Antonio Megalizzi, il radiocronista triestino colpito da un colpo di pistola alla testa nell’attentato di Strasburgo, non ce l’ha fatta. Chiara fin da subito la criticità della sua condizione.
Non c’è una ragionevole spiegazione che possa lenire il senso d’impotenza che si prova davanti alla morte di una giovane vita, soprattutto quando questa viene spezzata dalla mano violenta dell’Isis. Si sperava in un miracolo per Antonio Megalizzi, il giovane radiocronista trentino, vittima nell’attentato dell’11 dicembre ai mercatini di Natale di Strasburgo. Raggiunto da un colpo alla testa, le sue condizioni erano apparse fin da subito disperate. Considerato inoperabile, non si è mai smesso di sperar in un miracolo. Dopo tre giorni di agonia è morto nella giornata di ieri. La comunicazione ufficiale è stata diramata dalle autorità francesi. Radiocronista per Europhonica, una radio che stava portando avanti un progetto universitario e che raccontava l’Europa, Antonio era a Strasburgo per prendere parte e raccontare, attraverso un microfono, l’assemblea plenaria dell’Europarlamento.
Aveva soltanto 29 anni, una laurea nelle tasche e tanti sogni professionali, di vita, che desiderava rincorrere e portare avanti. Aveva gli occhi buoni, questo giovane collega, lo rivelano le foto che girano sul web. Se c’è una cosa che colpisce tra i vari scatti che lo ritraggono, è il suo sorriso aperto, accogliente, come le idee che voleva cercare di materializzare concretamente: far conoscere quell’Europa che dovrebbe integrare. Era un europeista convinto, con una visione aperta e lucida del mondo, professionalmente preparato, tanto da essere responsabile di una redazione on air che avrebbe dovuto raccontare l’Europa in vista anche delle prossime elezioni. Inseguiva le sue passioni, quella più grande in primis: fare del giornalismo di qualità. Rappresentava la meglio gioventù, quella che decide di oltrepassare i confini per sentirsi parte integrante di un progetto planetario e di vita.
Se c’è una cosa che la morte non potrà mai fare è seppellire i ricordi di chi resta e raccontarli, rimane l’unico modo per permettere alla memoria di chi non c’è più di continuare ad esistere.
A cura di Francescapaola Iannaccone
E io, meridionale ricollocatomi per motivi familiari al Nord, piango la perdita di un bravo ragazzo meridionale… di quelli che ci fanno fare bella figura fra i settentrionali !