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MICHELE ILLICETO Morte dei due neonati. E se vi raccontassi un’altra storia?

"Una storia vera. La storia della ragazza della porta accanto. Una di noi"

AUTORE:
Michele Illiceto
PUBBLICATO IL:
23 Settembre 2024
Cronaca // Manfredonia //

Può una donna dimenticare il bambino lattante e non aver compassione del figlio delle sue viscere? Anche se esse dovessero dimenticare, io non ti dimenticherò dice il Signore” (Is 49,15).

Non è necessario essere credenti per non emozionarsi di fronte a una affermazione del genere, che si trova nella tradizione profetica dell’A.T. della Bibbia. Frase che coglie fin dall’antichità (siamo nell’VIII sec a. c.) il senso del dramma che si è consumato a Traversetolo,dove una giovane studentessaha ucciso e sepolto nel giardino di casa, a distanza di due anni, i suoi due neonati, tornando poi, come se nulla fosse, alla sua vita normale.

Massimo Gramellini, nel suo “Caffè” sul Corriere della sera, qualche giorno fa ha scritto che “accanto all’orrore, la cifra di questa storia è la solitudine. Ma mentre l’orrore può essere liquidato alla stregua di un evento eccezionale e perciò a noi estraneo, la solitudine ci riguarda eccome. E porta a chiedersi: quando io guardo gli altri, persino coloro che amo, li vedo davvero?”.

Già! La solitudine e la crisi della prossimità. La fine dell’alterità. Sono queste le vere cause dei molti episodi tragici come quello consumato a Traversetolo? Che cosa ci fosse nella mente della studentessa baby sitter è presto a dirlo. Ce lo diranno gli inquirenti nei prossimi giorni.

E se invece provassi a raccontarvi un’altra storia? Una storia vera. La storia della ragazza della porta accanto. Una di noi. E farlo solo per dirvi che non c’è nulla in questo mondo che “in sé” sia sbagliato, se non a causa delle nostre scelte, degli stili di vita sballati spesso influenzati da quel radicale rovesciamento di valori che da alcuni decenni sta condizionato sia giovani che adulti.

Ecco la storia.

Lo scorso anno,Sofia, una mia alunna sedicenne, frequentante il terzo anno del liceo classico, prima di Natale, si è trovata incinta, e, nonostante la sua giovanissima età, ha trovato il coraggio, supportata dalla famiglia e dal suo ragazzo, giovanissimo anche lui, di portare avanti la gravidanza, scegliendo di stare, come mi ha confidato qualche settimana dopo, “dalla parte della vita”.

Non sono stati pochi coloro che l’hanno messa in guardia rispetto a quello che avrebbe affrontato, vista la sua giovane età. Ma lei, niente! E’ rimasta ferma nella sua scelta ed è andata avanti in modo convinto e sereno.

Quando lo ha comunicato alla classe, non vi dico sia la sorpresa che la gioia che ha provocato nei suoi amici! Nessun dito puntato, nessun giudizio o sguardo di traverso. Nessuna forma di colpevolizzazione. Nessuna discriminazione. E noi docenti altrettanto. Solo che dovevamo organizzarci per poter riadattare sia i ritmi scolastici che il nostro relazionarci. Debbo dire che non è stato difficile, anche perché motivati da tanto coraggio e coraggio che Sofia ci stava offrendo.

Quella gravidanza l’abbiamo da subito vissuta in modo collettivo. E così, in classe, non erano più venti alunni, ma ventuno. E, scherzando, qualche volta, la mattina facevo anche l’appello per vedere se il bambino (o la bambina, ancora non si sapeva)là nel grembo fosse attento o distratto.

E pensare che qualche giorno prima, dopo aver spiegato Socrate, che con la sua maieutica faceva “partorire” le menti, avevo detto agli alunni di fare un cartellone con su scritto “Sala Parto” e di affiggerlo alla porta della classe! Il caso volle che sala parto fu!

Quel bambino non era solo suo, ma era anche nostro. Lo avevamo adottato tuttiinsieme. E’ cresciuto lui nel pancione e siamo cresciuti noi nell’aspettarlo e desiderarlo. Pronti ad accoglierlo. Ciascunalunno e ciascuna alunna in quei mesi ha rivissuto la propria gestazione, quel periodo fetale che, ahimè, non ci è dato ricordare, ma che comunque ce lo portiamo dentro, scritto nel nostro inconscio, come il tempo più bello della nostra vita. Insomma, in quel pancione c’eravamo anche noi.

Nei mesi successivi, il pancione cresceva e con esso le nostre premure e le nostre attenzioni, insieme alle nostre paure, temendo che qualcosa potesse andare storto.

Quel bambino, che ancora non c’era, era come se già ci fosse. Era tra i nostri banchi, ascoltava le nostre lezioni, e si faceva sentire quando, di tanto in tanto, scalciava. Dalsuo nascondiglio ci ha responsabilizzati tutti, coinvolgendoci in un evento singolare. Ci ha fatto toccare con mano quanto preziosa fosse la vita. Quanta attenzione chiede e quanta tenerezza suscita. E spesso ci dicevamo che la vita più che un problema è un mistero che ci supera e ci stupisce. Non un gioco o un peso, ma solo un immenso e grande dono.

E così, tra una lezione su Platone e una su Aristotele, senza perdere un giorno di lezione, la giovane mamma, mentre svolgeva i suoi compiti di studentessa, si preparava al parto con trepidazione ma anche con gioia, tranquillizzata e rassicurata da un ambiente amicale accogliente. E noi con lei, come se quel figlio fosse anche un poco nostro, sicuri che ciascuno, in quel parto, avrebbe rivissuto il proprio.

Un giorno dovevo spiegare il Fedro di Platone, che parla della nascita degli uomini attraverso il famoso mito della biga alata. E siccome sono abituato quando spiego a prendere spunto dai miei alunni e dalle situazioni che vivono di volta in volta, quel giorno presi spunto dal pancone della mia alunna. “Nascere –  cominciai a dire –  è cadere dal cielo degli dei, è perdere le ali ed entrare in un corpo che ci tiene come in una prigione in attesa che, attraverso l’Eros (amore), le ali ricrescano (non senza dolore) sì che noi, liberati da questo corpo, finalmente possiamo fare ritorno a quel cielo da cui siamo caduti. Ma il cielo, ragazzi, che cos’è per noi oggi? Ebbene il cielo è il grembo di nostra madre? Guardate il pancione di…..! E’ lì che siamo stati. Quel pancione è stata la nostra prima Oikia, la nostra prima casa”.

Questo evento ha avuto un effetto positivo sia sulle ragazze che sui maschietti. Su questi ultimi in particolare. Si sa infatti che, proprio durante l’adolescenza, questi ultimi tendono ad assumere atteggiamenti spavaldi, inseguendo modelli maschili ispirati alla prepotenza e al controllo, rendendoli possessivi. Al contrario, questo evento li ha maternalizzati, rendendoli più sensibili e disponibili, più premurosi e rispettosi verso il mondo femminile.

Abbiamo toccato con mano che la vita è un miracolo e un mistero, un grande dono se, alla nascita, c’è chi è pronto ad accoglierti e ad amarti, come ogni neonato merita e abbisogna.

Finalmente, a scuola finita, in piena estate la mia alunna ha partorito una bella bambina che ora ha tre mesi. Il suo nome è Beatrice, sì che anche Dante sarà contento.

Quando sono andata a trovare Sofia, a casa sua, mi ha fatto una tenerezza immensa. Tra un pianto di e una poppata, le ho chiesto come stesse andando, e lei mi ha risposto che era davvero felice. C’era anche il suo ragazzo, padre della bimba che si perdeva in quello abbraccio che non gli pareva vero.

Qualche settimana fa, è ricominciata la scuola, e la mia alunna, neo-mamma, puntualmente è tornata. Ora non è solo una studentessa, ma è anche madre. E riesce a fare bene tutte e due le cose insieme, certo non senza una buona dose di sacrificio, grazie anche al supporto della famiglia e degli amici che le stanno vicino e le danno sostegno.

Ho voluto rendere pubblica questa storia (come tante altre nel passato) per smorzare il disincanto e lo sgomento che la notizia della uccisione dei due neonati ha provocato in tutti noi. Una storia diversa, che nessuno sapeva. Che non ha fatto notizia, ma che a noi docenti ai nostri alunni ha insegnato e dato tanto.

La vita è un miracolo che per realizzarsi esige solo una dose di coraggio e di rispetto, specie quando si tratta della vita di un altro che, nella fragilità e vulnerabilità di un neonato, ci viene affidata e consegnata. Siamo in debito con la vita di chi ci ha messo al mondo e siamo responsabili della vita di chi mettiamo al mondo. E, se da soli non ce la facciamo, possiamo chiedere aiuto agli altri, alla comunità. Perché ogni bambino che nasce appartiene a tutti. E’ sempre figlio della comunità,

Ha avuto ragione la cantate Fiorella Mannoia, quando, in un suo testo ha cantato queste parole:

 

La vita? Che sia benedetta.

Per quanto assurda e complessa ci sembri, la vita è perfetta.

Per quanto sembri incoerente e testarda, se cadi ti aspetta.

Siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta…

Siamo eterno, siamo passi, siamo storie…

Quante volte condanniamo questa vita, illudendoci d’averla già capita.

Non basta, non basta!

 

5 commenti su "Morte dei due neonati. E se vi raccontassi un’altra storia?"

  1. Questa storia della “ragazza della porta accanto” è molto bella, perche è vera, ci tocca molto da vicino, è la storia di uno/una di noi, non di un romanzo o una storia esibita su Instagram, ma è una storia vissuta che tocca la realtà della nostra stessa carne. E’ una storia che spazza via la paura che ci ha assaliti all’ascolto di quell’atra terribile storia dei neonati, che il nostro inconscio tende a rimuovere subito e a circoscrivere in un fatto di pura e brutta cronaca come ce ne sono tante e che quasi quasi non ci tocca, perchè noi siamo “altro” da quella persona. Temiamo di farci interrogare da quel fatto, su ciò che manca nel nostro tempo, sul senso di solitudine e autosufficienza che ci pervade. Ma, per fortuna, esiste un’altra possibilità nella nostra vita, la condivisione di ciò che sentiamo dentro, di ciò che ci preoccupa ogni giorno. Riconoscere che una vita ci è stata donata e che noi possiamo responsabilmente generarla.
    chiedendo l’aiuto necessario, con entusiasmo, perchè nessuna vita va sprecata.

  2. Caro Michele, è vero: “Non c’è nulla in questo mondo che “in sé” sia sbagliato, se non a causa delle nostre scelte, degli stili di vita sballati spesso influenzati da quel radicale rovesciamento di valori che da alcuni decenni sta condizionato sia giovani che adulti”.
    Come ha ben detto il prof. Tommaso Scandroglio – filosofo – la “cultura di morte” si realizza quando vengono ad esistenza tutte insieme: la normalità del male, la liceità morale del male, la legittimazione giuridica del male e la collaborazione sociale al male.
    La bella storia di Sofia che hai raccontato è un esempio per tutti e ci fa ben sperare per il futuro. Certo la vita è un miracolo, soprattutto per i credenti.
    Tuttavia, io penso anche che il “non credente”, di fronte alla nascita di un bambino/a, non può che riconoscere e arrendersi di fronte – se non al miracolo – alla straordinarietà dell’evento. La nascita è un fatto, un accadimento, un inno alla vita!

    “Un neonato rappresenta il convincimento di Dio che la vita debba continuare.”
    Carl August Sandburg

    Grazie Michele, per la tua testimonianza.
    Un caro saluto
    Raffaele Vairo

  3. La vita é un gran dono ma se non ci relazioniamo, se ci sentiamo soli, può diventare la nostra prigione. Noi per gli altri dobbiamo essere un dono e questa storia di Sofia, della sua classe, della comunità, della sua famiglia, rappresenta proprio questo.
    Aiutiamoci, ascoltiamoci, dedichiamoci al prossimo, parliamo di piú, affinché nessuno senta il peso del proprio quotidiano, della propria vita ma che si viva la condivisione. Perché insieme é piú semplice, é piú bello.
    Che Dio benedica Sofia, la sua famiglia, i suoi amici, i suoi professori e tutti i ragazzi che si sentono in difficoltà.

  4. Grazie, davvero grazie.
    Anche in famiglia attendiamo il miracolo di una nascita: la nostra nipotina…… Stella si chiamerà e faremo con tutto il nostro amore e l’ aiuto di Dio perché sia una Vera Stella.

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