Questa scheda è spoiler-free: nel rispetto del lettore vergine della visione del film verranno isolate, nell’arco della recensione, eventuali rivelazioni critiche di trama (spoiler) su note a piè pagina, oltre a essere suggerito, a fine articolo, un indice della presenza di punti sensibili nell’opera il cui svelamento accidentale possa incidere su una sua corretta fruizione
Nonostante la Notte degli Oscar ci abbia riservato, negli ultimi anni, inattese e meritevoli assegnazioni, per candidature (vedere la recente per il miglior film a District 9) e premi (Coen 2008), essa tradisce la sua natura populista non solo con una frequenza ben maggiore, ma proprio laddove non ci si aspetterebbe tanta audacia.
Departures, insolito film giapponese, giunto nelle nostre sale solo da poche settimane, conferma la politica dell’Academy Award, sempre più confortante per lo spettatore medio(cre) con autostima e ambizioni da critico, ma molto meno per chi non trova necessaria correlazione tra originalità e qualità e soprattutto sa evitare le facili trappole del cinema pseudointellettuale.
Vincitore del premio per il miglior film in lingua straniera nel 2009, la pellicola di Takita è la storia di un violoncellista disoccupato, che, tornato nella città natia, trova lavoro come tanatoesteta (curatore di cadaveri prima della sepoltura), di colpo immerso in situazioni grottesche, ai limiti del comico, ma anche ricche di spunti di riflessione.
La trama si sviluppa secondo una struttura estremamente classica, partendo dall’incontro-scontro del protagonista con la nuova bizzarra realtà (topos umoristico), approfondendone più seriosamente nella parte centrale la graduale comprensione del valore del ruolo, per poi convergere in chiusura su una conquistata maturità dei singoli personaggi attraverso catarsi di diversa pasta. Anche gli allacci dei capisaldi sono costruiti classicamente tramite innesti equilibrati di supporto: la relazione di Daigo con l’affettuosa moglie, […]1, il bagno pubblico, le stravaganze del becchino Sasaki.
Al contrario della tipica commedia giapponese, Departures si offre al pubblico con un umorismo nettamente più immediato e fruibile per lo spettatore occidentale (lasciando, sin da questo, sospettare un furbo tentativo di captatio di consenso), creando con l’insolito soggetto e l’equilibrata sceneggiatura un mix gradevole per ogni palato, seppur prevedibile. I tentativi di riflessione, perfettamente allineati sulla qualità media del prodotto, risultano poco curati, quasi somministrati, apparendo il risultato il buon compito scolastico che profuma di pretenziosa profondità, soprattutto quando si cerca forzatamente di far convivere l’anima musicale del protagonista con quella di delicato e rispettoso curatore di defunti.
Il complesso è di discreta fattura, ma, prescindendo dal tema, di scarsa originalità e di facile sapore, con l’aggravante dell’ambizione autoriale, che non pare mancata quanto piuttosto artefatta.
Sconvolgente la vittoria agli Oscar contro lo straordinario Valzer con Bashir, ma non sorprenderà costatare che l’opinione media del pubblico approverà la decisione della prestigiosa manifestazione di Los Angeles.
Da vedere almeno per comprendere le dinamiche della sopravvalutazione.
Voto: 7/10
Livello spoiler: 4/10
[…]1 la temporanea rottura, parallela al climax della storia
vedere negli oscar il top per un film è abbastanza provinciale
Polemicuccia radical chic, non è certo un capolavoro assoluto ma tocca corde importanti e raggiunge ottimamente lo scopo che si prefigge, perché cercare altro?