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Dal 2007 si cercano bombe nei porti pugliesi: l’Accordo di Programma, relazione Di Feo

AUTORE:
Giuseppe de Filippo
PUBBLICATO IL:
3 Febbraio 2010
Manfredonia //

immagine da foggiainguerra.altervista.org
immagine da foggiainguerra.altervista.org
IL LIBRO DI GIANLUCA DI FEO – LE ARMI UTILIZZATE DALLE SQUADRIGLIE DEL DUCE, L’ATTUALE PRESENZA DEGLI ORDINI NEL BASSO ADRIATICO – “INUTILE recarsi in Iraq per cercare le armi di distruzione di massa quando sarebbe stato sufficiente perlustrare le acque pugliesi. Comprese quelle di Manfredonia. Questo in sintesi il pensiero di Gianluca Di Feo, noto giornalista del settimanale L’Espresso, autore del recente libro “Veleni di Stato”. “Abbiamo invaso l’Iraq per cercare le armi di distruzione di massa, mentre sarebbe bastato tuffarsi nelle acque di Molfetta o di Ischia per trovarne a migliaia – dice De Feo – fuori arrugginite, dentro micidiali”. Quelle di cui parla il giornalista de L’Espresso sono “migliaia di tonnellate di bombe letali” prodotte durante l’egemonia del regime fascista. Bombe letali finite in mare “davanti Ischia e anche alla Puglia”. Bombe che proprio in questi territori continuerebbero “a seminare i loro veleni”. Il volume di Di Feo ricostruisce la storia delle armi segrete italiane, “le bombe con virus e batteri sperimentate durante il fascismo e gli ordigni chimici”. Ma nel suo testo, ‘Veleni di Stato’, Di Feo non fa solo riferimento alle armi utilizzate dalle squadriglie del Duce[1], dato che i mari e le coste italiane continuerebbero ad “ospitare ancora le bombe chimiche degli alleati che a fine guerra sono state affondate”, la maggior parte nel basso Adriatico. Gli ordigni, scrive Di Leo, sarebbero “sempre piu’ arruginite e cariche di iprite, fosgene e miscele a base di arsenico”. A queste si aggiungerebbero “le oltre 4300 grandi bombe tossiche”, per le quali si è saputo, grazie alla documentazione storica degli archivi tedeschi, che erano pari a quasi 1.316 tonnellate di veleni -principalmente iprite- ”gran parte delle quali si trovano ancora nei fondali a sud di Pesaro”. Gli americani, scrive Di Feo citando fonti documentali americane, inabissarono molte decine di migliaia di ordigni chimici ”in una ‘discarica chimica’ nel Golfo di Napoli, davanti all’isola di Ischia” (fonte: Asca). Stessa procedura utilizzata dai militari statunitensi anche in Puglia, “partendo da Manfredonia”. ”Ministri eletti dal popolo italiano e generali delle nostre forze armate hanno deliberatamente taciuto, coprendo con il silenzio -scrife Di Feo- gli arsenali nascosti nei boschi della Tuscia, dell’Umbria, della Maremma, occultando gli stabilimenti proibiti della provincia di Roma e di Milano. Una storia infinita, perche’ ancora oggi le scorie di questi arsenali non hanno trovato una tomba sicura e continuano ad accumularsi in un bosco di Civitavecchia”. Per Di Feo, la situazione messa in evidenza nel sul testo, con l’inabissamento di migliaia di ordigni chnimici nei golfi italiani, non farebbe parte di un problema passato, né tantomeno remoto, dato che le armi chimiche sarebbero state progettate “per essere immortali”, oltre al fatto che sono “cancerogene e possono anche causare mutazioni genetiche”. Ma in primo luogo, scrive Di Feo, le armi chimiche hanno la capacità di sopravvivere a  lungo nel terreno e nell’acqua, “fedeli alla loro missione assassina”. Secondo il giornalista de L’Espresso le migliaia di bombe che “giacciono nel mare di Ischia, di Manfredonia, di Foggia e di Molfetta possono infatti ancora uccidere”. Un pericolo, che secondo il giornalista italiano, continuerebbe ad essere “nascosto e tutelato” con ogni “strumento possibile”. Quali pertanto le criticità alla base della scoperta resa nota nel suo testo dal giornalista Di Feo: “nel colossale cimitero sottomarino delle acque italiane –scrive il giornalista – le bombe si corrodono rilasciando iprite e arsenico. L’unico studio condotto nel 1999 dagli esperti dell’Icram – scrive ancora Di Feo – ha trovato tracce delle due sostanze negli organi dei pesci di quella zona e nei fanghi del fondale”. Il responsabile dei ricercatori di questo studio, il professore Ezio Amato, ha denunciato a riguardo una situazione agghiacciante: i pesci del basso Adriatico sarebbero infatti “soggetti all’insorgenza di tumori”, dato che subirebbero “danni all’apparato riproduttivo, essendp esposti a mutazioni che portano a generare esemplari mostruosi”. ”Ma i mostri tossici non dormono soltanto in fondo al mare”, scrive ancora nel suo testo Di Feo. Molti cittadini  sarebbero stati, e sono ancora, “ignari” di avere residenza “in quartieri che sorgono intorno, o addirittura sopra, a vecchi stabilimenti di armi chimiche, in molti sono stati all’oscuro della reale produzione di queste fabbriche”[2]. Miscele “cancerogene”, che hanno minato l’ecosistema, “inquinando aria, terra, acqua”. Partendo dalle ultime informazioni raccolte da alcune opere di bonifica nell’’impianto modello” di Civitavecchia, dove si imprigionerebbero le sostanze tossiche in cilindri di cemento, Di Feo nel suo testo pone anche il problema dei “siti di raccolta” ma soprattutto della “possibilita’ che i veleni giacenti in mare possano finire in mani pericolose”. Secondo il giornalista italiano gli ordigni seminati dai militari statunitensi sarebbero “a pochi metri di profondità dalle acque” erigendosi in questo modo ad una fonte indiretta di armi (Di Feo scrive “incredibile self service” di munizioni)  per qualunque terrorista, che potrebbe infatti “mettere le mani sulle armi più potenti in circolazione” così provocando di conseguenza una vera e propria apocalisse. (elaborazione su fonte Espresso).-

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