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Primo sì al demanio fra canoni e ‘valorizzazioni funzionali’

AUTORE:
Giuseppe de Filippo
PUBBLICATO IL:
21 Maggio 2010
Economia //

Consiglio dei Ministri (pupiatv)
Consiglio dei Ministri (pupiatv)
ENTRO 6 mesi dall’entrata in vigore del ddl, il governo emana dei decreti con un elenco dei beni disponibili, con la possibilità per i comuni, entro un mese, di poter fare una domanda di acquisizione all’Agenzia del Demanio indicando anche un piano relativo per la loro valorizzazione. I beni non richiesti ‘rientreranno come patrimonio vincolato all’Agenzia del Demanio’. Ogni 24 mesi lo Stato provvederà a redarre nuovi elenchi.

LE spese relative alla valorizzazione del bene o beni ricevuti dallo Stato non peseranno comunque sugli enti locali ai fini del Patto di Stabilità interno. Da parte loro, i comuni potranno anche decidere di vendere un bene ma solo con il lascia passare dell’Agenzia del Demanio e “previa valorizzazione attraverso le procedure per l’adozione delle varianti urbanistiche”.

IL CENSIMENTO DELLO STATO – Il ministero dell’Economia sta raccogliendo invece le comunicazioni inviate da tutte le Pa per segnalare gli immobili in affitto o di proprietà pubblica. Un’operazione conoscitiva utile per aggiornare il conto patrimoniale dello Stato elaborato nel 2004. La data chiave per le Pa rimane quella del 1^gennaio del 2011, un termine entro il quale gli enti locali dovranno comunicare all’Agenzia del Demanio le istruttorie in corso per reperire nuovi immobili in affitto. Dal 1 gennaio 2011 spetterà all’Agenzia il compito di dare l’ok per i nuovi contratti. Questo dovrebbe consentire la messa a regime della riforma delle cd locazioni passive.

IMMOBILI AI SINDACI, SE LI VORRANNO – Lo scenario più verosimile è quello che, dopo il varo del primo decreto legislativo delegato, gli enti locali che saranno pronti potranno ottenere gli immobili (per poi venderli, convertirli e metterli a reddito); gli altri, invece, aspetteranno di trovare progetti e risorse finanziarie. Sarebbero stati diversi gli amministratori locali che avrebbero contatto l’Agenzia del Demanio manifestando la loro non volontà di non ricevere i beni storici situati nel proprio territorio. Un bene come quello della reggia di Caserta potrebbe comportare infatti delle difficoltà di gestione ‘rilevanti’ per il singolo comune: resta da stabilire, dato per scontato la non assimilabilità di immobili di valore culturale, il significato che verrà dato allo stesso sostantivo.

L’INTUIZIONE DEI PRIVATI – IN tempi di crisi nel settore edile e del mercato immobiliare, la leva urbanistica potrebbe far salire il valore di edifici e terreni creando in questo modo i margini per operazioni redditizie. La leva urbanistica sarà dunque fondamentale per il rilancio delle dismissioni pubbliche. Con la condizione però di poter individuare la giusta correlazione fra indici edilizi e destinazione d’uso: sono in questo modo “si potrà fare leva sui valori immobiliari nel tentativo di ‘sollevare’ la valorizzazione del mattone di stato” (G.Trovati- Sole24Ore).

LA LEVA URBANISTICA (fonte: Sole24Ore) rappresenta a livello tecnico l’insieme degli strumenti della pianificazione territoriale accrescitivi del valore immobiliare. Rientrano in questo concetto: l’indice edilizio (la quantità di volume edificabile per metro quadrato di area), l’insieme degli usi insediabili, la perequazione e la compensazione urbanistiche (strumenti che incrementano e ridistribuiscono l’edificabilità dei suoli), l’incentivazione edilizia (premi volumetrici riservati all’efficienza nell’edilizia), i procedimenti edilizi (l’area edificabile in via diretta vale pià di quella soggetta a piano attuativo).

NON costituisce leva urbanistica: la concessione di aree a condizioni agevolate (agevolazioni patrimoniali diffuse nell’edilizia sociale e potenzialmente costituenti aiuto di stato, limitato dalle regole Ue) e l’esenzione o la riduzione del contributo di costruzione e la riduzione o l’esenzione dell’Ici (agevolazione di natura retributiva o fiscale).

LA modalità di attivazione della leva urbanistiva è costituita dalla variante urbanistica, vale a dire dal procedimento amministrativo che conduce a modificare la disciplina edificatoria di un’area di un edificio, variandone l’edificabilità o modificandone la destinazione d’uso. La variante consente ad esempio di fare di una caserma un albergo, di un albergo una serie di appartamenti, di un faro un residence turistico, etc, in questo modo incrementando il valore fondiario dei cespiti pubblici.

ESISTE pertanto una implicita correlazione fra il processo delle dismissioni del patrimonio immobilare pubblico e la leva urbanistica, vale a dire il procedimento amministrativo che conduce alla variante urbanistica. Quattro le procedure: tradizionale (legge 1150/1942 e legge 136/1999, per cui il Comune adotta, pubblica e risponde alle osservazioni, mentre la regione approva la variante urbanistica (tempo obiettivo: 2 anni); avanzata (prevista da alcune leggi regionali) in cui il Comune può adottare, pubblica, rispondere alle osservazioni e approvare, tendenzialmente, la variante urbanistica (tempo obiettivo: 1 anno); semplificata (prevista da alcune leggi regionali), per cui l’approvazione dei piani attuativi costituisce una variante di competenza comunale (tempo obiettivo: 8 mesi); accelerata (articolo 34 Dls 267/2000) che mediante la stipulazione di un accordo di programma tra le amministrazioni interessante consente la variazione della disciplina urbanistica (tempo obiettivo 6 mesi). Le procedure sono tutte lunghe e complesse e non possono essere funzionali all’obiettivo di fare “rapida cassa” che costituisce – con la valorizzazione – la finalità delle dismissione del patrimonio pubblico. Il legislatore ha così tentato (Sole24Ore) di accelerare il percorso delle varianti, disegnando meccanismi procedurali efficaci ma che si sono scontrati con le decisioni della Consulta, secondo la quale le procedure per attivare la leva urbanistica sono riservate alla legislazione regionale (sentenza 393/1992 che ha cancellato il procedimento di formazione dei piani integrati di intervento; la 340/2009 che ha ritenuto illegittimo il procedimento di approvazione delle varianti per la valorizzazione del patrimonio immobiliare degli enti locali, e la 121/2010 che ha cancellato il procedimento approvativo dei piani per il social housing).

LA VALORIZZAZIONE dei cespiti trasferiti agli enti locali dovrebbe avvenire secondo il procedimento dell’articolo 58 del Dl 112/2008 – in buona parte dichiarato illegittimo dalla Consulta – così come la valorizzazione dei beni della Difesa da conferire ai fondi immobiliari di prossima costituzione è rimessa ad un meccanismo di variante urbanistica che si sostanzia in un protocollo di intesa da sottoscrivere tra ministero ed enti locali che in quanto previsto da una legge dello Stato (articolo 2, coma 191, della Finanziaria 2010) ancora una volta viola la compentenza legislativa della Regione in materia di governo del territorio. Si va dunque verso un privilegio, nell’ottica dell’attivazione della leva urbanistica, della procedure di riconosciuta illegittimità, perché già previste dalle diverse legislazioni regionali, oppure quella dell’accordo di programma codificato dal testo unico degli enti locali.

Secondo le stime di Scenari immobiliari, lo stock immobiliare pubblico dovrebbe aggirarsi attorno ad una cifra pari ad un miliardo di metri quadrati, pari a circa il 20% del totale nazionale. Un’altra indagine ha rilevato come sia pari a 205 miliardi di euro il valore dei grandi patrimoni immobiliari pubblici, cespiti che non rietrano nel federalismo demaniale, ma che potrebbe comunque essere soggetti alla valorizzazione dei comuni.

IL RUOLO DEI TECNICI COMUNALI – Difficoltà in vista, dunque, per i tecnici comunali di fronteggiare le iniziative dei privati. Le valutazioni delle destinazioni d’uso e le procedure per modificarle giocheranno pertanto un ruolo fondamentale nelle scelte delle Pa.

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“Possiamo scoprire il significato della vita in tre diversi modi: 1. col compiere un proposito; 2. con lo sperimentare un valore; 3. con il soffrire.” VIKTOR EMIL FRANKL

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