Edizione n° 5386

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HER name is Revolution

AUTORE:
Eleonora Zaccaria
PUBBLICATO IL:
9 Ottobre 2021
Attualità // Cultura //

STATODONNA.IT, Foggia 09 ottobre 2021. A maggio scorso, in occasione della festa della mamma, il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani ha dichiarato: “La donna non è una fattrice, si realizza pienamente con la maternità. La famiglia? Senza figli non esiste”.

Risale a qualche giorno fa, invece, il rilancio da parte dell’economista Carlo Cottarelli della sua idea per gestire il problema delle pensioni: “Con pochi figli ci saranno meno lavoratori a produrre ciò che è necessario per gli anziani, obbligando questi a ritardare il pensionamento. Servirebbe un meccanismo premiante: chi fa figli vada in pensione prima”.

Provocazioni? Forse. Cadute di stile? Decisamente. Retaggi culturali? Senza ombra di dubbio.

Le reazioni sono immediate e ogni volta, mi sento chiamata in causa.

La maternità è un tema molto delicato e complesso. Mi è capitato di confrontarmi con amici ed amiche a riguardo e per fortuna, alcuni la pensano come me. Ci sono donne che desiderano avere figli, donne che non possono averne (e in Italia, si sa, l’adozione è un’utopia) e donne che, semplicemente, decidono di non volerne.

Una premessa: non sono un’estremista, non sono una femminista ma mi riconosco nel concetto fondamentale di “emancipazione” e soprattutto, non odio i bambini.

Immagine da Instagram e Facebook
foto 1 – lunadigas da profilo Instagram

In America, il fenomeno sociale Child free ha iniziato a diffondersi nel 2013, tanto da conquistarsi la copertina del Time. In Italia, è uno degli ultimi tabù da scardinare.

COPERTINA TIME - CHEAP
foto 2 copertina time

Tramite una cara amica, sono venuta a conoscenza del movimento Lunàdigas (https://www.lunadigas.com/): la parola appartiene alla lingua sarda e i pastori la usano per definire le pecore che non si riproducono in tutte le stagioni. Non esiste un termine altrettanto incisivo nella lingua italiana per descrivere le donne “senza figli” o “non madri”.

Lunàdigas è invece una parola che afferma e conferma, con autoironia, l’esistenza e l’identità di quelle donne che si sentono complete anche senza aver messo al mondo dei bambini, sfidando stereotipi, luoghi comuni e sensi di colpa.

foto 3 lunadigas locandina da pagina Facebook

Nel 2015, dopo anni di lavoro passati a raccogliere testimonianze di donne “lunàdigas” note e meno note, le autrici e registe Nicoletta Nesler e Marilisa Piga pubblicano online il web-doc omonimo. Nel 2016 diventa un film che continua ad essere proiettato nelle sale e nei festival nazionali ed internazionali, collezionando riconoscimenti. Attualmente, disponibile anche in streaming.

her name is revolution
foto 4 her name is Revolution da pagina Cheap Facebook

Invece, è stato attraverso le stories di Instagram condivise da un mio contatto che si occupa di freeride marketing, che mi sono imbattuta nel progetto HER name is Revolution.

Un intervento di arte pubblica curato da CHEAP (https://www.cheapfestival.it/) e ideato per Matria, un’installazione diffusa nelle strade di Bologna che vede protagonisti i manifesti realizzati in collaborazione con Rebecca Momoli, giovane artista con base a Milano che concentra la propria pratica artistica attorno a fotografia, poesia e scultura (https://bologna.emiliaromagnateatro.com/spettacolo/her-name-is-revolution/).

HER name is Revolution parte dai corpi, dai desideri e dai conflitti per indagare il tema della maternità contemporanea nello spazio pubblico della città.

CHEAP ha chiesto a Rebecca Momoli di concentrarsi sul tema della scelta e dell’autodeterminazione per sviluppare un immaginario che rappresenti il desiderio così come il rifiuto della maternità, prospettive che hanno pari dignità.

Per concludere con una vera provocazione, personalmente ho trovato la sintesi al dibattito sul tema in un post pubblicato sulla pagina Facebook di Dio (e non fate finta di non essere tra i followers!): “Tra Covid, crisi economiche varie e emigrazione in cerca di un paese civile, gli italiani residenti in Italia entro metà secolo saranno diversi milioni di meno.

Ora, uno si domanda: va bene, saremo di meno, e quindi? Questa ossessione per la demografia che senso ha? A che serve?

A niente, soprattutto in un pianeta sovrappopolato, però a livello internazionale fa figo.

I paesi popolosi contano di più, valgono di più, danno l’idea di essere in crescita, perché la gente fa figli. Se invece non li fanno e scappano all’estero (e poi figliano all’estero), è un chiaro segno di declino, e agli occhi degli altri paesi il vostro non conta niente. Insomma, è per non essere gli sfigati del G8.

Inoltre, la popolazione (strategicamente parlando) per un paese è una risorsa, una materia prima, come il petrolio o le terre rare: se ce l’hai in casa è meglio, sennò bisogna farla venire da fuori.

Certo, non è carino dire a degli esseri umani di moltiplicarsi come fossero batteri in una provetta, tipo “su, figliate!”. Non è carino e non funziona, però vi giuro che è solo questo che vogliono dall’alto: dovete sfornare nuove risorse, perciò per convincervi vi dicono delle cose dolci sulle mamme e sulla famiglia. E voi piccole risorse sentimentali ci credete.

Il fatto è che dovete competere con paesi esageratamente più popolosi, ricchi e potenti, e l’Italia non li raggiungerà mai, ma proprio ciaone, quindi è più saggio lasciar perdere la demografia e darsi altri obiettivi strategici, tipo che so: avere meno italiani, ma più istruiti delle precedenti sfornate di marmocchi. Che non so se ci avete fatto caso, ma erano scemi forte.

Voi, classe dirigente, politici ossessionati dalla famiglia e dalla demografia: non cercate di diventare la Cina, non ce la farete mai! Non avete l’estensione territoriale, non avete le miniere, non avete un partico comunista che agisce da dittatura capitalista (ma se ne può sempre trovare uno) e poi vi mancano più o meno un miliardo e mezzo di persone. Ma che razza di obiettivi vi date?

Siate cinici e bastardi fino in fondo, seguite quel vostro cuore piccolo e nero: se davvero tenete alla nazione, allora cercate di farla diventare come la Svizzera, o l’Olanda. O il Vaticano.

Pochi, neutrali, astuti e ricchi”.

Eleonora Zaccaria

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