’imprevisto che rende il futuro non calcolabile.

Inoltre, al contrario di chi è ottimista, “al quale non manca nulla e che non è in cammino, la speranza si presenta come un movimento di ricercaLa speranza è un tentativo di conquistare, raggiungere, afferrare una posizione e una direzione. Proprio per questo si avventura anche nell’ignoto, nel sentiero non battuto, nell’aperto, in ciò-che-non-è-ancora, poiché si protende oltre il già stato e oltre il semplicemente presente. Essa si dirige verso ciò che non è ancora venuto al mondo. Si apre al nuovo, al totalmente Altro, a ciò che non c’è mai stato” (p. 12).

Da ultimo, la posizione dell’ottimista non è una condizione che si conquista. Non costa nulla, per questa è troppo ingenua. Non conosce il dolore e la fatica della resistenza. L’ottimismo, scrive Han “è completamente autoevidente e privo di dubbi” (p. 12). C’è e basta!

L’ottimismo è indolore, mentre la speranza è profondamente dolorosa, perché lavora su ciò che è ancora assente. Scrive a tal proposito il filosofo T. Eagleton nel suo libro Speranza senza ottimismo, (Ponte delle Grazie, 2017), “Se sei ottimista non puoi farci niente. […] Sei incatenato alla tua gaiezza come lo schiavo al remo: è una prospettiva piuttosto cupa”.

L’ottimista si muove nell’ambito della pura e sterile ovvietà, la speranza, invece, non si presenta come qualcosa di ovvio. “Essa risveglia. Nella maggior parte dei casi deve essere evocataimplorata” (p. 13). Inoltre, per sperare bisogna trovare delle ragioni plausibili e, tuttavia, non sempre comprensibili. La speranza deve rendere conto di ciò che spera, e, proprio per questo, impegna e coinvolge, creando, in chi la vive, una sorta di “engagement” tanto caro a J. P. Sartre. Insomma, “al contrario dell’ottimismo, che è privo di ogni risolutezza, la speranza attiva mostra un coinvolto impegno. L’ottimista non agisce affatto. E all’azione è sempre connesso un rischio” (p. 13).

Lo dice anche S. Pietro nella sua Prima Lettera, quando, scrivendo ai primi cristiani martiri perseguitati a causa della loro fede, si rivolgeva loro, esortandoli e dicendo “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3,15).

Perché, mentre chi spera, rischia tutto, e lo fa sulla propria pelle, l’ottimista, invece, non rischia nulla, e se la cosa non si verifica, egli ne esce sempre indenne.

(…continua)

A cura di Michele Illiceto.

1 commenti su "La speranza. Controfigura dell’angoscia"

  1. Caro Michele, le tue riflessioni sulla speranza – sempre profonde – mi hanno fatto ritornare in mente le parole di Papa Francesco:
    “La speranza è una virtù che rimane nascosta. Una virtù rischiosa. Non è un’illusione. Una virtù che non delude mai: se tu speri, mai sarai deluso. È una virtù concreta, di tutti i giorni perché è un incontro.
    La speranza ha bisogno di pazienza, proprio come bisogna averne per veder crescere il grano di senape. È la pazienza di sapere che noi seminiamo, ma è Dio a dare la crescita.
    La speranza non è passivo ottimismo ma, al contrario, è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura. E la nostra speranza ha un volto: il volto del Signore risorto”.
    Papa Francesco
    Un caro saluto

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