Edizione n° 5385

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Processo Enichem, Cassazione respinge ricorso parti civili

AUTORE:
Giuseppe de Filippo
PUBBLICATO IL:
16 Marzo 2012
Manfredonia //

Petrolchimico Enichem, anni '80 (ST, archivio Unità)
LA VICENDAIl polo chimico Enichem di Manfredonia cominciò a sviluppare le sue produzioni nei primi del 1971. All’interno degli impianti vi si producevano soprattutto fertilizzanti e il caprolattame (i lattami sono prodotti organici: il caprolattame è utilizzato nella produzione del nylon), da cui si ricavano fibre sintetiche. I controlli sugli scarichi e sulla sicurezza degli impianti sono stati “cronicamente inadeguati” e gli incidenti con fughe di sostanze tossiche si susseguirono a cadenza quasi regolare. Il più grave avvenne il 26 settembre 1976, quando un’esplosione all’impianto per la fabbricazione dell’urea provocò la fuoriuscita di una nube di anidride arseniosa (un gas contenente arsenico): nessun decesso diretto, ma le conseguenze si avvertirono negli anni, soprattutto tra gli ex dipendenti della ditta e la popolazione del territorio circostante. E da quel momento che Manfredonia è soprannominata la “Seveso del Sud” (Un’esplosione alla fabbrica chimica svizzera Icmesa di Meda, hinterland milanese, sprigiona una nube di TCDD, tetraclorodibenzo-para-diossina, investendo i Comuni di Seveso e Desio. Immediatamente si verificano morie di animali e le persone (soprattutto i bambini) rimangono deturpate in viso dalle irritazioni: viene mobilitato l’esercito per evacuare l’area. Negli anni successivi verrà asportato lo strato superficiale del terreno per rendere di nuovo abitabile il territorio. Gli abitanti di Seveso e Desio sono infine rientrati nelle loro case, ma ancora oggi rimangono sotto osservazione medica). Nel 1988 l’impianto dell’Enichem di Manfredonia termina la produzione di caprolattame, dopo che i sistemi di smaltimento delle scorie furono sequestrati dalla magistratura di Otranto perché sospettati di causare una moria di delfini e tartarughe nel basso Adriatico. Il resto del polo chimico chiuse nel 1994 (elaborazione da Focus.it ).

LE INDAGINI, CRONOSTORIA, LA DENUNCIA DI LOVECCHIO – Le prime indagini indipendenti per fare luce sulle conseguenze dell’incidente del 1976 furono avviate a fine anni Novanta su iniziativa di un caporeparto della Enichem, Nicola Lovecchio, addetto al magazzino insacco. L’uomo presenta denuncia in Procura nel settembre del 1996. A Lovecchio, nel 1993, gli venne infatti diagnosticato un tumore polmonare, “tumore che l’oncologo Maurizio Portaluri (medico del capo-reparto Enichem) mise in relazione con il lavoro, svolto dall’operaio, al petrolchimico di Manfredonia”. Da qui innanzi Nicola Lovecchio decide di “approfondire le cause che portarono all’avvenimento del fatto”, “dedicando in questo modo tutto se stesso per ricercare una verità finale”. Lovecchio, a causa del tumore, morì nel 1997, ma le ricerche dell’uomo non furono vane: “proprio dalle denunce di Lovecchio partì infatti il processo contro gli ex dirigenti Enichem, accusati della morte di ben 17 operai”.

IL PROCESSO: “IL FATTO NON SUSSISTE” – “Stamattina, alle 12, a Manfredonia il giudice monocratico, dottoressa Valente, ha pronunciato la sentenza di primo grado del processo alla Enichem . I dirigenti della multinazionale sono stati assolti perché «il fatto non sussiste». Il processo era iniziato da un esposto, nel 1996, alla Procura di Foggia, da parte di un operaio. Nicola Lovecchio. E dell’oncologo Portaluri, a seguito delle indagini e ricerche che avevano svolto. Il pubblico ministero Lidia Giorgio, dopo cinque anni di indagini e riscontri, riuscì poi a far iniziare il processo. Nel 2001 prendono avvio le udienze, fitte di testimonianze e periti che ricostruiscono i fatti. Il capo d’imputazione è grave: omicidio colposo plurimo motivato dall’esposizione all’arsenico dei lavoratori dell’Enichem. Il procuratore capo Alessandro Galli e il sostituto procuratore Lidia Giorgio chiedono il rinvio a giudizio per 12 imputati – 10 dirigenti Enichem come detto e 2 esperti di medicina del lavoro – per disastro colposo, 17 omicidi colposi e 6 lesioni colpose”.

Nel processo, gli operai che si sono costituiti parte lesa sono 23, molti dei quali, oggi, deceduti o ammalati di tumore. Il processo è andato avanti in questi anni, con la signora Lovecchio, la vedova dell’operaio che ha denunciato tutto, in silenzio ad ascoltare, in aula, insieme ai parenti degli altri operai. Il processo di primo grado è durato sei anni, per le numerose perizie fornite da consulenti del pubblico ministero, e le contro-perizie dell’Enichem. Perizie che hanno cercato di far luce sui materiali impiegati nella produzione, i sistemi di sicurezza, ma soprattutto sull’esposizione all’arsenico e polvere di urea. Ma se la scienza è d’accordo, in maniera unanime, sulla natura cancerogena dell’arsenico, altrettanto non è per i periti dell’Enichem. I quali hanno anche ipotizzato, nel corso del processo che l’eccessivo tasso di arsenico nelle analisi fatte agli operai, non fosse legato all’esplosione né, tanto meno, ai processi produttivi, bensì alle loro abitudini alimentari. Un elevato consumo di crostacei e soprattutto di gamberi, hanno detto, è la causa dell’elevato tasso di arsenicure. Elevato consumo che secondo i periti dell’accusa si quantificherebbe in un chilo giornaliero, più meno. Di sicuro la spesa abituale per ogni operaio“. (Alessandro Langiu, da Carta – ottobre 2001).

2 commenti su "Processo Enichem, Cassazione respinge ricorso parti civili"

  1. Errore di battitura in FOCUS GLI IMPUTATI: Lo scoppio della colonna di lavaggio si ebbe nel settembre 1976 (non 1996). Bell’articolo.

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