In loco, il termine dialettale “i lavannére” (lavandaie) un tempo era attribuito alle donne intende a lavare i panni. Fino agli anni ’50, in loco, molte prestanti sipontine, esercitavano il lavoro di lavandaia, anche a domicilio, in casa di famiglie benestanti “a chese de segnure” o presso famiglie numerose.
In quest’ultime, in particolare, venivano invitate per questo lavoro, quando partoriva una puerpera, già madre di numerosi figli, fisicamente indebolita dopo il parto, aveva quindi bisogno di aiuto. A Manfredonia, fino agli anni ’40 del secolo scorso, era consuetudine di molte donne andare a lavare (lenzuola, federe, cuscini e lana) alle sorgenti di acqua salmastra che scorrevano a mare lungo la costa. Tra queste donne giunoniche, dalle braccia e polsi possenti che si recavano alle sorgenti a mare, a lavare i loro panni, alcune, svolgevano il lavoro di “lavannére” anche per altre famiglie, dietro piccoli compensi.
Tra le sorgenti di acque sorgive, dove la maggior parte popolane, andavano a lavare “ssciacqué i panne” i panni a mare, voglio ricordare: “a surginde abbascie mere au purte” (la sorgente giù a mare nei pressi del braccio del molo di Levante).
Altra fonte, dove le nostre donne, si recavano a sciacquare i panni (lenzuola, cuscini, federe, lana) era alla “surginde Sambitre o acque Sambitre o fundène Sambitre” (sorgente di San Pietro), che scorreva un tempo con grossa portata di acqua sorgiva, lungo la scogliera di viale Miramare (sito di mare dove negli anni ’50, venne costruita la scuola Marittima). Le popolane, dopo aver effettuato il lavaggio dei panni “i turcevene” li strizzavano ben bene “a mò de turcenille” e li stendevano ad asciugare al sole sugli scogli.
Altro sito, dove molte donne andavano a lavare i panni ma in particolare la lana, durante il cambio di stagione, era presso la sorgente, che scorreva a mare sotto l’edificio scolastico “Bozzelli”. La lana contenuta nei cuscini e materassi dopo essere stata lavata, veniva messa ad asciugare al sole, appendendola a una corda sostenuta da una “furcèlle” (paletto di legno con alla punta brevi ramificazioni), in un angolo, sotto quella scuola. Un altro antico sito di mare, lungo la costa, dove scorreva un’altra grande sorgente di acqua salmastra denominata in loco “acqua saveze”, dove “i lavannére” fino agli inizi ’30 del secolo scorso, andavano a lavare i panni a mare, era in zona “Chele u Spendone” (Cala dello Spuntone). Va ricordato, che prima (ma anche dopo) dell’arrivo nel 1929, dell’acqua potabile nella nostra Città tramite l’Acquedotto Pugliese, le nostre donne, lavavano i panni utilizzando anche l’acqua piovana raccolta in piscine scavate e posizionate, a fianco delle abitazioni. Va detto altresì, altresì, che fino agli anni ’60-’70, era usanza di molte sipontine, lavare i panni con acqua e con grossi pezzi di sapone “pe nzapuné i robbe” , utilizzando “u struchelature” (asse di legno dentata) posto in grandi tinozze di legno o di “zenghe” zinco. Per la storia, va evidenziato, che negli anni ’30, a Manfredonia, furono impiantati due lavatoi pubblici. Uno in Largo dei Baroni Cessa e l’altro in Piazza Salvo D’Acquisto, sul retro dell’arena Giardino Pesante. Le nostre massaie, si recavano di buon mattino presso i due lavatoi pubblici, e sciacquavano i loro panni sporchi avendo a disposizione l’acqua corrente dell’Acquedotto Pugliese.
I panni lavati presso “i lavandine” i lavatoi pubblici e quelli lavati in casa in grosse tinozze di legno o di zinco (il bucato di un tempo), li mettevano ad asciugare al sole, fuori l’uscio di casa su una corda, con l’utilizzo di una “furcèlle”(grosso paletto di legno con piccole ramificazioni). Tuttora in loco, sono rimaste in poche, le casalinghe che abitano nei pianoterra, che lavano e stendono i panni ad asciugare al sole, utilizzando una corda e “a furcèlle” posizionati a muro.
Va detto infine, che per secoli tutte le acque sorgive “l’acqua saveze” che a Manfredonia scorrevano (e che tuttora scorrono) nel sottosuolo emergendo lungo la costa, fino agli inizi degli anni ’70, quando non c’era inquinamento delle falde acquifere, venivano bevute dai sipontini perché ritenute terapeutiche. A tal riguardo, va ricordata in loco, la storica sorgente denominata “Acqua di Cristo”, nota non solo per le sua funzione purgativa, ma anche perché, bagnandosi nelle sue acque si traevano benefici per alcune patologie. Ve ricordato, che un tempo, In questo sito di mare, durante il periodo estivo, era consuetudine dei manfredoniani recarsi alla “surginde Acque de Criste”, per bere non solo l’acqua sorgiva ma nel contempo mangiare anche “nu belle taccone o felle de pene e pemedore” un bel pezzo o una fetta di pane e pomodoro, bagnato nella stessa acqua e poi condito con olio e origano. Per quanto concerne, le acque sorgive lungo la costa, ho fotografato nel tempo, dagli inizi degli anni ’70, tutte le sorgenti di acqua salmastra, ad iniziare dalla zona di mare, dopo il Convento dei Monaci fino alla foce del Candelaro, con descrizione dettagliata dei relativi siti di mare in lingua e in vernacolo. Un lavoro di ricerca capillare e interessante. Va evidenziato, che tuttora a Manfredonia, sotto numerose case e palazzi, scorrono acque sorgive. Va detto, altresì, che nel tempo, molte sorgenti, che defluivano a mare, sono state coperte, nel corso di lavori e costruzioni effettuati lungo tutta la costa. Voglio, infine, ancora ricordare, che fino ai primi anni ’60, del secolo scorso, in una cava, in direzione nord, della popolare sorgente “Acqua di Cristo”, c’era una grotta, dove noi ragazzini, coraggiosamente e incoscientemente, entravamo strisciando attraverso un stretta fessura. Il primo ad entrare nella grotta, era sempre un certo “Ceccellozze”, il più grande del gruppo, un ragazzo molto coraggioso, dai capelli rossi “nu zerosse malupine, pa canigghie mbacce”. Questi prima di entrare nella grotta, portava sempre un bastone, con legato alla punta un pezzo di iuta unto di cera sciolta (una sorta di torcia molto consistente), che accendeva appena accedeva nella grotta. Ricordo, che subito dopo entrati nella grotta, attraverso quel passaggio strettissimo, scendevamo, verso un piccolo laghetto di acqua sorgiva freschissima e gustosissima. Suppongo, anche se sono trascorsi tantissimi anni, che molto probabilmente, quel sito, era la fonte madre sottocosta della sorgente “Acqua di Cristo”, prima di scorrere a mare, poiché si trovava nella stessa direzione della popolare sorgente di Manfredonia, decantata per secoli per le sue virtù salutari, da storici ed altre personalità.
di Franco Rinaldi
In loco, il termine dialettale “i lavannére” (lavandaie) un tempo era attribuito alle donne intende a lavare i panni. Fino agli anni ’50, in loco, molte prestanti sipontine, esercitavano il lavoro di lavandaia, anche a domicilio, in casa di famiglie benestanti “a chese de segnure”o presso famiglie numerose. In quest’ultime, in particolare, venivano invitate per questo lavoro, quando partoriva una puerpera, già madre di numerosi figli, fisicamente indebolita dopo il parto, aveva quindi bisogno di aiuto. A Manfredonia, fino agli anni ’40 del secolo scorso, era consuetudine di molte donne andare a lavare (lenzuola, federe, cuscini e lana) alle sorgenti di acqua salmastra che scorrevano a mare lungo la costa. Tra queste donne giunoniche, dalle braccia e polsi possenti che si recavano alle sorgenti a mare, a lavare i loro panni, alcune, svolgevano il lavoro di “lavannére” anche per altre famiglie, dietro piccoli compensi.
Tra le sorgenti di acque sorgive, dove la maggior parte popolane, andavano a lavare “ssciacqué i panne” i panni a mare, voglio ricordare: “a surginde abbascie mere au purte” (la sorgente giù a mare nei pressi del braccio del molo di Levante).
Altra fonte, dove le nostre donne, si recavano a sciacquare i panni (lenzuola, cuscini, federe, lana) era alla “surginde Sambitre o acque Sambitre o fundène Sambitre” (sorgente di San Pietro), che scorreva un tempo con grossa portata di acqua sorgiva, lungo la scogliera di viale Miramare (sito di mare dove negli anni ’50, venne costruita la scuola Marittima). Le popolane, dopo aver effettuato il lavaggio dei panni “i turcevene” li strizzavano ben bene “a mò de turcenille” e li stendevano ad asciugare al sole sugli scogli.
Altro sito, dove molte donne andavano a lavare i panni ma in particolare la lana, durante il cambio di stagione, era presso la sorgente, che scorreva a mare sotto l’edificio scolastico “Bozzelli”. La lana contenuta nei cuscini e materassi dopo essere stata lavata, veniva messa ad asciugare al sole, appendendola a una corda sostenuta da una “furcèlle” (paletto di legno con alla punta brevi ramificazioni), in un angolo, sotto quella scuola. Un altro antico sito di mare, lungo la costa, dove scorreva un’altra grande sorgente di acqua salmastra denominata in loco “acqua saveze”, dove “i lavannére” fino agli inizi ’30 del secolo scorso, andavano a lavare i panni a mare, era in zona “Chele u Spendone” (Cala dello Spuntone). Va ricordato, che prima (ma anche dopo) dell’arrivo nel 1929, dell’acqua potabile nella nostra Città tramite l’Acquedotto Pugliese, le nostre donne, lavavano i panni utilizzando anche l’acqua piovana raccolta in piscine scavate e posizionate, a fianco delle abitazioni. Va detto altresì, altresì, che fino agli anni ’60-’70, era usanza di molte sipontine, lavare i panni con acqua e con grossi pezzi di sapone “pe nzapuné i robbe” , utilizzando “u struchelature” (asse di legno dentata) posto in grandi tinozze di legno o di “zenghe” zinco. Per la storia, va evidenziato, che negli anni ’30, a Manfredonia, furono impiantati due lavatoi pubblici. Uno in Largo dei Baroni Cessa e l’altro in Piazza Salvo D’Acquisto, sul retro dell’arena Giardino Pesante. Le nostre massaie, si recavano di buon mattino presso i due lavatoi pubblici, e sciacquavano i loro panni sporchi avendo a disposizione l’acqua corrente dell’Acquedotto Pugliese. I panni lavati presso “i lavandine” i lavatoi pubblici e quelli lavati in casa in grosse tinozze di legno o di zinco (il bucato di un tempo), li mettevano ad asciugare al sole, fuori l’uscio di casa su una corda, con l’utilizzo di una “furcèlle”(grosso paletto di legno con piccole ramificazioni). Tuttora in loco, sono rimaste in poche, le casalinghe che abitano nei pianoterra, che lavano e stendono i panni ad asciugare al sole, utilizzando una corda e “a furcèlle” posizionati a muro.
Va detto infine, che per secoli tutte le acque sorgive “l’acqua saveze” che a Manfredonia scorrevano (e che tuttora scorrono) nel sottosuolo emergendo lungo la costa, fino agli inizi degli anni ’70, quando non c’era inquinamento delle falde acquifere, venivano bevute dai sipontini perché ritenute terapeutiche.
A tal riguardo, va ricordata in loco, la storica sorgente denominata “Acqua di Cristo”, nota non solo per le sua funzione purgativa, ma anche perché, bagnandosi nelle sue acque si traevano benefici per alcune patologie. Ve ricordato, che un tempo, In questo sito di mare, durante il periodo estivo, era consuetudine dei manfredoniani recarsi alla “surginde Acque de Criste”, per bere non solo l’acqua sorgiva ma nel contempo mangiare anche “nu belle taccone o felle de pene e pemedore” un bel pezzo o una fetta di pane e pomodoro, bagnato nella stessa acqua e poi condito con olio e origano.
Per quanto concerne, le acque sorgive lungo la costa, ho fotografato nel tempo, dagli inizi degli anni ’70, tutte le sorgenti di acqua salmastra, ad iniziare dalla zona di mare, dopo il Convento dei Monaci fino alla foce del Candelaro, con descrizione dettagliata dei relativi siti di mare in lingua e in vernacolo. Un lavoro di ricerca capillare e interessante. Va evidenziato, che tuttora a Manfredonia, sotto numerose case e palazzi, scorrono acque sorgive. Va detto, altresì, che nel tempo, molte sorgenti, che defluivano a mare, sono state coperte, nel corso di lavori e costruzioni effettuati lungo tutta la costa.
Voglio, infine, ancora ricordare, che fino ai primi anni ’60, del secolo scorso, in una cava, in direzione nord, della popolare sorgente “Acqua di Cristo”, c’era una grotta, dove noi ragazzini, coraggiosamente e incoscientemente, entravamo strisciando attraverso un stretta fessura. Il primo ad entrare nella grotta, era sempre un certo “Ceccellozze”, il più grande del gruppo, un ragazzo molto coraggioso, dai capelli rossi “nu zerosse malupine, pa canigghie mbacce”. Questi prima di entrare nella grotta, portava sempre un bastone, con legato alla punta un pezzo di iuta unto di cera sciolta (una sorta di torcia molto consistente), che accendeva appena accedeva nella grotta. Ricordo, che subito dopo entrati nella grotta, attraverso quel passaggio strettissimo, scendevamo, verso un piccolo laghetto di acqua sorgiva freschissima e gustosissima. Suppongo, anche se sono trascorsi tantissimi anni, che molto probabilmente, quel sito, era la fonte madre sottocosta della sorgente “Acqua di Cristo”, prima di scorrere a mare, poiché si trovava nella stessa direzione della popolare sorgente di Manfredonia, decantata per secoli per le sue virtù salutari, da storici ed altre personalità.
FOTOGALLERY