Questa volta i malumori dei dirigenti della Rai, e di parte dell’opinione politica italiana, si sono indirizzati sull’invito nella trasmissione di domani del Presidente della Camera, Gianfranco Fini, e del leader del Democratici, Pierluigi Bersani. Secondo gli appartenenti alla schiera dei “no”, la presenza di politici in “Vieni via con me” non era previsto nello statuto della trasmissione. “Verranno solo a leggere un elenco”, è stata la replica dello staff di Fazio e Saviano.
Almeno attualmente, “Vieni via con me” rappresenta l’attore unico forse che, consapevolmente o meno, sa interpretare al meglio lo stato di salute dell’informazione in Italia. La discussione che ha coinvolto la partecipazione di Benigni nella prima puntata e di quella di Fini e Bersani nella seconda, testimonia infatti una verità oggettiva: in Italia istituzioni e informazione sono uniti da un cordone ombelicale quasi malsano. Perché tanto clamore per due ospiti che non faranno altro che leggere un elenco come è stato per Nichi Vendola nella prima trasmissione, un’apparizione sulla quale nessuno aveva sollevato critiche e/o invettive ? La spiegazione sta probabilmente nei fatti, dato che il solo nome del presidente della Camera sembra stonare con qualsiasi riferimento allo Stato, figuriamoci allora nella Rai, (presunta) Televisione di Stato.
Ma forse anche perché sembra non esserci peggior verità che la parzialità dell’informazione – parzialità lontana anni luce dal fattore onestà, voluto e descritto da Eco – che a viale Mazzini ultimamente regna sovrana, in un senso (politico) e nell’altro.
OGGETTIVITA’ IN “MAMMA RAI” E FORMAT RICICLATI – La crisi della Rai è oggettiva, e non riguarda soltanto i telegiornali, spogliati ormai dalla loro funzione di narratori delle verità del Paese per diventare assertori della banalità e dell’inutilità, ma è un qualcosa che si riflette anche nei programmi televisivi: e così il sabato pomeriggio si vede andare in onda una trasmissione, “Top of the Pops”, figlia del formato britannico fallito qualche anno fa e riciclato all’italiana, con ospiti musicali del nostro Paese e video stranieri riciclati che mostrano canzoni anche di dieci anni fa. Si vedono trasmissioni identiche a quelle della Mediaset, programmi domenicali all’insegna del trash, alla faccia della buona televisione e con buona pace di milioni di telespettatori. Il tutto mentre ci sic chiede che fine abbia fatto il “servizio pubblico”, un concetto che oggi non ha più ragione di esistere e che dovrebbe lasciar spazio, necessariamente, ad una privatizzazione della Tv di Stato.
La parzialità che regna in Rai, tuttavia, non è un fenomeno che sembra circoscritto soltanto a viale Mazzini, ma una sorta di serpente malefico che sta strisciando nelle tante realtà locali, dove lo slogan “Proteggi – e preserva – il padrone” sembra più che mai vero.
RIFLESSI E dèjà VU (EDITORIALI) IN CAPITANATA – E così anche qui, in provincia di Foggia, si vede andare in onda ciò che di peggio può fare un mezzo di comunicazione. Media locali in cui impera una forma di giornalismo auto-celebrativo e occultativo della Verità, senza precedenti. In cui si vedono istituzioni e giornalisti a braccetto nelle conferenze stampa, in cui un invito a cena può valere una notizia in più, in cui l’editore è anche un personaggio radicato nel tessuto economico e sociale del proprio territorio, in cui i contributi editoriali, che in alcune realtà arrivano anche a 300mila euro annui hanno come conseguenza, solita e inevitabile, il silenzio. Ragioni che fanno comprendere come il cordone ombelicale tra Rai e realtà locali sia poi lo stesso e più vicino di quanto si può immaginare. Ragioni che dimostrano come il giornalismo è attualmente un malato tutt’altro che immaginario. Ragioni che fanno gridare allo scandalo, lo stesso grido di libertà di espressione spesso soffocato.
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