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DDL diffamazione approvato alla camera

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
18 Ottobre 2013
Casi e Sentenze // Lavoro //

Giornali (ST - fonte image: ilsussidiario)
SONO anni che si discute di diffamazione a mezzo stampa e gli sviluppi per chi il giornalismo lo pratica su Internet. Movimenti di opinione, campagne di sensibilizzazione, chiare azioni di pressione, hanno costellato questa necessaria riforma di una legge, quella sulla diffamamzione, che ci inchiodava ancora ad epoche passate.
Come se Internet non fosse mai stato.

Ieri la Camera dei Deputati ha approvato la proposta di legge in materia di diffamazione (testo che contiene modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante).

Il documento, in esame da giugno, è stato licenziato dalla Commissione giustizia il mese seguente, per passare in aula ad agosto per la discussione generale. Il passo successivo, dopo l’attuale approvazione, sarà quella dell’esame in Senato.

Dal punto di vista ANSO, e quello degli editori online, sicuramente il testo avrà bisogno di altre limature e correzioni. E lo stato dell’arte, considerando le modifiche sostanziali, è il seguente.

La diffamazione a mezzo stampa non comporta una pena detentiva per il giornalista ma, a seconda dei casi, una pena pecuniaria (da 5 a 60mila euro); la pubblicazione della sentenza; l’interdizione temporanea dalla professione. La rettifica viene valutata dal giudice come causa di non punibilità.

No ai commenti che accompagnano la rettifica. Il testo deve essere pubblicato riportando titolo, data e autore dell’articolo diffamatorio. In caso di inottemperanza, scatta una sanzione amministrativa (da 8 a 16mila euro).

Le testate giornalistiche online e radiofoniche vengono espressamente incluse nel testo normativo.

Danno e risarcimento sono quantificati su alcuni parametri: diffusione della testata, gravità dell’offesa, effetto riparatorio della rettifica. È possibile esercitare l’azione civile entro due anni dalla pubblicazione.

Il direttore responsabile è coinvolto se c’è un nesso fra diffamazione e omesso controllo. Non rischia l’interdizione dalla professione e può delegare la funzione di vigilanza.

Se la querela è infondata (querela temeraria), il querelante può essere condannato al pagamento di una somma da mille a 10mila euro. Anche il giornalista pubblicista può avvalersi del segreto professionale di fronte al giudice, per non rivelare le proprie fonti.

Per ingiuria e diffamamazione fra privati, anche telematiche, niente carcere ma aumenta la multa (fino a 5mila euro per l’ingiuria e 10mila per la diffamazione).

Redazione Stato

2 commenti su "DDL diffamazione approvato alla camera"

  1. Da: avv. Eugenio Gargiulo (eucariota@tiscali.it)

    Commette il reato di ingiuria chi appella come “ rovinafamiglie” o come “zingara” un altro individuo!

    Due recentissime sentenze della Cassazione e di un Giudice di Pace in tema di ingiuria.

    Dare della “rovinafamiglie” all’amante del marito costituisce reato di ingiuria.
    L’espressione è forte e particolarmente offensiva, ritiene la Cassazione con una sentenza appena pubblicata ( in tal senso Cass. sent. n. 43407 del 24.10.2013.)

    Ma non solo. Il reato scatta anche se tale parola non è stata riferita direttamente in faccia alla vittima; basta che quest’ultima lo abbia saputo da altre persone presenti al momento dello sfogo. Scatta ugualmente l’ingiuria – ricorda la Suprema Corte – anche se il soggetto passivo del reato non ha direttamente percepito le espressioni indirizzategli; è sufficiente che ne sia stato informato da altri presenti.

    In generale, l’offesa si può manifestare sia con espressioni verbali, sia con gesti dispregiativi (come uno sputo), sia ancora attraverso mezzi di comunicazione a distanza, come una email, una lettera, una telefonata indirizzata alla persona offesa.

    L’ingiuria deve essere proferita in presenza del destinatario. Tuttavia, è sufficiente che il soggetto offeso, anche se non materialmente visto da chi agisce, sia in grado di percepire le espressioni lesive a lui rivolte.

    Nessuna attenuante, invece, per le minacce e le ingiurie tra proprietari dello stesso condominio, tra i quali dovrebbe prevalere la collaborazione; la parola “zingara” va considerata come ingiuria poiché richiama l’idea di un soggetto estraneo alla società civile.

    Chiamare “Zingara!” una persona integra anche questo un’ingiuria; ma il reato è tanto più grave se l’espressione è rivolta nei confronti di un vicino di casa. Infatti, tra i partecipanti allo stesso condominio dovrebbe invece prevalere un “clima di solidarietà”.

    A bacchettare i cattivi rapporti tra condomini è una sentenza del giudice di Pace di Tagliacozzo (in provincia dell’Aquila)

    Condanna senza attenuanti, dunque, per l’ingiuria rivolta al vicino. Ciò perché – almeno così si legge nella sentenza in commento – l’offesa risulta inferta nell’ambito condominiale, dove “si svolge la primaria attività di relazione sociale dell’individuo” e “la mancanza di solidarietà fra gli appartenenti a tale comunità è spesso foriera di gravi conseguenze sul piano individuale e sociale”.

    Serve più solidarietà tra i condomini – redarguisce il giudice – che, a causa dell’espressione offensiva ha condannato una coppia a un risarcimento di euro 5.700 euro più le spese di giudizio. (in tal senso G.d.P. Tagliacozzo, sent. n. 18/2013 del 18.10.2013.)

    Ingiurie e minacce tra condomini dello stesso stabile non consentono l’applicazione di attenuanti; sono fatti di una certa gravità, proprio perché avvenuti nell’ambito condominiale, dove “dovrebbe prevalere un sentimento di solidarietà”.

    La parola “zingara”, poi, va considerata come un’offesa, in quanto – pur essendo estranea al concetto di razzismo – essa richiama l’idea di un soggetto estraneo alla comunità civile. Tale termine assume dunque un significato lesivo della dignità e della onorabilità della persona.
    Foggia, 25 ottobre 2013 avv. Eugenio Gargiulo

  2. Da: avv. Eugenio Gargiulo (eucariota@tiscali.it)

    Non commette il reato di diffamazione chi “invia” un’offesa ad una casella email!

    Inviare ad un solo destinatario un’email che offende un terzo non è diffamazione, anche se questa viene conosciuta dalla persona offesa.

    Pertanto, non è reato inviare ad una casella email un messaggio con contenuti offensivi nei confronti di un terzo, anche se successivamente l’offeso viene a conoscenza del messaggio.

    Lo ha affermato la Corte di Cassazione in una recente sentenza ( così Cass. sent. n. 8011/2013). La vicenda vede interessata una persona che aveva ricevuto, sulla propria email, un messaggio con contenuti offensivi e denigratori nei confronti di un personaggio politico locale; ne aveva quindi informare l’interessato il quale, a sua volta, aveva sporto querela per diffamazione nei confronti del mittente dell’email.

    La Corte ha concluso per l’assoluzione del mittente poiché si commette il reato di diffamazione (art. 595 cod. pen.) solo qualora le offese vengano comunicate a più persone e tra queste non va considerata anche la persona cui si riferiscono i contenuti offensivi.

    Nel caso in esame il messaggio offensivo era stato inviato ad una sola casella email, utilizzata quindi da una singola persona (a prescindere dal fatto che poi, quest’ultima, lo aveva comunicato all’interessato). L’offesa è quindi giunta a conoscenza di una sola persona e pertanto non costituisce diffamazione.

    Inviare un’email con contenuti offensivi nei confronti di un terzo non è reato se il destinatario è uno soltanto. Se invece il messaggio è rivolto a più di un destinatario esso costituirebbe reato di diffamazione.
    Nel caso in cui le offese vengano inviate direttamente alla persona che ne è oggetto, il mittente dovrebbe invece rispondere del reato, meno grave, di ingiuria ( art. 594 cod. pen)..

    In sintesi, parlare male di una persona con un’altra persona soltanto (a quattr’occhi o con un’email) non costituisce reato di diffamazione. Al contrario se il messaggio è inviato a più persone (per esempio, su una bacheca di Facebook o su un newsgroup) il reato sussiste.

    Se invece è presente la persona offesa viene commesso il reato di ingiuria.
    Foggia, 4 novembre 2013 Avv. Eugenio Gargiulo

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