Questa scheda è spoiler-free: nel rispetto del lettore vergine della visione del film verranno isolate, nell’arco della recensione, eventuali rivelazioni critiche di trama (spoiler) su note a piè pagina, oltre a essere suggerito, a fine articolo, un indice della presenza di punti sensibili nell’opera il cui svelamento accidentale possa incidere su una sua corretta fruizione
Titolo originale: Under the Skin
Nazione: Regno Unito, Stati Uniti
Genere: drammatico, fantascienza
MENTRE è in corso la 71ma Mostra internazionale d’arte cinematografica a Venezia, raggiunge le sale, dopo un anno, uno dei concorrenti della passata rassegna, il controverso e discusso Under the Skin di Jonathan Glazer.
Scarlett Johansson, protagonista in un atipico ruolo, è una creatura aliena dalle fattezze umane, predatrice di uomini che adesca per essere “elaborati” in un indefinito luogo buio. L’incontro con una delle vittime la porterà ad avvicinarsi e incuriosirsi alla vita terrestre.
Glazer si dichiara subito, sin dalle prime sequenze, inspiegate, astratte, levigate, surreali, e annuncia implicitamente che la pellicola che sta per girare non andrà fruita e valutata né per soggetto né, più in generale, per contenuto, evidenti i propositi di esperimento comunicativo fondato prevalentemente su forma, ritmo e atmosfera. Non si entri in sala, dunque, per vedere cinema di fantascienza né tanto meno assistere a un drammatico dalla costruzione convenzionale giacché in tal caso la tentazione di uscirne durante la proiezione sarà forte.
L’esca aliena, la fredda Johansson, è una sorta di gelido androide che reitera meccanicamente il suo ruolo di predatrice, il quale si conclude sistematicamente nella discesa in un limbo oscuro da parte della vittima. La sceneggiatura, dal suo canto, asseconda questa ciclicità priva d’anima e annulla quasi completamente variazioni di partitura, riproponendo metodicamente la cattura con modalità dal tono documentaristico e dialoghi da intervista. Lo spettatore si ritrova, così, a seguire, senza molte informazioni, la pesca di esseri umani, con una periodicità ipnotica durante la quale il regista non prova a distoglierlo neanche con concessioni alla violenza o tramite i tipici escamotage da fantascienza, una quasi totale assenza di cambi di registro che arriva a stremare la pazienza.
Intesi i propositi di Glazer sulla prima parte, si resta dubbiosi sui risultati. La reiterazione senza variazione degli eventi fa coppia con l’asetticità delle operazioni dell’aliena, e la credibilità è conferita dal taglio documentaristico, ma manca una potenza formale e visiva che faccia di questo percorso un frutto artistico o, in un qualche modo, aggiunga qualcosa di importante ai fatti. Non si è catturati prepotentemente dalle atmosfere, dalla regia, dalla musica, e col cuore non si avverte la stessa glacialità che è palesata nella narrazione. Una scrittura fredda, cioè, che non lascia affondare lo spettatore in una straniante vicenda per raffreddarne le emozioni ma lo tiene colpevolmente fuori congelando solo la sua attenzione.
Secondo tempo e la musica cambia, un episodio interrompe la ripetitiva caccia (assieme ai modi di raccontarla) e l’aliena prende una consapevolezza differente, che decide di assecondare. Di qui innanzi Glazer abbandona il sospettoso approccio ipnotico per entrare in una modalità narrativa più tradizionale, pur mantenendosi fermo alla linea glaciale.
E continua a non convincere, addirittura irritando. Si lascia l’esperimento, al quale si provava ad affezionarsi, e si passa a un racconto banalotto, fatto di incontri, esperienze e comprensioni del mondo circostante già visto molte volte al cinema. Resta l’atmosfera asettica, tra tentativi riusciti e momenti noiosi, ma la narrazione dei fatti ormai prevale sulla forma, e questa narrazione non piace, apparendo anche fastidiosamente moralistica.
Il finale riprende in mano il cinema e dona alla conclusione una potenza immaginifica che, probabilmente, è la parte migliore del film.
Under the Skin merita la visione giacché audace e sperimentale nel suo intento comunicativo, propone un’alternativa e centra finanche qualche obiettivo. Lato spettatore resta il rischio di difficoltà di fruizione per alcuni, reverenzialità verso l’aspirata autorevolezza per altri.
Non sono escluse rivalutazioni, c’è meno fiducia sulle debolezze di soggetto e sceneggiatura.
Valutazione: 5.5/10
Spoiler: 6/10
Copertina: J. Glazer – fonte: www.theguardian.com
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