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Il caso di pedofilia che divide il Papa e il Cile

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
22 Gennaio 2018
Editoriali // Regione-Territorio //

Papa Francesco ha appena concluso un viaggio pastorale in Cile molto travagliato. Una visita segnata da polemiche, proteste e, per la prima volta dall’inizio del suo pontificato, fischi in piazza. Non da una ristretta minoranza, ma da una grossa fetta della popolazione laica e non cilena: dimostrazione palese del grosso malcontento che la cattolicissima comunità nutre nei confronti della Chiesa a causa delle tristi vicende di pedofilia.

Una battaglia giudiziaria e mediatica che ha avuto inizio nel 2015 e che ha visto coinvolte ben tre vescovi e preti cileni. Proprio in occasione del suo discorso in Cile, Papa Francesco ha ribadito la sua posizione nei confronti di questa piaga: «Non posso fare a meno di esprimere il dolore e la vergogna che sento davanti al danno irreparabile causato a bambini da parte di ministri della Chiesa. Desidero unirmi ai miei fratelli nell’episcopato, perché è giusto chiedere perdono e appoggiare con tutte le forze le vittime, mentre dobbiamo impegnarci perché ciò non si ripeta».

Il divario tra parole e realtà dei fatti, tuttavia, si è ulteriormente strappato negli ultimi giorni in Cile.

Sono tre le eminenze che Papa Francesco ha promosso nel consigli dei cardinali scatenando le proteste dei cattolici: il vescovo Juan Barros Madrid, nominato nel 2015 alla diocesi di Osorno e di cui da ben tre anni i fedeli richiedono la rimozione, l’arcivescovo di Santiago Del Cile Ricardo Ezzati e Francisco Javier Errazuriz. Il trio è coinvolto nel più grande scandalo della storia del clero in Cile e tutti, associazioni, fedeli, giornalisti e magistrati, sono uniti da sempre contro questa oscura macchia che sporca il nome della chiesa cilena. I tre sono accusati di aver insabbiato e nascosto i crimini di Fernando Karadima, colpevole di abusi su minori.

Karadima, un carismatico prete di Santiago ritenuto, ai tempi, una sorta di santone, fu accusato da quattro uomini di essere un violentatore seriale e un criminale. Un processo durato anni, le cui indagini furono sospese per volontà delle gerarchie ecclesiastiche. In seguito, il tribunale penale cileno ha raccolto le testimonianze dei sopravvissuti giudicandole credibili ma, tuttavia, è stato costretto all’archiviazione del caso poiché i termini di prescrizioni ormai superati. Nel 2011 al sacerdote è stato vietato di esercitare il ministero (ma nel 2014 è stato fotografato mentre celebrava messa nel convento dove è attualmente ospitato). Nei documenti dell’inchiesta, si parla anche del presunto tentativo da parte dell’allora vescovo Barros di insabbiare quanto più possibile le accuse per evitare la denuncia alle autorità. Inoltre, sempre in suddetto fascicolo, esiste una lettera di un gesuita Juan Diaz, ex vicario all’educazione di Errazuriz, in cui egli racconta al giudice di aver consegnato nelle mani del vescovo la testimonianza di uno dei ragazzi abusati. Diaz ha poi regolarmente testimoniato davanti alla corte. Ma queste prove sono sarebbero sufficienti per il Pontefice.

Papa Francesco, incalzato dai giornalisti cileni sul caso (come dimostra un video diffuso dall’agenzia France Press), ha risposto così: «Il giorno che avremo una prova contro il vescovo Barros, parlerò. Non c’è una sola prova d’accusa. Le altre sono tutte calunnie, chiaro?».  

Parole che hanno suscitato non poco clamore. Sean O’Malley, presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori e membro del C9, non ha nascosto il suo rammarico per un’uscita di cui pochissimi media televisivi ne hanno riportato notizia in Italia. Così recita una sua nota pubblicata sul sito dell’arcidiocesi di Boston: «Non essendo stato personalmente coinvolto nelle situazioni che sono state oggetto dell’intervista del Papa, non posso spiegare perchè il Santo Padre abbia scelto le parole che ha usato nella sua risposta. […] È comprensibile che le dichiarazioni di Papa Francesco siano state fonte di grande dolore per i sopravvissuti agli abusi sessuali da parte del clero.» Sempre secondo O’Malley, sono parole facilmente travisabili «che trasmettono il messaggio che se non puoi provare le tue affermazioni, allora non sarai creduto» e che suonano come un abbandono di «coloro che hanno subito violazioni riprovevoli della loro dignità umana, relegando i sopravvissuti ad un esilio screditato». 

Durante la visita, alcune delle vittime hanno sfilato per le vie cilene in segno di protesta. Anche uno di loro, Juan Carlos Cruz, ha commentato la dichiarazione del Papa: «Papa Francesco ha perso una grande opportunità per ascoltare la comunità di Osorno e coloro che sostengono che il vescovo Barros avesse nascosto gli abusi di Karadima,esibendo le prove che abbiamo mostrato per anni.»

E mentre la sofferenza di queste persone non potrà mai essere cancellata, uno dei fedelissimi di Papa Francesco Alberto Suarez India, arcivescovo emerito di Morelia, esprime la sua opinione in un’intervista pubblicata nel libro appena uscito “Tutti gli uomini di Francesco” di Fabio Marchese Ragona: “la pedofilia nella Chiesa? Non dovrebbe esser resa pubblica. Gli abusi sui minori sono questioni delicate.”

Ma è davvero giusto tenere nascosta questa triste realtà alla comunità cattolica?

A cura di Carmen Palma

Fonte
https://www.youtube.com/watch?v=8MJ-arsR7kE )

fonte
http://m.espresso.repubblica.it/inchieste/2018/01/16/news/pedofilia-come-papa-francesco-ha-promosso-chi-ha-insabbiato-lo-scandalo-1.317225

A cura di Carmen Palma
Redazione StatoQuotidiano.it

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