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A Foggia ho incontrato per la prima volta un ‘Glovo’ in bici

AUTORE:
Maria Teresa Perrino
PUBBLICATO IL:
10 Settembre 2023
Attualità // Storie Foggia //

Mentre ero in macchina l’altro giorno ho visto per la prima volta a Foggia, il mio capoluogo di Provincia, un ragazzo della Glovo, azienda che la pubblicità ci presenta con una ricorrenza quotidiana instancabile.

 

Era un ragazzo mingherlino, di età indefinibile, poteva avere dai trenta ai cinquanta anni per quello che ho avuto modo di vedere; pedalava una bici, con cui si districava nel traffico intenso nei pressi della Mongolfiera, riconoscibilissimo per avere a mo’ di zaino il famoso cubo giallo.

 

E ho immediatamente pensato alla pubblicità martellante di questa azienda e alle prospettive di nuovi lavori fino a dieci anni fa veramente impensabili.

 

La pubblicità di questa azienda in questi giorni è cambiata: nuova canzonetta e nuove immagini ma non è cambiato il modo di rappresentare chi riceve a casa il prodotto richiesto. Ci sono sempre ragazzotti che si dimenano dalla felicità con cui aprono la porta anche per ricevere il gelato e mi sono sempre chiesta come fa un gelato ad arrivare integro. Cambiano gli esempi di cosa farsi consegnare a casa senza uscire ma la danza di gioia e l’esuberanza sono le stesse.

 

Quando questa pubblicità appare io mi chiedo sempre cosa ci sia in realtà da gioire.

 

La causa più immediata della consegna a domicilio di prodotti che potremmo tranquillamente andare ad acquistare di persona è sicuramente quella di aiutare le persone impossibilitate a muoversi e questo credo si sia sempre fatto. Ora esiste una operazione di marketing su larga scala, capace di unire le tre Italie per quanto si sta diffondendo.

Una seconda causa, appena trascorsa e ancora non si sa se definitivamente debellata, è stata la pandemia, che ci ha relegati in casa con quasi zero libertà di manovra, per cui chi andava, ad esempio, a fare la spesa si muoveva a nome di tutti gli altri che non uscivano se non per gravi motivi (e qui entriamo in un’altra storia, se cioè i motivi erano veri oppure solo verosimili, con quelle giustificazioni che sicuramente hanno fatto più volte inarcare l’arco sopraccigliare di chi doveva vigilare, con eccessi in un senso o nell’altro di cui si è occupata la cronaca).

 

L’impedimento ad uscire può essersi trasformato in riluttanza. Ma ci sono motivi più remoti e più profondi. E soprattutto inconsapevoli ai più.

 

A Foggia, per decenni, a partire dal dopoguerra, abbiamo avuto la Standa e l’Upim, grandi magazzini ancora avvertiti dalla popolazione quasi a misura d’uomo.

 

Non sono stati la causa di chiusura di tanti negozi; c’era una convivenza equilibrata fra questa distribuzione più massiccia e il negozio o negozietto (detto in senso affettivo) di fiducia.

Le cose sono cambiate, a Foggia e nel resto del mondo, a causa della grande distribuzione, quella a carattere gigantesco, che ha fagocitato piano piano tutta o in gran parte l’attività di famiglie storiche di piccoli imprenditori del commercio.

 

E quando libri importanti e neanche recentissimi come “Il secolo Breve” ci parlano di una evoluzione epocale nella storia umana sulla distanza che si è creata fra le persone e proclamano, dopo quella più famosa di Dio, anche  “la morte del prossimo” (sintagma efficacissimo di un altro grande intellettuale dei nostri giorni, Luigi Zoja), allora emerge con chiarezza l’effetto straniante di quella pubblicità, legittima come tutte le pubblicità, ma lontana dalla vita che dovrebbe appartenere alle persone: la vita di relazione. Di autentica relazione.

 

Scrive Zoja non oggi ma nel 2009, fotografando la nostra realtà di oggi: “La malattia del prossimo si è certo aggravata quando il negozio di famiglia è stato sostituito dal supermercato … Ma persino con la cassiera di un grande centro commerciale acquisti si può ancora litigare”.

 

Fare invece la spesa senza muoversi da casa, tramite internet – come sta divenendo sempre più facile e conveniente – è sterminare il prossimo, in senso letterale: ex-terminare significa cacciare al di fuori dei confini, rendere definitivamente irraggiungibile.

 

La più grande rivoluzione dopo quella che 12mila anni fa ha trasformato nella maggior parte del pianeta i nomadi in sedentari – la rivoluzione neolitica dell’agricoltura e dell’allevamento – è stata surclassata da questa rivoluzione della rete e della globalizzazione, irrevocabile sia a livello di individui sia a livello sociale. Si tenta scompostamente di tornare indietro rivendicando anche minuscole identità, ma il processo è irreversibile. Persino nelle più piccole comunità la solidarietà è un concetto che si presenta tutto da ridefinire.

Ora abbiamo solo vicini di casa, dicono i pochi intellettuali non allineati ad internet. E il “prossimo” si è fatto astratto, “è diventato notizia” (sempre Zoja) e lo andiamo a cercare, concludono, lontano da noi. Quando e se lo andiamo a cercare.

Maria Teresa Perrino, 10 settembre 2023

 

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