LAVORI ED ESPEDIENTI – A favore dei datori di lavoro il classico accorgimento: assunzione del lavoratore, firma di un contratto regolare ma con conseguente “difformità”, nel tempo, tra attività prestata dal dipendente e diretta retribuzione mensile.
LE NEGATIVITA’ DEI RAPPORTI LAVORATIVI – “Il problema dei rapporti di lavoro nell’ambito degli esercizi commerciali e nel settore del terziario va valutato attraverso le diverse negatività emerse”, dice a Stato il segretario provinciale della FILCAMS CGIL – Federazione Italiana Lavoratori Commercio Alberghi Mense Servizi- di Foggia, Gianni Palma. Innanzitutto: le assunzioni a tempo determinato, e a tempo pieno, si traducono in realtà nello svolgimento di prestazioni attraverso orari part-time e conseguente pagamento retributivo in base all’orario di lavoro “dimezzato”. L’accorgimento è spesso utilizzato dal datore di lavoro per la ricezione di “significative agevolazioni contributive”. “Per le aziende- dice Palma – questo sistema è in grado di apportare un duplice vantaggio: tanto in termini di sgravi fiscali”, quanto “nella riduzione sostanziale del costo del lavoro”.
CONTRATTI “ATIPICI”: COLLABORAZIONI DI ASSOCIAZIONE E PARTECIPAZIONE – Altro fenomeno anomalo, nell’ambito del rapporto duale occupato-datore, riguarda prettamente la figura del commesso: il 60-70% delle attività commerciali, per far fronte al costo del lavoro, fa firmare infatti dei contratti di lavoro “atipici”, da configurare come lavoro continuato e temporaneo, con orari di lavoro definiti ed un’investitura di lavoro subordinato, nonostante le stesse forme contrattuali si rivelano alla fine dei “contratti di associazione e partecipazione”. Delle situazioni che Palma definisce “illegali”, a causa della presupposizione di “un’assunzione del rischio da parte del lavoratore”, costretto in alcuni casi a lavorare per tutto l’anno, ma senza poi “percepire un euro perché il negozio ha i conti in rosso”.
PART-TIME FASULLI – La terza forma di sfruttamento nel commercio riguarda la possibilità che vengano stipulati contratti part-time quando in realtà la prestazione lavorativa dell’occupato può ricoprire anche l’intera giornata. In questi casi il singolo dipendente arriva ad operare fino al doppio del tempo stabilito nel contratto di lavoro ma con una retribuzione che spesso si rivela “dimezzata”. “La cosa più grave è che trattandosi quasi sempre di aziende che hanno meno di 15 dipendenti, le garanzie previste per il lavoratore sancite dall’art. 18 della legge n. 300 non vengono applicate”, dice ancora il segretario provinciale della Filcams Cgil. “Ciò significa che un lavoratore che vuole far valere i propri diritti rischia poi di essere licenziato per un qualsiasi pretesto da parte dell’azienda, anche di fronte a un giudizio negativo sul fronte legale”. L’azienda ha infatti il solo l’obbligo di corrispondere al lavoratore un’indennità che solitamente equivale a due-tre mensilità. Per il lavoratore sono due pertanto le soluzioni possibili: continuare a essere sfruttato (passivamente), oppure far valere i propri diritti ma “con il rischio concreto di perdere il posto di lavoro”.
L’ATTIVITA’ DEI SINDACATI – Quale il percorso migliore da seguire quando si verificano tali episodi di negatività sul posto di lavoro? “In genere ci muoviamo su un doppio binario”, afferma Gianni Palma. Il primo consiste in un’attività sindacale classica, qualora si hanno più lavoratori di una determinata azienda iscritti allo stesso sindacato. “Si svolge un’attività di relazioni sindacali con le aziende per eliminare questi problemi o le associazioni di categoria cui aderiscono le aziende, che nella maggior parte dei casi sono o Confcommercio o Confesercenti. Chiediamo loro un incontro per fare un percorso di riallineamento, e qualora le aziende si rifiutino c’è la possibilità della proclamazione degli scioperi, delle vertenze collettive o richieste di ispezioni all’Inail o all’Ispettorato del lavoro. Accanto a questo ci sono percorsi sindacali singoli, in questi casi c’è la vertenza giudiziale singola”, continua il segretario della Filmcams.
MAGAGNE DEI DATORI DI LAVORO – Spesso l’attività sindacale può essere l’unica arma in difesa dei consumatori: in molti casi, infatti, come avviene in alcuni esercizi commerciali quali ad esempio i supermercati, accade che in assenza del sindacato, modificando la persona del titolare, “l’attività può chiudere anche per sei mesi ma non ha poi l’obbligo di assumere i dipendenti che lavoravano precedentemente”. Frequenti poi gli episodi di maltrattamento dei lavoratori: “Mi è capitato di avere a che fare con un’azienda che produce e distribuisce mobili a Foggia, la quale di fronte a richieste di ridurre il livelli contrattuali o di pagare determinate indennità previste dai contratti di lavoro, ha vessato i propri dipendenti sanzionandoli in maniera illegittima con multe che non riguardavano strettamente l’attività lavorativa dei dipendenti o sottoponendoli a ore di lavoro straordinario che non venivano però pagate”, denuncia Palma.
A volte le magagne accadono anche in sede di colloquio: si propone un contratto part-time ma con orari full-time (9-13 16:30-20:30), rinnovandolo di volta in volta per avere detrazioni fiscali maggiori, che in alcuni casi si protraggono anche per tre anni dopo l’assunzione del dipendente, costretto anche a trasferte di lavoro costose ma non rimborsate.
GIANNI PALMA: VALORIZZARE I DIPENDENTI – Cosa fare dunque di fronte a questo scempio? “Nelle piccole e medie imprese che occupano almeno l’80% del settore del commercio sia in Italia che a Foggia, il fattore umano è più determinante che in altri ambiti, perché nel settore del commercio è fondamentale il rapporto umano con la clientela, i fornitori e le altre aziende”, spiega Gianni Palma. Secondo il segretari provinciale della Filcams Cgil la persona che lavora nel commercio è quindi preziosa per la riuscita dell’attività dell’azienda. “Ci sono aziende che hanno deciso di investire nei lavoratori, ottenendo risultati soddisfacenti, mentre ci sono aziende miopi, che non valorizzano il fattore umano ma pensano solo ai profitti, non si accorgono che non tutelando i lavoratori danneggiano anche l’azienda e ciò si ripercuote su tutto, sia sull’azienda stessa che sui dipendenti. La valorizzazione del lavoratori dunque può portare a una maggiore produttività, al contrario di quanto accade qualora il lavoratore venga considerato un fattore da sfruttare”.