Manfredonia. La storia industriale manfredoniana è maturata alla fine degli anni 60 con l’Enichem e più o meno è morta con lei. Già alla sua nascita presentava delle notevoli criticità, soprattutto con riferimento alla localizzazione, probabilmente necessaria per l’azienda ma non per il territorio. Esso, da allora, ha dovuto definitivamente abbandonare la sua vocazione turistica, ben più evoluta a suo tempo delle circostanti località garganiche, che da quel momento in poi si sono sviluppate a suo discapito e per la verità con un più che discreto successo. Fin quando è stata attiva, non si può negare abbia portato un discreto benessere, ma non per quanto sperato e per ragioni piuttosto ovvie. Innanzitutto, perché insisteva su territorio del Comune di Monte Sant’Angelo e quindiquest’ultima ha potuto inserirvi buona parte della propria forza lavoro, nonostante la vicinanza con Manfredonia che per conseguenza ne subiva tutti gli effetti nefasti a cominciare dall’inquinamento e dalla rovina definitiva del paesaggio.
Poi perché, da azienda di stato, era caratterizzata dalle problematiche che questo comporta, specie nella scarsa capacità gestionale e di innovazione, tant’è che già dopo pochi anni è andata in sofferenza fino alla definitiva liquidazione, lasciandosi alle spalle numerosi e pesanti fardelli: il disastro ambientale, la disoccupazione e la nuova emigrazione, l’impossibilità di una riconversione turistica, il non aver generato un indotto in grado assorbire la manodopera abbandonata e soprattutto la mancata nascita di borghesia industriale cittadina capace di subentrare. Ovviamente, a discolpa, va detto questo accade immancabilmente quando a chiudere è una azienda di stato, e dunque non si è fatto eccezione.
A quel punto non vi è stata alternativa, si è dovuto cedere il posto agli imprenditori “scesi dal nord”, che sempre sono invogliati a delocalizzare solo a due precise condizioni: quando la loro azienda è praticamente decotta, magari perché ha costi eccessivi, perché inquina, perché non ha ammodernato, e contemporaneamente il guadagno nel nuovo territorio è certo, specie quando il contribuente concorre agli esangui ricavi. Anche in questi casi l’esito, però, è scontato. Ovviamente nella vulgata si è convinti che i protagonisti di una delocalizzazione, cioè lo spostamento della produzione, siano sempre i soliti padroni ingordi, purtroppo la realtà è tutt’altra.
Un’azienda florida non delocalizza poiché non ne ha bisogno e non intende rischiare del proprio, al massimo si espande, cioè apre nuovi stabilimenti non certo li trasferisce. Investire in nuovi territori significa affrontare fisco, giustizia, costumi, sicurezza oltremodo nuovi e rischiosi, soprattutto nei paesi in via di sviluppo dove l’unico vantaggio è costituito dal basso costo della manodopera e mai il gioco vale la candela se l’azienda non è già in gravi difficoltà. Se poi le aziende delocalizzano in paesi dove addirittura la manodopera è anche più costosa, come in Germania, e questo purtroppo accade in ultimo molto più spesso di quanto si creda, allora vuole dire che la responsabilità del sindacato in prima battuta, ma anche dell’intero sistema paese è immenso, ma questa è un’altra storia.
Tornando all’oggi e alle prospettive future è necessario prendere atto di una circostanza evidente: l’Italia non beneficia di alcuna risorsa naturale se non le bellezze naturali, tant’è che è un ottimo paese manifatturiero. D’altro canto, Manfredonia ha salutato da tempo la vocazione turistica e a qualcos’altro deve affidarsi e sia chiaro, nessuna è priva di inconvenienti in termini di disagio ambientale. Persino l’attività turistica inquina, soprattutto quando è sviluppata, ed inquinanole cosiddette attività green. Per scoprirlo basta ammirare i paesaggi devastati dai moderni mulini a vento o dai pannelli solari fatti di enormi quantità di silicio che non è a buon mercato, dura al massimo venti anni e poi deve essere smaltito. Posto che, non solo l’energia è uno dei beni essenziali per l’uomo al pari dell’acqua e del cibo, forse sarebbe opportuno affidarsi alla scienza e al progresso tecnologico. Vero è che molti non ne non hanno alcuna fiducia, basti guardare alla vicenda dei vaccini, ma è anche vero che essi, dalla rivoluzione industriale in poi, hanno permesso all’umanità intera di raddoppiarsi nel numero circa ogni cento anni e persino di raddoppiare quasi l’aspettativa di vita.
Tanto più che un paese manufatturiero ha bisogno di energia e anche tanta. In passato si è fatto ricorso al Medio Oriente, ma i regimi totalitari che lo compongono sono un pessimo partner commerciale e quindi ci si è affidati alle buone grazie dell’orso sovietico, ma si è visto con che esiti: è ovvio che i detentori di risorse energetiche beneficiano di una enorme arma di ricatto e per giunta accusano proprio i destinatari occidentali di essere ricattatori e colonialisti, magari per avere la scusa di invaderli.
In queste condizioni l’Italia e l’Europa intera, quindi,dovrebbero far tesoro della lezione che già da tempo Francia e Stati Uniti hanno ben compreso, vale a dire dell’indipendenza energetica. Di conseguenza l’unico bene di cui non si dovrebbe soffrire mai crisi alcuna è proprio l’energia, poiché ve ne sarà sempre di maggior bisogno e a sua volta è indispensabile per produrre tutto il resto. D’altro canto, affidandosi alla scienza e ai numeri si scopre che solo il nucleare è in grado di soddisfare le necessità energetiche di un qualsiasi paese occidentale e sviluppato, mentre le altre tecnologie, pur lodevoli, valgono per un decimo di esso in termini di capacità produttiva e oltretutto sono intermittenti. Quindi anche ad investire in esse, esiste un periodo della giornata in cui si deve sopperire comunque alla deficienza, e se si ricorre ai fossili tutto il presunto risparmio economico ed ambientale prodotto si viene ad annullare e superare.
A questo proposito non va dimenticato che esiste una propaganda ambientalista che è sontuosamente foraggiata dalle compagnie produttrici di fossili per due evidenti ragioni. Per dimostrare una ipocrita attenzione verso l’ambiente, tant’è che la loro pubblicità è ampiamente edulcorata con i temi ambientali, ma soprattutto per osteggiare il nucleare e sostenere fintamente le fonti alternative, il primo perché è il loro vero competitore pericolosissimo, le seconde perché non hanno futuro e non saranno per loro mai una minaccia. E questi, cioè i produttori di fossili, la scienza e i reali valori di mercato li conoscono molto bene, e di emozioni e false rappresentazioni ideologiche non vivono. Infatti, di inganni fanno largo uso attraverso studi farlocchi ampiamente incamerati e propagandati dall’ambientalismo altrettanto farlocco mondiale che osteggia ovunque il nucleare.
Questo per quanto concerne la produttività e i vantaggi economici e di lavoro che produrrebbero, ivi compresi la quasi cancellata bolletta dell’energia di cui tutti gli abitanti del luogo in cui insiste la stabilimento riuscirebbero a beneficiare.
Quanto all’inquinamento il nucleare attuale produce scorie come tutti sanno, ma custodirle non è necessaria una tecnologia sopraffina, anche perché l’alternativa reale non sono i pannelli solari o l’eolico che pure inquinano, ma i fossili con polveri sottili, ossido di carbonio e riscaldamento globale al seguito. Inseguiamo oggi l’ambientalismo farlocco come un tempo si inseguiva il comunismo e giustificavamo i pessimi risultati conseguiti da quel fallimentare sistema economico come giustifichiamo i pessimi risultati che l’attuale ambientalismo ha prodotto, con la scusa che il vero comunismo o il vero ambientalismo devono ancora venire e vanno perseguiti per la giustizia sociale e per la moralità. La realtà è un’altra e nel frattempo si muore di anidride carbonica inseguono fantasmi.
Vai a farti una vacanza a Chernobyl.
“Quindi la mia idea è che mettere centrali nucleari in Paesi tipo l’Italia, con grande sismicità e con una densità di popolazione tra le più alte, è una cosa stupida. Diverso farlo in Francia o in Germania, che hanno zone sismicamente tranquille e a bassa densità di popolazione. In quel caso il rapporto costi/benefici è completamente diverso” G. Parisi (premio Nobel per la Fisica)