Roma. Cemento, erosione costiera, mala depurazione e beach litter. Le minacce per le coste che i cambiamenti climatici renderanno più fragili. “Uscire da politiche separate e puntare su tutela, turismo sostenibile, valorizzazione dei sistemi dunali: nuove politiche di sviluppo per le sponde del Mare nostrum”. Oltre settemila chilometri di coste con bellezze storiche, ambientali, geomorfologiche che determinano in modo significativo l’identità del Belpaese. Coste al centro di uno dei mari più delicati del pianeta per ragioni ambientali ma anche culturali e commerciali, banco di prova imprescindibile rispetto ai cambiamenti climatici, sui quali pesano le conseguenze di politiche miopi e inefficienze storiche.
Oggi il 51% dei litorali italiani è stato trasformato da case e palazzi e la cifra, senza un cambio delle politiche, è destinato a crescere: negli ultimi decenni al ritmo di 8 chilometri all’anno, più della metà dei paesaggi costieri sono stati trasformati da palazzi, alberghi e ville. Un terzo delle spiagge è interessato da fenomeni erosivi attualmente in espansione; 14.542 sono le infrazioni accertate nel corso del 2014 tra reati inerenti al mare e alla costa in Italia, 40 al giorno, 2 ogni chilometro, ancora in crescita rispetto al 2013. L’habitat marino è costantemente messo alla prova dall’inquinamento, con il 25% degli scarichi cittadini ancora non depurati (40% in alcune località) e ben 1.022 agglomerati in procedura di infrazione europea. Il 45% dei prelievi realizzati da Goletta Verde nel 2015 è risultato inquinato, mentre la plastica continua a colonizzare spiagge e fondali marini. Solo il 19% della costa (1.235 chilometri) è sottoposta a vincoli di tutela. Questa la foto dell’Italia a partire dalle coste analizzate a 360 gradi, con 16 contributi di esperti dedicati alle aree costiere e allo stato di salute dei nostri mari e al Mediterraneo quale hot spot del cambiamento climatico, offerta dal rapporto Ambiente Italia 2016, a cura di Legambiente e edito da Edizioni Ambiente, che è stato presentato oggi a Roma. Alla conferenza stampa hanno partecipato il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini, il Responsabile delle Politiche Ambientali e territorio dell’Anci Antonio Ragonesi, il Professor Enzo Pranzini, dell’Università di Firenze, il Direttore dell’Area marina protetta “Isole Egadi” Stefano Donati, il Responsabile Scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti, il Sottosegretario al Ministero dei Beni culturali Ilaria Borletti Buitoni, il Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente Silvia Velo, il Presidente della Commissione Ambiente della Camera Ermete Realacci, il Sindaco di Posada Roberto Tola, il Vicepresidente del sindacato Balneari Confcommercio Antonio Capacchione e la presidente nazionale di Legambiente Rossella Muroni. “Le coste sono uno straordinario patrimonio del nostro Paese – ha dichiarato Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente e curatore insieme a Sebastiano Venneri e Giorgio Zampetti del volume – che dobbiamo liberare dalla pressione di cemento e inquinamento. Il Rapporto Ambiente Italia presenta una fotografia di questi impatti con dati davvero inquietanti e studi che dimostrano come sia possibile invertire questa situazione attraverso un cambio delle politiche. Proprio la sfida che i cambiamenti climatici pongono alle aree costiere del Mediterraneo, con impatti significativi sugli ecosistemi, sulla linea di costa e sulle aree urbane, deve portare a una nuova e più incisiva visione degli interventi. Occorre rafforzare la resilienza dei territori ai cambiamenti climatici e spingere verso la riqualificazione e valorizzazione diffusa del patrimonio costiero”. Il volume, attraverso contributi diversi, mette in evidenza i diversi processi che incidono sullo stato di salute delle coste italiane e la stretta relazione tra i fenomeni. La stessa erosione costiera, un fenomeno in espansione legato a molteplici cause, che riguardano sia le trasformazioni provocate da porti e interventi sul litorale che la riduzione degli apporti dei sedimenti dalle aree interne attraverso i fiumi per vie di dighe, sbarramenti e cave.
Situazioni che sarà sempre più importante monitorare per capire come intervenire in una prospettiva di cambiamenti climatici. Le ragioni della fragilità delle aree costiere italiane – è noto – sono dovute a problemi idrogeologici e alle conseguenze di urbanizzazioni, sia legali che abusive, in posti scellerati spesso a rischio dissesto. E’ oramai evidente che alcuni fenomeni meteorologici – come i danni provocati da temporali, alluvioni e esondazioni che abbiamo visto negli ultimi anni a Genova, Olbia, Messina – si stiano ripetendo con nuova intensità e frequenza. Si tratta delle prime avvisaglie dei cambiamenti climatici che rendono i nostri territori costieri più fragili e mettono in pericolo le persone, insieme al fenomeno dell’innalzamento dei mari. Eventi che occorre studiare con attenzione e rispetto ai quali dobbiamo mettere in campo nuovi interventi di adattamento nei territori e di protezione civile per salvare le persone. Tra le minacce incombenti il fenomeno dell’erosione costiera, che oggi interessa in maniera più o meno diffusa tutte le regioni italiane, come racconta nel suo contributo Enzo Pranzini. Oggi più di un terzo delle nostre spiagge è in erosione e il futuro sembra ancora più arduo per l’innalzamento del livello del mare e l’intensificarsi dei fenomeni climatici estremi, cui attualmente non stiamo dando risposte adeguate. In molti casi, per rispondere all’emergenza locale, si è intervenuti con la costruzione di scogliere aderenti alla costa che hanno, di fatto, solo spostato il problema, col risultato che oggi abbiamo interi tratti di costa coperti da scogliere artificiali, che non permettendo il ricambio idrico e la sedimentazione delle sabbie, contribuiscono al progressivo abbassamento dei fondali e ai possibili crolli cui si tenta di rispondere con strutture sempre più massicce e impattanti. Inoltre, queste difese artificiali provocano correnti pericolose che possono causare annegamenti. Di recente si è passati a utilizzare la tecnica del ripascimento dei litorali che sembra aver avuto maggiore efficacia ma che ha costi economici superiori. D’altra parte, spiega Michele Manigrasso parlando di consumo di suolo, in Italia, il 51% delle coste è stato trasformato dall’urbanizzazione. Legambiente ha realizzato una analisi di dettaglio dei 6.477 chilometri di costa da Ventimiglia a Trieste e delle due isole maggiori, senza considerare quindi le numerose isole minori: 3.291 chilometri sono stati trasformati in modo irreversibile, nello specifico 719,4 chilometri sono occupati da industrie, porti e infrastrutture, 918,3 sono stati colonizzati dai centri urbani.
Un altro dato preoccupante riguarda la diffusione di insediamenti a bassa densità, con ville e villette, che interessa 1.653,3 chilometri, pari al 25% dell’intera linea di costa. Tra le regioni, la Sicilia ha il primato assoluto di km di costa caratterizzati da urbanizzazione meno densa ma diffusa (350 km), seguita da Calabria e Puglia; la Sardegna è invece la regione più virtuosa per quantità di paesaggi naturali e agricoli ancora integri e comunque è la regione meno urbanizzata d’Italia. E’ davvero preoccupante sottolineare come dal 1988 ad oggi, malgrado fosse in vigore la legge Galasso che avrebbe dovuto tutelare le aree entro i 300 metri dalle coste, sono stati trasformati da case e palazzi ulteriori 220 chilometri di coste, con una media di 8 km all’anno, cioè 25 metri al giorno. Tra le regioni più devastate la Sicilia con 65 km, il Lazio con 41 e la Campania con 29. Nelle aree costiere, secondo i dai Istat, nel decennio 2001 – 2011 sono sorti 18mila nuovi edifici. Ben 700 edifici per chilometro quadrato sia in Sicilia che in Puglia, 600 in Calabria ma anche 232 per chilometro quadrato in Veneto, 308 in Friuli Venezia Giulia e 300 in Toscana, Basilicata e Sardegna. Ma non è solo la costa a soffrire la mancanza di politiche adeguate, innovative e sinergiche: i nostri mari continuano a essere minacciati dai problemi di inquinamento. Perché i ritardi nella depurazione riguardano ancora troppe città, non solo costiere, ed è vergognosa la situazione di tanti litorali italiani che fanno scappare i turisti. La maladepurazione riguarda il 25% dei cittadini italiani. Dato confermato purtroppo anche da due sentenze di condanna della commissione europea (nel 2012 e 2014) e da una procedura aperta nel 2015 per il mancato rispetto della direttiva 91/271sulla depurazione degli scarichi civili. Sono ben 1.022 (il 32% del totale), gli agglomerati coinvolti dai procedimenti europei: 81% di quelli Campani, il 73% della Sicilia, il 62% della Calabria. Problema non proprio ininfluente, visto che le sanzioni costeranno 476 milioni di euro l’anno dal gennaio 2016 a completamento delle opere. In positivo, le regioni più virtuose per depurazione sono il Veneto con “solo” il 17% dei comuni coinvolti, la Toscana col 18% e il Friuli Venezia Giulia col 24%. Anche le analisi delle acque condotte da Goletta verde nel 2015 sono risultate inquinate nel 45% dei casi. Complessivamente le infrazioni accertate ai danni delle coste e del mare nel solo 2014 sono state 14.542, pari a 40 al giorno, 2 ogni chilometro di costa, con 18mila persone denunciate e ben 4.777 sequestri effettuati.
Le infrazioni inerenti specificatamente all’inquinamento sono state 4.545, il 31% del dato nazionale, con 7mila persone denunciate o arrestate e 2.741 sequestri. Uno dei fenomeni più preoccupanti di inquinamento del mare è la quantità di rifiuti presenti, e in particolare di plastica galleggiante. Legambiente ha realizzato un’attività di monitoraggi della beach litter, con Goletta Verde che viene raccontata nel volume, e che dimostra come serva una strategia per ridurre i rifiuti portati dai fiumi e quelli prodotti dalle attività presenti nel Mediterraneo. “Per il futuro delle aree costiere – ha dichiarato Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente – abbiamo la possibilità di ispirarci e scegliere un modello che si è già rivelato di successo. Quello delle aree protette e dei territori che hanno scelto di puntare su uno sviluppo qualitativo e che stanno vedendo i frutti positivi anche in termini di crescita del turismo. Come il sistema di 32 aree protette nazionali, che sono un esempio virtuoso di gestione delle aree costiere di cui essere orgogliosi. O come i Comuni che ogni anno Legambiente premia con le cinque vele, che dimostrano come la strada più lungimirante sia oggi quella che coniuga la tutela del territorio con la valorizzazione e recupero del patrimonio edilizio esistente. Per dare una spinta a questa prospettiva occorre però che ci siano regole chiare, senza dimenticare che il nostro Paese deve anche muovere le ruspe per demolire le migliaia di case abusive che deturpano le nostre coste e avviare operazioni di riqualificazione in aree che potranno, in questo modo, avere un futuro turistico fuori dal degrado”. Su tutto il territorio nazionale sono diffuse 32 aree protette nazionali con misure di tutela a mare – pari a oltre 2milioni e 800mila ettari di superficie protetta a mare, racconta Stefano Donati nel suo contributo -, 27 aree marine protette (o riserve marine), 2 parchi marini sommersi, 2 perimetrazioni a mare nei parchi nazionali e un santuario internazionale per la tutela dei mammiferi marini.
Inoltre oggi sono individuate ben 54 aree marine di reperimento dove istituire riserve marine. Luoghi dove si realizzano concretamente buone pratiche di gestione sostenibile, dove la tutela e la valorizzazione della natura, della biodiversità e del paesaggio, si incontrano con una sana e innovativa gestione del turismo, interconnesso con i settori dell’agroalimentare, del biologico, delle filiere corte e con l’identità locale. Diverse le esperienze di successo raccontate nel volume, dal sistema per l’ormeggio non impattante nelle baie dai fondali più delicati nelle isole Egadi, alla Rete delle imprese delle marine del parco di Viareggio, che hanno scelto la sostenibilità ambientale, con iniziative concrete di turismo che promuove e valorizza i prodotti locali, o il sistema di tutela delle coste in Sardegna solo per citare alcuni esempi.