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Padre Ciro, impossibile incontrarlo e non essere coinvolti dal suo richiamo gioioso

AUTORE:
Maria Teresa Perrino
PUBBLICATO IL:
22 Febbraio 2021
Capitanata-territorio // Cronaca //

(Ascoli Satriano) Capita, in tempi di Covid e di scarso movimento cui ci siamo abituati da un anno che sembra non finire mai, capita che apprendi della scomparsa di una persona che abita a 50 metri da casa tua attraverso i social. E’ capitato questa mattina ad Ascoli Satriano, piccola e antica comunità del subappennino, dove tra le cose che la definiscono da sempre c’è uno straordinario convento francescano.

 

E in questo convento c’era, perché oggi è mancato, lui, padre Ciro Nicola Nido, di 77 anni. Perché ricordarlo nel giorno in cui, secondo la fede cristiana, ha raggiunto il regno celeste? Perché è bene farlo, in un mondo che sempre di più sente tanto e troppo e con troppe contraddizioni ogni aspetto della vita sociale, compreso il mondo dei religiosi. Per provare dispiacere per la morte di questo umile frate non occorre necessariamente essere di provata fede cristiana. “Io ho fatto la mia parte, la vostra ve la insegni Cristo” ha lasciato detto e noi sappiamo che tanti, pur non credenti, hanno verso la figura di Gesù Cristo un rispetto e una venerazione profondissimi.

 

La stima nei duemila anni che ci separano da Lui si fonda sulle sue parole di mitezza assoluta, con le quali parlava ai poveri e ai potenti. Determinato e senza mai mancare di misericordia verso chi lo avvicinava. San Francesco ha saputo conquistare il cuore degli uomini seguendo le orme di Cristo. E gli umili fraticelli non sono stati da meno.

 

Nei suoi 77 anni di vita, la maggior parte dei quali spesi nel servizio sacerdotale, la comunità ha conosciuto nel nostro padre Ciro una persona di animo nobile, squisito, affettuoso, scherzoso, dal cuore d’oro, misericordioso, retto, amabile, affabile; egli sentiva in tutti quelli che incontrava la presenza di un fratello e di una sorella e aveva il dono di saper dire a ciascuno quello che ciascuno meditava e desiderava sentire nel suo cuore. Impossibile incontrarlo e non essere coinvolti dal suo richiamo gioioso. La gioia si dice debba di necessità appartenere a chi ha una fede profonda: la fede in Dio non consente la tristezza e l’abbattimento o la disperazione nemmeno nei momenti più bui della storia e della vita in generale. E questo umile fraticello era la testimonianza di una grande e tranquilla gioiosità interiore, che diffondeva a piene mani intorno a sé. Come i frati “cercatori” che i grandi capolavori alla Manzoni hanno saputo evocare: semplici, intenti ai servizi umili, senza mai cercare la gloria personale, lontani dalla potenza dei Cardinali e lontanissimi dalla religione vissuta come un semplice lavoro di un don Abbondio. Umili servitori come il loro Maestro.

 

E sì che ne avrebbe avuto di motivi, il nostro padre Ciro, per perdere il sorriso. Anni e anni di malattia. Fino all’accanimento finale del male. Ma mai nessuno ha avvertito il peso enorme che portava e che sosteneva con una leggerezza che solo l’imitazione di Cristo poteva rendere possibile.

Il convento di S. Potito di Ascoli (foto Garganotourism.it)

E’ stato un testimone perfetto. Lontano dai riflettori, sempre nel silenzio sulla sua persona ma ugualmente perfetto e riconoscibile agli occhi delle tante persone che lo hanno avvicinato. Lui era “cercatore di anime”: gli era affidato da sempre anche l’esercizio della Confessione cristiana, che era per un grande santo come Padre Pio un compito di grandissima importanza. E con la stessa consapevolezza lo ha affrontato anche questo bravo frate, che dispensava speranza, in quella visione più recente fatta dalla chiesa di un Dio misericordioso, che ama i suoi figli e che non li mette alla prova “se non per dispensare un dono più grande”. Padre Ciro ha saputo testimoniare Dio Padre che ama i suoi figli e che non li vuole disperati. E che si serve delle parole salvifiche ma semplici di una persona amabile, anch’essa semplice e sincera.

 

La sua dottrina era la dottrina del cuore e dell’amore verso i suoi simili. Ha seguito il suo Maestro anche nella passione. Gesù sulla croce, quando chiede al Padre suo perché lo aveva abbandonato, è stato detto che rappresenta tutti noi nel momento della prova, quella terribile e che ci fa umanamente paura. Ma Gesù evidentemente riesce a trovare e dare la forza. E questo frate amato da tutti e amabile con tutti, non si è limitato ad accogliere la sua croce ma l’ha abbracciata in pieno. E si accavallano oggi nella comunità i ricordi di tanti altri bravi sacerdoti. E nessuno dimentica quei nomi che si tramandano nei ricordi delle famiglie. Nella dipartita di uno, ecco che rispuntano, come d’incanto. E se anche con il passare degli anni dovranno necessariamente sparire i singoli nomi, avviene di loro quello che avviene per i buoni genitori e i buoni educatori: hanno seminato buoni valori in grado di perpetuarsi automaticamente e anonimamente al passaggio delle Generazioni.

 

Cadiamo, dicono i Poeti, come foglie, nella nostra fragilità. Ma le radici durano millenni. Questo ci dicono i nostri amati ulivi. Nodosi, fermi, saldi; l’idea stessa di immortalità.

La terra stessa sarà sicuramente leggera e protettiva anche  per questo nostro amato confratello.

Maria Teresa Perrino, 22 febbraio 2021

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