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DEMOCRAZIA La 50esima Settimana Sociale dei cattolici: le tre P della democrazia (di Michele Illiceto)

"Mons. Luigi Renna, presidente del Comitato scientifico alla 50.esima Settimana Sociale dei cattolici appena conclusa a Trieste ha richiamato l’attenzione di tutti sul valore delle tre P tra loro correlate: persona, partecipazione, politica."

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
9 Luglio 2024
Manfredonia // Politica //

Mons. Luigi Renna, presidente del Comitato scientifico alla 50.esima Settimana Sociale dei cattolici appena conclusa a Trieste, presentando i lavori dei delegati a Papa Francesco, ha richiamato l’attenzione di tutti sul valore delle tre P tra loro correlate: persona, partecipazione, politica

Questo per dire che il fondamento della democrazia non è il popolo, come si è soliti pensare, ma, come va ribadendo da secoli il cattolicesimo sociale e, dal 1948, anche la nostra Costituzione, la persona, colta anzitutto nella sua sfera individuale, unica, irripetibile, insostituibile, non scambiabile, portatrice di quella dignità che rende ciascuno soggetto di quei diritti inalienabili che ogni Stato deve riconoscere, difendere, tutelare e promuovere.

Ma la persona ha anche una dimensione sociale, che la rende parte di una comunità che noi chiamiamo popolo. Siamo persona e comunità. Purtroppo, oggi, ci percepiamo più come individui che come persone. Ci sentiamo individui atomisticamente isolati e ripiegati ciascuno nel proprio spazio privato, e la comunità è avvertita come uno spazio di cui approfittare, o un peso da sopportare, se non un vestito stretto da indossare.

Stando ciò le cose si ha che il primo nemico della democrazia è l’individualismo. Lo ha denunciato Papa Francesco nella sua enciclica sociale Fratelli tutti. L’individualismo mina e compromette la comunità. E’ disgregante. Avalla più la competizione che la cooperazione. L’individualismo è poco dialogico e molto autoreferenziale.

Dall’individualismo derivano i tre cancri che minano la democrazia: l’indifferenza, la corruzione e l’esclusione sociale. Riprendendo la metafora del corpo, esposta da S. Paolo nella Lettera ai Corinti, dove si dice che se un membro soffre, tutti gli altri soffrono con lui, si ha che ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale ne dovrebbe risentire. La crisi della democrazia è dovuta anche alla “cultura dello scarto”

Il Papa ha voluto dare un forte scossone quando ha invitato i delegati a passare “dal parteggiare al partecipare, dal fare il tifo al dialogare”. Ma non c’è vera democrazia senza chi forma al pensiero democratico. Ecco perché ha esortato a “moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani”.

Bisogna partire dal fatto che la democrazia oggi “non gode di buona salute”. Possiamo paragonare – ha affermato il pontefice – la crisi della democrazia a “un cuore ferito, infartuato”. Manca il senso del Noi, la consapevolezza che non siamo solo individui, ma anche comunità. Ecco perché, ha ribadito papa Francesco, è necessario coltivare la passione per il bene comune che non va inteso come la somma degli egoismi individuali, ma come quel bene che è di tutti e per tutti.

Invece, il perno della democrazia è la seconda P: la partecipazione. E la partecipazione non si improvvisa, ma è il frutto di un percorso educativo che comincia in famiglia, si rafforza a scuola e la si sperimenta e la si esercita nella società civile. La si costruisce nel tempo, e la si impara da ragazzi, da giovani, e va “allenata”, soprattutto per arginare le due tentazioni di sempre: quelle ideologiche e quelle populistiche.

Se il vero farmaco di questa democrazia malata è la partecipazione, questa non però non va intesa alla stregua di quella di stampo populista. Bisogna vincere l’apatia e la delusione, la disaffezione allo spazio pubblico. La democrazia assomigli, ha detto il Papa, “a un cuore risanato”.

Ma la partecipazione non è solo quella che si esprime durante le elezioni. C’è una partecipazione silenziosa e informale, feriale e quotidiana, quasi nascosta, poco visibile ma incisiva, dove ciascuno nelle proprie azioni individuali si mette sempre dal punto di vista degli altri. Essa nasce solo se si coltiva la consapevolezza che la città ce la portiamo dentro. Essa è il “fuori” che ci abita dal di “dentro”. Chi non sente la città dentro di sé, quando è solo o in famiglia a casa sua, difficilmente la incontrerà quando uscirà fuori dal proprio appartamento.

Pericle nel suo famoso Elogio della democrazia diceva che chi non si occupa delle cose della città non va considerato innocuo, ma inutile. 

E veniamo alla terza P: la P della Politica. Ha detto il papa che “‘Un politico che non ha il fiuto del popolo è un teorico”. Occorre dunque promuovere “un dialogo fecondo con la comunità civile e con le istituzioni politiche perché, illuminandoci a vicenda e liberandoci dalle scorie dell’ideologia, possiamo avviare una riflessione comune in special modo sui temi legati alla vita umana e alla dignità della persona”.

La politica deve recuperare due cardini della Dottrina sociale della Chiesa: il principio di solidarietà e di sussidiarietà riconosciuti anche dalla Costituzione.

A questo punto possiamo mettere insieme le tre P: persona, partecipazione e politica, e ridefinire il concetto di popolo: “Un popolo – scrive il pontefice – si tiene insieme per i legami che lo costituiscono, e i legami si rafforzano quando ciascuno è valorizzato. La democrazia richiede passione e vigilanza, impegno e responsabilità. Una comunità non assiste, ma coinvolge, non disaffeziona ma responsabilizza, non scarta nessuno ma promuove.

“Tutti –  ha affermato il Papa – devono sentirsi parte di un progetto di comunità; nessuno deve sentirsi inutile. Certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale. E l’indifferenza è un cancro della democrazia”.

E qui il ruolo dei cattolici è decisivo: non possono accontentarsi di una fede marginale, o privata. Essi sono chiamati a vivere e proporre pratiche di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. “La pace e i progetti di buona politica possono rinascere dal basso – ha ribadito il pontefice. Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani? Perché non condividere la ricchezza dell’insegnamento sociale della Chiesa? Possiamo prevedere luoghi di confronto e di dialogo e favorire sinergie per il bene comune”.

Forse, a questo punto, dovremmo cambiare rotta sul serio e chiederci non tanto che cosa la comunità può fare per noi, ma che cosa ciascuno di noi può fare per la comunità. Per la città.

A questo grande compito educativo e formativo, oltre che pastorale, sono chiamate in prima linea le parrocchie nei prossimi anni, sulla scia del Concilio Vaticano II che in questo senso ha ancora molto da dire e da dare. E’ un compito profetico, che forse deve anche sorprendere e scandalizzare, non tanto per ricevere consensi, ma per offrire alla città un servizio gratuito di promozione umana e sociale.

A cura di Michele Illiceto

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