Manfredonia. Si è svolto a Manfredonia – presso l’Auditorium “C. Serricchio” – l’incontro con il procuratore aggiunto e coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, dottor Francesco Giannella, organizzato dal Rotary Club Manfredonia con il patrocinio dell’Ordine degli avvocati di Foggia.
L’evento dal titolo MAFIA NOSTRA. Dinamiche mafiose nel territorio di Manfredonia e del Gargano, ha l’obiettivo di contribuire ad una maggior conoscenza del fenomeno mafioso a Manfredonia da parte della cittadinanza sipontina.
Stefano de Carolis, ricercatore storico, sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri specializzato nella Tutela del Patrimonio Culturale Nazionale presso il Mi-BACT di Roma. Giornalista, iscritto presso l’Ordine della Puglia collabora con diverse testate a diffusione nazionale.
Nel suo libro “L’infame legge. Storia della camorra in Puglia” lei descrive come si è evoluta la malavita organizzata in Puglia. La mafia garganica in che fase di questa evoluzione si può collocare?
De Carolis: “I codici antichi attribuibili alla malavita sono un po’ cambiati, le mafie si sono evolute. Tuttavia la struttura-base resta la medesima.
Dobbiamo distinguere due tipi di antica malavita: un’organizzazione cittadina e quella rural-pastorale, collegata all’attuale mafia del Gargano. Nel mio libro, basandomi sui miei studi compiuti dagli Archivi di Stato, parlo di due importanti processi celebrati alla fine dell’800. 1890, processo a L’infame legge, una consorteria di camorristi di Barletta. L’anno successivo il memorabile processo alla camorra barese. Dagli atti emerge tuttavia che, anche a Foggia (nel 1894), ci furono degli arresti e dei processi legati alla malavita foggiana.
I codici antichi attribuibili alla malavita sono un po’ cambiati, le mafie si sono evolute. Tuttavia la struttura-base resta la medesima. L’efferatezza rimane. Per quanto riguarda gli status-symbol, la camorra antica barese, barlettana e foggiana aveva un abbigliamento ben preciso: il fazzoletto di seta legato al collo, il capello che fuoriusciva dal cappello; il cappello alla “sgherra”; la tracotanza con cui camminavano. Erano dei messaggi ben precisi inviati alla comunità che era spaventata perché incutevano terrore. Oggi la società è cambiata… i nuovi comportamenti sono avere la macchina da 100mila euro, il telefonino di ultima generazione…”.
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