Manfredonia. Le piante di olivo che vengono coltivate nei chiuseti “ndi chiuse” nell’agro sipontino e dintorni sono quelle che producono alcune specie di olive quali: olive nostrane dette “i nustréle”; le Coratine “i quaratine”; le Prevenzane o Provenzali “i prevenzéne” (olive rotonde dal sapore dolce); le Santagostine “i Sandaustine” (olive che si raccoglievano un tempo il 28 agosto giorno di S.Agostino); le Leccine “i leccijne”; ed infine le olive verdi grandi dette “vuceddùne” e le “spagnòle” . Da alcuni anni con l’anticipo delle stagioni, fenomeno dovuto all’inquinamento e al conseguente riscaldamento terrestre, tutte le colture: olive, cereali, uva, frutta e ortaggi, hanno subito un anticipo nella raccolta di questi prodotti della terra. Era usanza degli agricoltori e contadini prima di raccogliere le olive aspettare che le stesse maturassero al punto giusto “ce cugghievene a mméne quanne ievene deventete locide e chione d’ugghje” per avere una buona resa di olio al frantoio. Tuttora, Il contadino o proprietario di oliveti per verificare se le olive sono pronte per essere raccolte, coglie alcune dall’albero e le strofina tra le mani. Se queste rimangono unte allora sono pronte “pa cugghieture”.
Fino agli anni ’70-‘80 la prima “raccòlte” delle olive erano quelle che cadevano a terra a causa del vento o altre intemperie. Questo lavoro (oggi quasi in disuso) veniva eseguito da un gruppo di donne, comandate dalla “fiduciaria” del padrone detta “a capuralèsse” o “capuréle”. Queste olive danno un olio scadente che va sotto il nome di “ugghie de casche”. Era un lavoro poco redditizio per il padrone e molto pesante per le operaie perché per ore dovevano stare ricurve a terra a raccogliere sotto l’occhio vigile della “capurele” quante più olive possibili cadute sul terreno. Poverine, a conclusione della giornata di lavoro, avevano la schiena a pezzi “tenevene i custe sdrenéte”. La raccolta tradizionale delle olive veniva effettuata a mano con pesanti teloni “i rachene d’engeréte” o “de panne” che venivano sistemati intorno agli alberi, utilizzando scale di legno lunghe 10 gradini “pi iammette” (alberelli di olivo piccoli) e con scale alte sei o sette metri (per gli alberi secolari). I rami pieni di olive sui rami più alti dell’albero che non si potevano raggiungere con la scala si battevano (lo si fa tuttora) con i “frustine” o “bbacchettine” (bacchette di legno ricavate da rami –i lupe- di mandorlo o di olivo). Negli anni ’60-’70 per velocizzare la raccolta delle olive sempre a mano venivano utilizzate (ora in forma minore) dei pettini d’acciaio o di ferro, poi di plastica che si infilano nei rami e strisciando a strappo sugli stessi fanno cadere le olive al suolo. Quando si raccoglievano e si raccolgono le olive con le scale si inizia dalla chioma fino a scendere verso i rami della parte bassa dell’albero. La scala se non viene messa bene “a croce” tra i rami dell’albero si rischia di cadere dall’albero e farsi male.
Nelle coltivazioni a terrazzo, del nostro agro, le olive raccolte fino agli anni ’70-‘80 venivano trasportate nei sacchi sul dorso dei muli o degli asini legati con il peso ben equilibrato lateralmente al basto ”alla varde”. I pesanti teli di panno per la raccolta delle olive sono stati sostituiti da reti di nylon “i rachene de rite”, resistenti e molto più leggere e facili da spostare da un albero all’altro di olivo. Un tempo le parenzane “i prevenzene” (una specie di oliva dolce rotonda nostrana) per non farle rovinare si raccoglievano a mano “pu panarille” (piccolo paniere in vimini) salendo sulle scale e poi si mettevano “ndi sporte” o in grossi “panere” (grandi panieri in vimini) o nei “casscettune de legne” (grossi contenitori di legno) per venderle ai commercianti o al dettaglio in casa. A tal proposito, mi ricordo da ragazzo che con mio padre Pasquale Rinaldi detto “Marascialle”, quando andavamo a raccogliere “i prevenzene nda chiusette” di proprietà dei miei nonni paterni, mio nonno, Leonardo Rinaldi ci redarguiva se facevamo cadere a terra dall’albero anche poche olive. Quando le stagioni erano regolari “i prevenzene” si raccoglievano verso la metà di settembre nel momento in cui come si diceva un tempo “ce ievene ggerete” ed erano pronte per la conservazione in salamoia. Quando invece le stesse sono completamente mature vengono raccolte e c’è l’usanza tuttora di metterle sotto sale per una settimana-dieci giorni, con aglio, finocchietto selvatico e cortecce di arancia o mandarino, prima di mangiarle. In alcuni chiuseti dove ci sono molte piante di “prevenzene” vengono raccolte e mischiate con le olive tradizionali. L’olio extravergine prodotto viene ancora più gustoso, perché è ancora più dolce, in particolare se la coltivazione è biologica, senza l’utilizzo di antiparassitari.
Anche le grosse olive dolci verdi da tavola “i spagnole” e i “i vuceddune” si raccolgono tuttora con molta cautela per non rovinare il prodotto che viene venduto alle piccole aziende dove vengono trattate per la loro conservazione e commercializzazione.
Altro modo di raccogliere le olive in particolare nelle coltivazioni a terrazzo, in zone più scoscese, dove è più faticoso l’utilizzo delle scale di legno, è quello che si faceva (e si pratica tuttora) da terra, utilizzando, dopo aver messo i teli sotto l’albero lunghe pertiche “i mazze longhe” un tempo di legno, oggi di alluminio. Battend1o sui rami le olive cadono su1lla rete e dopo averle ripulite dai rami vengono messe nei sacchi e portate al frantoio. Fino agli anni ’70 i vecchi frantoi “i trappute andiche” per la molitura delle olive dove l’igiene scarseggiava, nei camini di pietra “fatiscenti”, dove le olive venivano ammassate, il calore che le stesse sprigionavano dopo alcuni giorni provocava la muffa. Per la verità, ricordo anche che alcuni contadini volutamente tenevano le olive più giorni nelle fosse “ndi camine” per farle fermentare, perché sostenevano che così facendo producevano più olio. Da molti anni le olive vengono sistemate presso i frantoi moderni in grossi contenitori di plastica “i cestune” dove possono arieggiare e non si surriscaldano come accadeva un tempo. Negli anni ’80 è iniziata la raccolta con il sistema meccanico. C’era la tecnica a ombrello rovesciato: un grosso braccio d’acciaio azionato meccanicamente stringeva l’albero carico di olive e lo scuoteva violentemente facendole cadere sulle reti disposte intorno all’albero. Questo modo di raccolta provocava danni alla piante. Da alcuni anni la raccolta meccanica delle olive nelle nostre zone avviene meccanicamente con “i paparelle”. Utilizzando aste regolabili sorrette con mani-braccia alla punta delle quali sono predisposti i pettini “i paparelle” che fatti vibrare a pressione velocemente da un motore agricolo o da una batteria scuotono i rami e fanno cadere rapidamente le olive sulle reti poste a terra intorno agli alberi. Le olive che cadono fuori dal telo durante la bacchiatura vanno sotto il nome di “scundatore”. La molitura delle olive per la produzione dell’olio extravergine nel frantoio, avviene tuttora seguendo due processi: quello tradizionale utilizzato ancora da alcuni frantoi, con sistema a pressa e quello moderno con le centrifughe di pasta o decanter a freddo. Per macinare le olive al frantoio bisognava portare almeno “na ‘mbòste” (corrispondente almeno a due quintali e mezzo di olive); o “na chianghe” pari a 7,5 quintali di olive, equivalente a tre “mbòste”. Con il sistema antico con presse, la pasta di olive viene ad essere posta su dischi filtranti – “i fisque” – un tempo di canapa, (nel nostro territorio un tempo venivano fatti artigianalmente dai cestai con giunchi di mare), poi di fibre di cocco, attualmente di fibre sintetiche molto resistenti.
I nemici principali delle olive sono la mosca olearia (dacus oleae), la tignola (prays oleellus) e nelle nostre zone anche gli storni. Questi uccelli, voraci di olive, che nel periodo autunnale invadono a migliaia il nostro territorio, quando atterrano in un “chiuseto” dove le olive non sono state ancora raccolte procurano danni seri. Il migliore olio prodotto nelle nostre zone a detta di esperti, è quello di “croste” perchè contiene poca acidità. Viene prodotto con olive coltivate su alberi in zona collinare che va “dai Matine de San Giuanne fine e Macchia” (dalle Matine di San Giovanni Rotondo fino a Macchia).
Va evidenziato che quest’anno la qualità dell’olio prodotto nel nostro agro e dintorni è eccezionale.
FOTOGALLERY A CURA DI FRANCO RINALDI
Redazione Stato Quotidiano.it – Riproduzioneriservata
L’oro verde del Gargano, questo è uno dei nostri vanti!
Sessanta anni fa con un litro di olio si pagava una giornata lavorativa di un operaio agricolo, 500 lire, oggi più di dieci volte tanto