La Corte d’Appello di Bari ha assolto un imprenditore barese dall’accusa di aver occultato e distrutto le scritture contabili della società di cui era legale rappresentante, ribaltando così la sentenza di primo grado che lo aveva condannato a un anno e sei mesi di reclusione. La decisione è arrivata dopo un attento esame delle prove raccolte nel processo d’appello, che ha portato i giudici a ritenere “insussistente il fatto”. L’imprenditore, di origini foggiane, era stato inizialmente ritenuto colpevole di aver deliberatamente eliminato la documentazione contabile della sua società, impedendo al fisco di ricostruire con precisione il volume d’affari dell’azienda. Tuttavia, la difesa, rappresentata dall’avvocato Antonio La Scala, ha saputo dimostrare che negli anni d’imposta oggetto della verifica fiscale da parte della Guardia di Finanza non era stata raggiunta la prova della pregressa esistenza della necessaria documentazione.
In altre parole, mancavano elementi certi per affermare che le scritture contabili fossero state effettivamente create e successivamente distrutte o occultate dall’imputato. Un elemento chiave nella strategia difensiva è stato il fatto che, al momento dell’accesso dei militari della Guardia di Finanza presso il domicilio dell’imprenditore, la società risultava già inattiva e non più operante. Tale circostanza è stata ritenuta decisiva per sostenere la tesi della non configurabilità del reato. Infatti, come ha sottolineato la difesa, perché si possa parlare di occultamento o distruzione di scritture contabili, è necessario che queste siano state in precedenza istituite. Nel caso specifico, invece, non vi era alcuna prova che tali scritture fossero mai esistite, escludendo così la possibilità che l’imputato le avesse eliminate o nascoste.
La Corte d’Appello ha dunque accolto la linea difensiva e ha annullato la condanna emessa in primo grado dal Tribunale di Bari, assolvendo l’imprenditore con formula piena. Questa decisione mette in luce l’importanza di un’accurata valutazione delle prove nei procedimenti penali legati ai reati fiscali e contabili, dove l’onere della prova gioca un ruolo cruciale. L’assoluzione dell’imprenditore barese rappresenta un caso significativo nel panorama giuridico, evidenziando come le accuse di reati tributari debbano basarsi su elementi concreti e non su presunzioni. La sentenza della Corte d’Appello di Bari sottolinea che, in assenza di prove certe sulla creazione e successiva eliminazione della documentazione contabile, non può configurarsi il reato di occultamento o distruzione delle scritture contabili.
L’avvocato Antonio La Scala, difensore dell’imprenditore, ha espresso soddisfazione per l’esito del processo, ribadendo l’importanza di garantire il rispetto dei principi del diritto penale e la necessità di un’accusa fondata su prove inconfutabili. “Questa sentenza conferma che la giustizia deve basarsi su elementi concreti e non su mere supposizioni. Il nostro assistito è stato accusato ingiustamente, e oggi la Corte d’Appello ha ristabilito la verità”, ha dichiarato l’avvocato La Scala. L’assoluzione dell’imprenditore segna dunque la fine di una vicenda giudiziaria complessa, che aveva visto in primo grado una condanna basata su elementi indiziari poi ritenuti insufficienti in appello. Il caso pone inoltre l’attenzione su un aspetto fondamentale del diritto tributario e penale: l’obbligo di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio la sussistenza di un reato prima di infliggere una condanna.
Questa vicenda, oltre a rappresentare un successo per la difesa, ribadisce l’importanza di un rigoroso accertamento della verità nei processi fiscali, evitando che imprenditori e professionisti possano subire condanne ingiuste basate su prove incerte o lacunose. La sentenza della Corte d’Appello di Bari diventa così un precedente significativo per casi analoghi in futuro.