CONSILIO: “CAMBIARE MENTALITA’” – Lo sostiene il vice-presidente della Provincia di Foggia, Billia Consilio, secondo la quale “parlare di mafia a Foggia non è facile, spesso lo si fa soltanto quando c’è il morto. In realtà il fenomeno mafioso è molto radicato sul territorio”. Secondo la Consilio, che sostituiva il Presidente Pepe all’incontro di oggi, “il contesto sociale in cui si vive deve necessariamente cambiare se si vuole creare un antidoto alla mafia, partendo dalle piccole generazioni e infondendo nei giovani la cultura della legalità“. Ma nonostante la continua attualità del fenomeno-mafia, non c’è ancora una chiara definizione della sua consistenza. Come sostiene il Presidente del Leo Club di Foggia, Ilaria Mari, è indispensabile fare chiarezza su queste tematiche se si vuole davvero affrontarle nel modo giusto”. A tal proposito, Mari cita una frase pronunciata da Paolo Borsellino: “parlate della mafia in qualsiasi modo, ma fatelo”.
IL FENOMENO IN CAPITANATA – I momentii più caldi del fenomeno mafia in terra foggiana sono relativi proprio all’omicidio Panunzio, avvenuto il 6 novembre del 1992, e l’omicidio di Marcone, avvenuto il 14 marzo 1995, e che hanno visto protagonisti a più riprese la “Società” e la “Sacra Corona Unita”, come vengono definite le ramificazioni mafiose foggiane. Le prime manifestazioni a carattere mafioso in Capitanata si registrarono a partire dalla metà degli anni ’80, ed ebbero un carattere imitativo, come ricorda il Procuratore distrettuale antimafia, Giuseppe Gatti. “La mafia garganica e dauna presenta due realtà, una che vive di schemi storici, di derivazione siciliana, mentre l’altra ha una anima propria, e segue dei criteri geo-criminali”. Un fenomeno in continua evoluzione, quindi, in bilico tra tradizione e innovazione, in cui esistono varie realtà che conferiscono dinamismo e pericolosità al movimento. Tra di esse, tristemente note sono quelle che in passato hanno agito non soltanto nel capoluogo dauno, ma anche a Manfredonia, Cerignola, Trinitapoli e San Ferdinando di Puglia. L’esistenza di un’associazione a stampo mafioso fu stabilita per la prima volta con la sentenza del 29 luglio del 1994, riguardante il processo Panunzio. Un anno dopo circa, il 4 agosto del 1995, la Corte d’Assise di Bari modificò la decisione dell’omonimo collegio giudicante foggiano, stabilendo che non si poteva parlare di mafia in quanto i gruppi esistenti non si erano ancora federati, non acquisendo quindi la capacità di intimidazione tipica della mafia. Le carte in tavola furono ulteriormente cambiate con la decisione della legge del 13 ottobre del 1996 che riconosceva l’esistenza del fenomeno mafioso e inseriva, tra i provvedimenti, la possibilità per gli imputati coinvolti in processi per attività mafiose di patteggiare la pena. Tra i pericoli principali della mafia c’è quello del radicamento nel territorio.“La mafia storicamente svolge una funzione sociale”, ammonisce Giuseppe Gatti. In passato essa ha consentito distribuzione di risorse, impoverimento della famiglie, “inclusione nelle società”. Tre sono le sue caratteristiche principali: assoggettamento, intimidazione e omertà. Urgono dunque provvedimenti concreti per arginare il fenomeno, non ancora molto esteso sul territorio di Capitanata, ma che rischia di diventare una vera e propria emergenza nei prossimi anni. A tal proposito, Gatti individua due tipi di interventi-argine: provvedimenti repressivi e preventivi, necessari per compiere quello “sforzo di legalità” in grado di consentire all’intera provincia di Foggia di uscire dal tunnel del degrado economico, culturale e sociale.