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1697 Cappuccetto Rosso in città

Le prime pubblicazioni apparvero nel 1697 ma a nome del figlio di dieci anni

AUTORE:
Ferruccio Gemmellaro
PUBBLICATO IL:
20 Gennaio 2024
Cultura // Manfredonia //

La favola Cappuccetto Rosso fu scritta dal francese Charles Perrault, creatore anche di Barbablù, Cenerentola, Pollicino e di tante altre.

Le prime pubblicazioni apparvero nel 1697 ma a nome del figlio di dieci anni, perché l’autore temeva di apparire uno scrittore poco serio; tale era allora l’opinione dei lettori nei confronti di chi scriveva per i bambini. In realtà, pare che tra padre e figlio Perrault esistesse una sorta di intesa e che lo scrittore utilizzasse il bambino giusto per verificare gli effetti delle narrazioni.

Nella nostra penisola, solo ai primi del ‘900, grazie alla direzione della fiorentina Ida Baccini, la letteratura per l’infanzia entrò trionfalmente nelle famiglie per il tramite del settimanale Il Giornale dei Bambini, che mamme e papà aspettavano di sfogliarlo avidamente, con la scusante di leggerlo ai più piccoli.

La favola, in ogni modo, non si chiude nella maniera che tutti conosciamo, ma con il lupo che digerisce nonna e la povera Cappuccetto Rosso, insomma senza l’intervento del cacciatore; e questo provoca la delusione di chi scopre e legge il testo originale. Perrault, unico tra gli autori di fiabe e favole, non accorda un lieto fine “… quel malanno di Lupo si gettò sul povero Cappuccetto Rosso e ne fece un boccone.” … e la storiella termina qui. Collodi, il nostro grande ideatore della fiaba di Pinocchio, nella sua traduzione in italiano di Cappuccetto Rosso ha mantenuto la tragica versione francese di Perrault.

I fratelli tedeschi Jakob e Wilhelm Grimm, vissuti agli inizi dell’800, ne modificarono invece il finale, così come è globalmente noto, nell’idea che il Favolistadeve far propria la coerenza infantile, cosiddetta Alogica, la quale non vuol dire senza logica ma estranea alla logica comune e fatalista degli adulti. I Grimm, in altre parole, adottarono la ricorrente logica dei bambini, la quale è predisposta a favore della vittoria dei buoni e dei deboli, di conseguenza, la sconfitta dei cattivi e forti. La favola, infatti, prosegue con l’arrivo del cacciatore che con le forbici taglia la pancia della bestiaccia addormentata per far uscire malconci ma salvi nonna e nipote; anzi, i favolisti tedeschi vanno oltre, facendo entrare in scena un secondo lupo, che nonna e nipote, oramai più accorti, lo faranno morire affogato congegnando un tranello.

Oggi, l’adulto che si cimenta a inventare storie e giochi per bambini, più che per spinte alogiche o fatalistiche, può essere spinto a farlo per interessi consumistici indotti dallo strumento televisivo e delle Play station; accade anche che l’autore adulto, lodevolmente disinteressato e genuino ma lontano dall’essere in risonanza con la costruzione alogica dell’infanzia, tende a far prevalere i più forti e i più ricchi, poiché è persuaso che solo così le narrazioni educative si articolano fedeli alla realtà di vita. Egli omologa tale fatalità o destino umano nelle proprie opere, credendo di preparare così i piccoli lettori ad affrontare la vita.

Personalmente, pur preferendo le storie dei favolistialogici, non me la sento di condannare del tutto tale convinzione fatalistica, visto l’incessante impegno che dobbiamo porre nei riguardi dei minori, nostri e degli altri, contro le disgrazie, le deviazioni, i vizi, gli egoismi, i ricatti e le tentazioni che subiscono.

La fantasia è il motore di tutte le attività umane, fermo restando il dovere di attenersi alle buone regole sociali di convivenza, e qui gli educatori sono insostituibili nella guida; pertanto, si può concludere che senza l’istruzione, insomma priva di un incessante e accurato studio educativo, la fantasia permane stagno nel cervello e non può quindi defluire a beneficio proprio e del prossimo.

Ecco che cosa aggiunge Collodi alla fine della sua traduzione di Cappuccetto Rosso, dopo che il lupo ha divorato la bimba “La storia di Cappuccetto Rosso fa vedere ai giovinetti e alle giovinette, segnatamente alle giovinette, che non bisogna mai fermarsi a discorrere per la strada con gente che non si conosce: perché dei lupi ce n’è dappertutto e di diverse specie, e i più pericolosi sono appunto quelli che hanno faccia di persone garbate e pieni di complimenti e di belle maniere.”. Collodi aveva già visto dal suo tempo che la città, con le sue strade, le sue case, si sarebbe pericolosamente boschificata per ogni futura Cappuccetto Rosso, piccola o grande che sia, più d’ogni vera foresta.

Ferruccio Gemmellaro

Meolo

Città metropolitana d Venezia

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