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A scuola tra emozioni e nozioni: competenze non cognitive

AUTORE:
Michele Illiceto
PUBBLICATO IL:
18 Gennaio 2022
Manfredonia //

Statoquotidiano.it, Manfredonia (Fg), 18 gennaio 2022 – E’ di questi giorni la notizia che la Camera, con 340 voti favorevoli, ha approvato in modo quasi unanime la proposta di legge che introduce l’utilizzo delle competenze non cognitive in ambito didattico. Il testo approvato ora passa all’esame del Senato. Di che cosa si tratta?

 

 

il prof. MICHELE ILLICETO
il prof. MICHELE ILLICETO

 

Ebbene la scuola è luogo di formazione la quale comprende un momento conoscitivo e un momento adattivo. La formazione interessa tutti i registri della personalità. Essa deve essere integrale, armonica, graduale, progressiva, pertinente, incisiva. Noi non siamo solo ragione e pensiero ma siamo anche cuore ed emozione, siamo corpo e quindi anche persone che fanno i conti con le proprie fragilità e i propri limiti.

 

Ma soprattutto siamo relazione, linguaggio e quindi anche bisognosi di comunicazione e di legami. La scuola usa le discipline, come diceva E. Bruner, come una cassetta degli attrezzi per conoscere e capire, ma anche per orientarsi e decidere. Adattarsi e innovare.  Non si tratta tanto di dare solo dei contenuti, ma di innescare processi generativi per apprendimenti aperti al nuovo e al variabile.

 

Come diceva il grande filosofo e pedagogista americano J. Dewey, nella scuola il pensiero non è fine a se stesso, ma va visto come  uno strumento dell’azione. Ecco perché le conoscenza da sole non bastano, ci vogliono le competenze, intese come la capacità di utilizzare le conoscenze e le abilità in contesti di problematicità che esigono adattamento e creatività. Ma la creatività non è solo figlia del pensiero razionale, essa è legata anche a processi emozionali e a dinamiche affettive e relazionali.

 

Negli ultimi anni poi, la società è diventata prima sempre più complessa e in seguito sempre più liquida, in perenne e repentino cambiamento, rendendo spesso le conoscenze apprese obsolete e superate. Per questa ragione ci vogliono delle competenze definite non cognitive, perchè non legate tanto al sapere, ma al saper utilizzare le conoscenze stesse in chiave adattiva e orientativa. Queste sono quelle che a livello europeo vengono definite life skills. Infatti, la complessità va prima letta, decifrata e interpretata e poi affrontata e districata, ed emotivamente filtrata.

 

Come ha ribadito il ministro Bianchi “L’obiettivo di questa sperimentazione è garantire l’effettivo e pieno sviluppo di ogni giovane. Questo provvedimento contribuisce a costruire una scuola che mira alla formazione di qualità, per tutti e per ciascuno, e allo stesso tempo è luogo di relazioni. In altre parole una scuola che educa cittadine e cittadini consapevoli delle proprie capacità e inclusiva”.

 

Questa proposta è anche un modo per aiutare le nuove generazioni ad affrontare la pandemia che ha accentuato situazioni di disagio già preesistenti, aumentando le criticità e rendendo i nostri ragazzi molto più vulnerabili. Ma soprattutto, in chiave psicologica, si vuole agire sui processi motivazionali, per prevenire abbandoni scolastici o disaffezioni. Infatti si sa che la motivazione è la molla dell’apprendimento e che la motivazione, come va dicendo da tempo il filosofo U. Galimberti,  si nutre molto di emozioni.

 

Con questa specifica attenzione alle competenze non cognitive, si vuole dare più importanza a quella che lo psicologo Daniel Goleman in un suo famoso libro ha chiamato “Intelligenza emotiva”, per aiutare i bambini e gli adolescenti a prendere anzitutto consapevolezza delle proprie emozioni e poi a saperle gestire, senza lasciarsi travolgere da esse in scelte sbagliate e impulsive. Ma anche, da un lato, sviluppare una maggiore empatia per arginare il diffondersi del cinismo, dall’altro maturare una capacità comunicativa più efficace, sviluppare il pensiero creativo e quello critico, oltre che l’abilità di prendere decisioni e risolvere problemi (problem solving).

 

Come ha sostenuto Vittoria Casa, presidente commissione Cultura Scienza e Istruzione a Montecitorio, “Oggi c’è bisogno di integrare nella didattica le competenze relative alla flessibilità, alla creatività, all’apertura mentale, alla stabilità emotiva, alla capacità di argomentare, interagire, discernere, è altrettanto fondamentale che apprendere i diversi saperi disciplinari”.

 

A dire il vero queste competenze sono insite già nella struttura epistemologica delle discipline presenti a scuola. Si tratta solo di abbandonare il  vecchio e sterile nozionismo, perché più che apprendere qualcosa, è necessario “apprendere ad apprendere”. Più che i contenuti e i risultati, bisogna lavorare sui processi, dando più importanza alle persone con le loro biografie e le loro storie, con le loro narrazioni e i loro vissuti. Perché, se la scuola lascia fuori la vita, la vita a sua volta metterà tra  parentesi la scuola, come accade già da tempo nella vita di molti ragazzi.

 

Pertanto, non sarà necessario introdurre una nuova disciplina,, ma riuscire a coniugare i contenuti di ogni materia in chiave esistenziale, creativa ed emotiva, per aiutare ogni alunno a capire meglio se stesso, gli altri e la complessità di questo mondo, per potersi inserire in ogni contesto e qui agire in modo attivo, creativo e partecipativo,  sviluppando relazioni sociali positive e costruttive. Per poter, come si diceva anni fa, star bene con se stesso, con gli altri e nei diversi ambienti che dovrà attraversare e abitare in tutte le stagioni della propria vita.

 

A cura di Michele Illiceto

 

 

 

 

 

6 commenti su "A scuola tra emozioni e nozioni: competenze non cognitive"

  1. La legge citata dal prof. Michele Illiceto, approvata dalla Camera e passata all’esame del Senato, ha lo scopo d’introdurre nella metodologia didattica le “competenze non cognitive”. Tali competenze vanno distinte da quelle “tecniche e professionali”.
    Insegnare competenze non cognitive vuol dire educare il pensiero critico, la comunicazione, la creatività, la capacità di collaborazione, la coscienziosità, la consapevolezza sociale e culturale, nonchè la capacità relazionale e di comportamento che caratterizano il modo in cui ci si pone nel contesto lavorativo e, direi, nella vita…
    E’ una didattica che rimette al centro e opera per l’inclusione di tutti.
    Don Milani scriveva:
    “Una scuola dove si perdono i ragazzi più difficli non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Nulla è più ingiusto di far parti uguali tra disuguali”.
    Concludendo e parafrasando il prof. Illiceto, la scuola deve “insegnare ad imparare”. Il che significa che non basta il sapere e il saper fare ma è necessario che la scuola insegni, anche, a saper “essere”.
    Un caro saluto all’amico Michele.

  2. Una scuola così è possibile solo se si inizia a rieducare GLI ADULTI , GLI INSEGNANTI . Solo Don Rigoldi lo sta facendo

  3. Ho letto con attenzione l’articolo del Prof.re Michele Illecito in cui si fa riferimento a modalità didattiche e formative che in molte scuole italiane esistevano già parecchi anni fa.Sono un’ insegnante di italuano storia geografia della secondaria di 1 grado in pensione dal 2016 . Ho insegnato parecchi anni in una scuola media perferica dove le competenze non cognitive erano favorite e coinvolte in attività le piu’ disparate dal teatro ai laboratori di lettura e scrittura creativa dalla coniacenza del territorio con progetti nei siti dal cinema ai laboratori scientifici e creativi nell’ambito dell’arte e dell’ educazione tecnica ai laboratori inyerculturali. Tutte modalità che riportavano poi al cognitivo perché scrivere un testo teatrale o cantare una canzone in lingua originale danzare e creare una coreografia non sono forse momenti di coinvolgimento della sfera emozionale ma anche cognitiva? Sono stati per me anni di grande impegno ma anche di grandi soddisfazioni in classi difficili dive proprio queste attivita hanno coinvolto esaltato e gratificato anche gli alunni più probkematici e svantaggiati! Anni in cui l” orario lungo del tempo prolungato consentiva di fare di più e meglio! Mi sono laureata in filosofia nel 1976 con una tesi sull’ esperienza didattica di Albino Ber.nardini forse bisognerebbe rileggere Ciari Freinet Makarenko Don Milani per capire che cosa dobbiamo offrire ai nostri ragazzi in questi tempi che dimenticano i loro problemi le loro richieste ma soprattutto tralasciano le loro potenzialità! Oltre le leggi i decreti. ci vogliono cuore passione e disponibilità con il coinvolgimento dei ragazzi delle loro famiglie delle agenzie del territorio! La scuola non deve essere un problema deve essere una risorsa un serbatoio per futuro di tutti!

  4. Sono stata felice di leggere il commento della signora Mannarino che, essendo un’insegnante come me, ha giustamente fatto notare che la nuova legge non ha quasi nulla di nuovo…di competenze”trasversali”, non tecniche e disciplinari, nella scuola si parla da anni. Anzi, vengono anche messe nero su bianco al termine della scuola secondaria di I grado con la cosiddetta “certificazione delle competenze”, richiesta proprio dal Miur, e che deve essere stilata sulla base dei cosiddetti “compiti di realtà”. Fra le competenze trasversali rientra, tanto per dirne una, “imparare ad imparare” (somiglia a qualcosa di “nuovo”?????). Forse prima di impegnarsi nell’elaborazione di “ri-forme” sarebbe utile un ripasso di quelle precedenti. Proprio come si fa a scuola! Così, forse, prima o poi, si arriverebbe a concentrarsi sulle esigenze vere e concrete

  5. La scuola che abbiamo in Italia è a dir poco un luogo di tortura per i ragazzi che sin da piccoli lavorano più degli adulti..non hanno diritti umani,non viene tenuto conto del loro pensiero come essere umano..
    Devi solo lavorare e farti giudicare con uno stupido numero.non hanno tempo per coltivare passioni ed interessi, devono correre verso non si sà cosa perché i professori pensano solo a chiudere il programma.
    La scuola italiana sarebbe ora che cambiasse questo schema brutale ed inaccettabile!
    Ma ho paura che tutto ciò che leggo non mai..

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