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Ex Moglie shopping-dipendente: addebitabile la separazione

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
18 Aprile 2013
Casi e Sentenze // Manfredonia //

Glamour Shopping (fonte image: archistyle.it)
Roma – MOLTI uomini, specialmente quelli che stanno vivendo una piena crisi coniugale, gioiranno per una sentenza che è destinata a diventare un precedente giurisprudenziale decisamente singolare.

Secondo, infatti, una recente sentenza della sezione specializzata in Diritto di Famiglia del Tribunale Civile di Roma, fare shopping sfrenato può essere un valido, anzi validissimo, motivo di addebito di colpa in caso di separazione. Il caso ha riguardato un uomo che, stanco della moglie “shopping-dipendente”, aveva infatti chiesto che venisse riconosciuto alla stessa l’addebito della colpa per la separazione, data la situazione diventata ormai intollerabile. La signora infatti dedicava ogni giorno, dopo l’uscita dal lavoro, alla sua attività preferita, ovvero fare compere. Ogni momento era buono per acquistare profumi o vestiti, dedicarsi alle cure estetiche più nuove, spendendo ogni singolo centesimo guadagnato con il lavoro di impiegata.

Cattiva abitudine e grosso problema all’ interno del ménage che, alla fine, ha portato il marito a lamentarsi davanti ai giudici, nonostante la presenza in famiglia di due figli, che la signora pare abbia completamente ignorato nella sua foga di acquisti per sé. Nessuna delle spese tracciate nell’arco di un triennio, 2006-2009, potevano in qualche modo relazionarsi ad un solo acquisto fatto anche per i due ragazzi. E nulla, ma proprio nulla, per la dispensa di casa. In sintesi, tutto il carico delle spese gravava sulle spalle del marito, che ha dovuto per anni barcamenarsi tra mutuo e spese della casa, cibo, istruzione dei figli, e così via.

Fino a che il suo lavoro funzionava l’uomo ha potuto sopportare persino che la donna attingesse anche dal “fondo cassa comune” (creato per le spese gestionali), Quando però per l’uomo le cose sono cambiate professionalmente, anche la sua sopportazione per la moglie spendacciona si è drasticamente ridimensionata. Registrando un crollo improvviso. Ed ha così invocato l’aiuto degli avvocati, che si sono appellati all’art. 143 del codice civile, che obbliga entrambi i coniugi a concorrere alle spese nell’interesse della famiglia.

Così, per la prima volta i giudici hanno addebitato una separazione per un motivo diverso dal tradimento coniugale o dalla violenza familiare, per una causa frivola ma assai dannosa. E alla donna spetterà farsi carico anche delle spese processuali!

(A cura dell’Avv. Eugenio Gargiulo)

4 commenti su "Ex Moglie shopping-dipendente: addebitabile la separazione"

  1. Da: avv. Eugenio Gargiulo (eucariota@tiscali.it)

    La separazione giudiziale non giustifica il mancato rinnovo del permesso di soggiorno nei confronti del coniuge straniero!

    In conseguenza della cessazione di un rapporto di matrimonio tra cittadino italiano e straniero non può essere negato a quest’ultimo il rinnovo del permesso di soggiorno.

    E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la recente sentenza 12745 depositata il 23 maggio, con la quale è stato rigettato il ricorso della Questura di Verona contro il provvedimento della Corte d’Appello di Venezia che aveva accolto il reclamo di una cittadina di origini straniere.

    La donna si era opposta al provvedimento del Tribunale di Verona che aveva confermato il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia. “Tale diniego – si legge nella sentenza – era stato motivato dalla sopravvenuta cessazione della convivenza tra la richiedente e il coniuge italiano, con conseguente venir meno della condizione richiesta dall’articolo 19, secondo comma lettera c) del Dlgs 286 del 1998 e dall’articolo 30, comma 1 bis del Dlgs 286 del 1998”.

    La Corte d’Appello aveva accolto il ricorso della donna argomentando che “la cessazione di fatto della convivenza, dopo almeno sette anni di matrimonio e di convivenza effettiva attestata dai due precedenti permessi di soggiorno per motivi familiari rilasciati alla cittadina straniera , è inidonea a far venire meno le condizioni per il rinnovo del predetto permesso, non potendo il vincolo coniugale in oggetto essere ritenuto fittizio”.

    Il ministero dell’Interno e la Questura di Verona si erano opposti sottolineando, tra le altre cose, che il permesso di soggiorno richiesto dalla donna il giorno successivo al matrimonio le era poi stato rinnovato e successivamente revocato dopo aver verificato che era cessata la convivenza.

    La Cassazione ha evidenziato che tra i criteri di “riconoscimento iniziale e conservazione dei titoli di soggiorno” non si può far rientrare la convivenza effettiva. Nella sentenza viene precisato anche che la legge stabilisce che “il familiare che non abbia già ottenuto la carta di soggiorno permanente perde il diritto al soggiorno (in assenza di figli minori) se il matrimonio è durato meno di tre anni di cui almeno uno sul territorio nazionale”. In questo caso specifico, la Cassazione ha concluso che, non trattandosi di un matrimonio fittizio, vista la durata di sei anni, la fine della relazione non può giustificare il mancato rinnovo del permesso di soggiorno.
    Foggia, 27 maggio 2013 Avv. Eugenio Gargiulo

  2. Da: avv. Eugenio Gargiulo (eucariota@tiscali.it)

    La “dichiarazione di addebito” nella separazione rende nullo il precedente accordo patrimoniale tra coniugi!

    La Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza 8 maggio 2013, n. 10718 , ha affermato che la pronuncia di addebito esclude sempre il diritto al mantenimento, anche se tra i coniugi sia intervenuto un accordo di natura economica durante il matrimonio, avente ad oggetto l’eventuale obbligo. E’ possibile però effettuare la richiesta di alimenti in presenza dei presupposti di legge, anche oltre il giudizio di primo grado poiché la domanda va ricompresa in quella più ampia relativa all’assegno di mantenimento.

    Il caso riguarda una coppia di coniugi separati con sentenza che aveva pronunciato l’addebito reciproco. Per il marito si trattava della reiterata violazione dell’obbligo di fedeltà e per la moglie del comportamento aggressivo e violento nei confronti del marito e i ripetuti allontanamenti dalla casa coniugale. In appello la moglie oltre a contestare l’addebito e a reiterare la richiesta di mantenimento aveva chiesto in subordine l’assegno alimentare.

    La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda di mantenimento perché l’addebito esclude il diritto al mantenimento e aveva rigettato anche la domanda di alimenti considerandola “nuova” e quindi non proponibile nel secondo grado di giudizio.

    Le parti avevano inoltre stipulato, in fase di riconciliazione, una scrittura privata per la regolamentazione dei loro rapporti economici, nella quale si prevedeva che il marito corrispondesse alla moglie la somma mensile necessaria per le necessità della moglie, ma tale accordo non era stato considerato rilevante dalla Corte d’appello.

    La donna era perciò ricorsa in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito non avrebbero considerato le condotte dei coniugi globalmente e comparativamente, ma isolatamente. Al contrario, la violenza e aggressività, come pure i frequenti allontanamenti dal domicilio coniugale sarebbero stati causati dalla costante infedeltà coniugale del marito.

    La Cassazione ha precisato che la valutazione sui fatti già esaminati nel merito non è consentita in sede di legittimità. Comunque, la Corte di Appello avrebbe fondato la propria decisione in maniera corretta, valutando le condotte complessivamente e in un periodo molto ampio.

    Quanto all’esistenza di un accordo di natura negoziale relativo alla regolamentazione dei rapporti economici, in primo luogo non risulta nel caso di specie avere ad oggetto la misura di un assegno di mantenimento, ma soprattutto prevale la dichiarazione di addebito, con le conseguenze patrimoniali previste dalla legge, rispetto all’accordo delle parti.

    La Corte ha accolto, però, la domanda della donna riguardante la richiesta degli alimenti. Secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione, “la domanda di un assegno di natura alimentare, costituisce un minus ricompreso nella più ampia domanda di richiesta di un assegno di mantenimento” ( in tal senso vedasi altresì Cass. Civ. n. 4198/1998 e Cass. Civ. n. 26571/2007).

    Ne consegue che la richiesta non può essere considerata tardiva ai sensi dell’art. 345 c.p.c. ed è legittima anche alla luce degli interessi coinvolti.
    Ai sensi dell’art. 438 c.c. resta, infatti, inalterato il diritto agli alimenti se ci sono i presupposti dello stato di bisogno e l’impossibilità di provvedere al proprio mantenimento tenuto conto delle condizioni fisiche, dell’età e della posizione sociale del coniuge.
    La sentenza pone ancora una volta l’accento sulla inderogabilità dei diritti che regolano e governano la famiglia a discapito del principio di autonomia contrattuale.
    Foggia, 10 giugno 2013 Avv. Eugenio Gargiulo

  3. Da: avv. Eugenio Gargiulo (eucariota@tiscali.it)

    In caso di separazione dei coniugi l’auto di famiglia può essere assegnata anche a un soggetto diverso dal proprietario!

    Di frequente proprio la questione relativa all’assegnazione dell’auto di famiglia è oggetto di contestazione tra i coniugi che intendono separarsi; ciò perché, seppur intestata a una sola delle parti, all’atto pratico essa viene spesso utilizzata anche dall’altro per i bisogni del nucleo familiare (accompagnamento dei figli nelle varie attività scolastiche e parascolastiche, utilizzo nell’assistenza di genitori anziani o di familiari disabili).

    In caso di separazione consensuale, le parti, sono assolutamente libere di concordare la destinazione da dare all’auto di famiglia (a prescindere dal fatto che essa rientri o meno tra i beni della comunione), stabilendo, ad esempio, che essa rimanga nella disponibilità del coniuge che non ne sia intestatario, affinché continui ad utilizzarla per le necessità della famiglia e purché provveda alle spese ad essa inerenti.

    Diverso è il caso in cui la separazione tra le parti non sia “consensuale” e, pertanto, a decidere anche su l’argomento auto sia chiamato il giudice.
    In tal caso, egli potrà tenere conto dell’esistenza di esigenze familiari particolari, specie in caso di presenza di figli minori o di disabili, il cui interesse andrà prioritariamente tutelato.

    Indicativa in tal senso è una recente pronuncia del Tribunale di Bari che, in sede di provvedimenti temporanei e urgenti di un giudizio di separazione, ha assegnato l’auto familiare al coniuge convivente con il figlio disabile, nonostante il mezzo fosse intestato all’altro. ( così Trib. Di Bari decr. 8/4/13.)

    Nel caso in esame l’automobile era stata acquistata con le agevolazioni previste dalla legge per l’assistenza delle persone handicappate (Legge- quadro 104 del 5 febbraio 1992)., ed era proprio destinata agli spostamenti della figlia maggiorenne affetta da disabilità.

    In sintesi, se vi è disaccordo tra le parti, il giudice potrà assegnare l’automobile di famiglia anche al coniuge che non ne sia intestatario, nel caso in cui vi sia un “interesse superiore da tutelare”(come quello all’assistenza di un figlio disabile).
    Foggia, 12 settembre 2013 Avv. Eugenio Gargiulo

  4. Da: avv. Eugenio Gargiulo (eucariota@tiscali.it)

    Va addebitata la separazione giudiziale a chi lascia la casa senza dimostrare che il coniuge la trascura sessualmente!

    Il coniuge deve fornire la prova certa dell’intollerabilità della convivenza prima di abbandonare l’abitazione familiare.

    Pertanto, può essere addebitata la separazione a chi lascia la casa lamentando la prepotenza e la trascuratezza sessuale dell’altro, senza riuscire a fornire una prova certa. Le testimonianze approssimative di amici e parenti sono insufficienti.

    È quanto affermato dal Tribunale di Treviso che, con la sentenza n. 1212/2013, ha accolto la domanda di separazione presentata da un uomo che era stato improvvisamente lasciato dalla moglie la quale era andata via con il figlio piccolo.

    La signora si era difesa sostenendo che il marito era arrogante e che la trascurava sessualmente. Due motivi, questi, ritenuti insufficientemente provati dai Giudici. Infatti, per il Tribunale le testimonianze della madre e della migliore amica di lei su una presunta indifferenza dell’uomo erano state troppo vaghe e poco circostanziate.
    Fra l’altro il marito era invece riuscito a provare l’infedeltà della partner.

    In sentenza i giudici motivano sottolineando che l’abbandono della casa coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l’onere incombe su chi ha posto in essere l’abbandono, che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto; tale prova è più rigorosa nell’ipotesi in cui l’allontanamento riguardi pure i figli, dovendosi specificamente ed adeguatamente dimostrare, anche riguardo ad essi, la situazione d’intollerabilità.

    Il bambino è stato affidato a entrambi i genitori e collocato presso l’abitazione della madre. La casa è stata assegnata a lui dal momento che la donna, spiega la Corte, aveva lasciato l’abitazione ancora prima del giudizio di separazione.
    Foggia, 28 novembre 2013 Avv. Eugenio Gargiulo

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