Foggia, 28/07/2021 – (giornaledipuglia) Si incontrano sempre meno donne nigeriane per le strade dello sfruttamento sessuale e lavorativo, tanto che gli operatori della cooperativa sociale Medtraining impegnati nel progetto “La Puglia non tratta – Insieme per le vittime”, si chiedono che fine abbiano fatto. Un fenomeno riscontrato anche in altre zone d’Italia, che ha spinto ad interrogarsi sulle cause di questa presenza sempre più invisibile e dunque meno controllata. «La diminuzione degli sbarchi di donne nigeriane in Italia; lo spostamento verso le cosiddette Connection house, le case di prostituzione sparse in giro per i territori italiani; l’attività esercitata durante il periodo di Covid in indoor, nella case, utilizzando soprattutto i collegamenti su internet; l’editto dell’Oba (Re) Ewuare II, ossia la massima autorità religiosa del popolo Edo (che vive in Nigeria e nella zona del delta del Niger), che nel 2018 ha formulato un editto in cui revoca tutti i riti di giuramento che vincolano con maledizioni terribili le ragazze trafficate». Sono queste le diverse cause che gli operatori, anche attraverso il confronto con altre realtà nazionali, hanno sviluppato per fotografare uno dei dati di maggiore interesse contenuto nell’ultimo semestre di attività portate avanti nell’ambito dell’iniziativa che punta ad aiutare le vittime di tratta e di sfruttamento lavorativo. Donne e uomini che ogni giorno vengono sfruttati nell’ambito della prostituzione, dello sfruttamento lavorativo o domestico, delle economie illegali, dell’accattonaggio forzato o del traffico di organi. Lo sanno bene gli operatori del progetto “La Puglia non tratta – Insieme per le vittime”, il cui intervento nell’area territoriale della Capitanata – che comprende Monti Dauni, Tavoliere delle Puglie e promontorio del Gargano – è svolto dalla cooperativa sociale Medtraining di Foggia.
LE DONNE DELL’EST EUROPA – Dall’1 gennaio al 30 giugno 2021, dunque, attraverso il lavoro dell’unità mobile di strada gli operatori hanno effettuato 158 contatti, percorrendo in modo particolare i tratti della SS 16 dell’Alto Tavoliere e del Basso Tavoliere, della SS 89 che porta a Manfredonia, della SS 673 Circonvallazione di Foggia. Le beneficiarie incontrate durante il lavoro dell’unità di strada sono soprattutto donne, provenienti per la maggior parte da Paesi quali Bulgaria e Romania che rappresentano l’82,7% delle beneficiarie contattate. Ma se pur in percentuali molto inferiori per le strade ci sono anche donne che arrivano dalla Colombia, dall’Albania e dalla Nigeria. I numeri delle donne incontrate, se si prende in considerazione lo stesso periodo di riferimento degli scorsi anni, sono diminuiti. Questo, però, non vuole dire che il fenomeno della tratta e dello sfruttamento lavorativo sia scomparso nel nostro territorio. Anzi. In questo periodo di tempo sospeso a causa dell’emergenza sanitaria è diventato ancora più subdolo, più invisibile. Molte delle donne incontrate dagli operatori sulla strada, infatti, hanno raccontato di aver esercitato l’attività prostitutiva all’interno di appartamenti, venendo così meno anche la possibilità di accedere a visite mediche specialistiche e di prevenzione, accompagnamenti sanitari presso le varie strutture, incontri individuali.
TRA ACCOGLIENZA E PROTEZIONE – Tra i dati rilevanti in questo primo semestre dell’anno, anche le 38 donne intercettate e seguite dall’unità mobile di strada che hanno uno o più figli in Italia o nel loro Paese d’origine. «Una situazione che si spiega – proseguono gli operatori di Medtraining – con il fatto che le donne rumene, nella maggior parte dei casi, svolgono l’attività di prostituzione più per un’esigenza economica legata al mantenimento dei loro figli e delle loro famiglia spesso molto numerose, trovandosi in un confine molto labile rispetto alle altre vittime di tratta e sfruttamento». Tra gli interventi più importanti va segnalato che 15 beneficiarie dopo essere state inserite in un programma di assistenza e protezione sociale, sono fuoriuscite autonomamente dalla spirale dello sfruttamento ed oggi vivono e risiedono in autonomia nel territorio di Capitanata; mentre 6 beneficiarie vivono e risiedono in accoglienza protetta grazie al progetto, che in questi mesi ha anche effettuato accompagnamenti sanitari, counselling psicologico, disbrigo delle pratiche amministrative e tanto altro.
IL PROGETTO REGIONALE – Il progetto “La Puglia non tratta – Insieme per le vittime”, giunto ormai alla quarta annualità, è nato a livello regionale con l’obiettivo di assicurare alle persone vittime di tratta adeguate condizioni di alloggio, vitto, assistenza, protezione ed integrazione socio – lavorativa. «Una sfida complessa, ambiziosa, che sta contribuendo a potenziare la pratica della presa in carico globale ed individualizzata di uomini e donne vittime di traffici criminali internazionali, diffondendo altresì nella comunità locale la cultura della legalità e della tutela dei diritti inviolabili della persona» dice Nicola Di Bari, presidente della cooperativa sociale Medtraining. Il progetto “La Puglia non tratta – Insieme per le vittime”, finanziato dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è promosso dalla Regione Puglia – Sezione Sicurezza del Cittadino, Politiche per le Migrazioni ed Antimafia Sociale – in collaborazione con sette enti anti tratta del territorio regionale: le cooperative sociali Medtraining (Foggia), Comunità Oasi2 San Francesco onlus (Trani), Atuttotenda (Maglie-Lecce), CAPS (Bari); le associazioni Giraffa! (Bari), Micaela (Adelfia-Bari), Comunità Papa Giovanni XXIII.