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Il Caporalato, ieri, oggi (e domani)

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
22 Maggio 2010
Editoriali //

Convegno 'IlCaporalato, ieri e oggi'
Convegno 'IlCaporalato, ieri e oggi' (image N.Saracino)
Foggia- IL caporalato riemerse in Capitanata intorno agli anni ’70, con l’approdo sempre più massiccio di immigrati, di varia nazionalità, sulle strade della provincia, immigrati che si sono trovati a lavorare spesso per gente senza scrupoli. “Individuare il fenomeno del caporalato nelle nostre terre è diventato sempre più difficile, se si considera che i lavoratori soggiacciono sempre di più alle angherie dei caporali, ed è un fenomeno che interessa soprattutto gli immigrati”,

IL CAPORALATO IERI E OGGI: se n’è parlato ieri, nel corso di un convegno organizzato a Foggia presso la Corte d’Assise di Palazzo di Giustizia da Magistratura Democratica, in collaborazione con l’Ordine degli Avvocati del capoluogo dauno. L’incontro ha rappresentato un’occasione utile per fare il punto e analizzare un fenomeno tutt’altro che scomparso. “Individuare il fenomeno del caporalato nelle nostre terre è diventato sempre più difficile, se si considera che i lavoratori soggiacciono sempre di più alle angherie dei caporali, ed è un fenomeno che interessa soprattutto gli immigrati”, afferma l’Avvocato Marino, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Foggia.

Senza dubbio il caporalato colpisce i soggetti più ricattabili, come gli immigrati clandestini. Il fenomeno ha messo in luce un tipologia di lavoro schiavistico, come segnala l’art. 600 del Codice Penale, il quale distingue la schiavitù – ovvero la condizione in cui il datore di lavoro esercita una forma di proprietà sul lavoratore, facendo spesso ricorso alla violenza, dalla servitù – una forma di subordinazione nella quale il soggetto lavoratore si trova in una condizione di inferiorità rispetto al datore di lavoro, che viene esercitata con mezzi fisici e psichici, e implicano l’accettazione della situazione da parte del lavoratore, spesso costretto da precarie condizioni economiche.

LE NORMATIVE – La legislazione individua tra le condizioni dello sfruttamento la riduzione sistematica dello stipendio, la grave compromissione delle condizioni di sicurezza, la mancanza di disciplina del datore di lavoro sui luoghi di lavoro nei confronti del lavoratore. Spesso, però, i migranti – coloro quindi che sono più soggetti a queste forme di violenza – si trovano sotto ricatto, e ciò rende difficile individuare e scoprire il fenomeno, poiché è lo stesso lavoratore che ha interesse e preferisce mantenere la situazione in cui si trova, a causa delle sue condizioni di debolezza. Con l’introduzione del reato di immigrazione clandestina le cose si sono complicate, perché la denuncia del lavoratore immigrato senza regolare permesso di soggiorno non lo invoglia a denunciare il caporale presso cui lavora, ma accentua il silenzio sul fenomeno.

LE CAUSE – Quali possono essere la cause sociologiche del caporalato? Innanzitutto la “svalutazione delle colture agricole” rispetto al passato. Si pensi ad esempio al prezzo dei cereali, che è diminuito di 2,5 volte rispetto agli anni ’70, quando si registrò un boom delle domande. Oggi queste colture non consentono di ottenere un reddito accettabile, e ciò porta il lavoro dei braccianti a seguire vie alternative di guadagno, come è accaduto tempo fa a Rosarno. A ciò va aggiunta una condizione di frustrazione che interessa il territorio della Capitanata e del Mezzogiorno in particolare, circondati sempre più da forme di rancore per la grave crisi economica che li attraversa. Si può individuare una sorta di conflitto tra città e campagna, nel senso che la città, con i suoi problemi, le sue difficoltà, riversa nella campagna tutte le sue negatività, al contrario di quanto avveniva in passato quando la campagna rappresentava una risorsa per l’insediamento urbano. Infine lo scenario economico attuale, investito da una grave recessione, che certo non aiuta a evitare forme di lavoro sommerso. La difficoltà è anche nei numeri: 13 euro a quintale per il prezzo del grano, 5 euro per quello dei pomodori. Dati che inevitabilmente incoraggiano forme di sfruttamento, che spesso sfociano in un degrado del vivere civile.

LE POSSIBILI SOLUZIONI – Quali possono essere le misure per far fronte al caporalato? I tentativi di porre un freno al fenomeno non sono andati sinora a buon fine. L’ art. 18 del TU sull’immigrazion art. 18 del Testo unico sull’immigrazione e, che prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per gli immigrati che si trovano in una condizione di “sfruttati”, non è stata quasi mai applicata. Ciò per svariati motivi: i questori spesso ritengono questi strumenti discrezionali e non obbligatori; inoltre ci sono alcuni requisiti della norma che sono stati interpretati come restrittivi: ad esempio l’incolumità del lavoratore sfruttato viene accettata solo se gravemente compromessa, quindi come una reale situazione di pericolo di morte. Difficoltà che rendono quindi difficile la concreta applicazione della norma. Per porre un freno al fenomeno si potrebbe innanzitutto rilasciare il permesso di soggiorno al clandestini che vengono scoperti in una situazione di sfruttamento, ciò potrebbe indurre gli stessi immigrati a denunciare i loro caporali e venire allo scoperto. Inoltre sarebbe opportuno inasprire le sanzioni per i caporali, in modo da colpire duramente i colpevoli.

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