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‘Veleni di Stato’: armi di distruzione di massa nelle acque della Puglia

AUTORE:
Giuseppe de Filippo
PUBBLICATO IL:
26 Novembre 2009
Manfredonia //

( ) a lungo nel terreno e nell’acqua, “fedeli alla loro missione assassina”. Secondo il giornalista de L’Espresso le migliaia di bombe che “giacciono nel mare di Ischia, di Manfredonia, di Foggia e di Molfetta possono infatti ancora uccidere”. Un pericolo, che secondo il giornalista italiano, continuerebbe ad essere “nascosto e difeso” con ogni strumento possibile, anti comunicazione mediatica. Quali pertanto le criticità alla base della scoperta resa nota nel suo testo dal giornalista Di Feo: “nel colossale cimitero sottomarino delle acque italiane –scrive il giornalista – le bombe si corrodono rilasciando iprite e arsenico. L’unico studio condotto nel 1999 dagli esperti dell’Icram – scrive ancora Di Feo – ha trovato tracce delle due sostanze negli organi dei pesci di quella zona e nei fanghi del fondale”. Il responsabile dei ricercatori di questo studio, il professore Ezio Amato, ha denunciato a riguardo una situazione agghiacciante: i pesci del basso Adriatico sarebbero infatti “soggetti all’insorgenza di tumori”, dato che subirebbero “danni all’apparato riproduttivo, essendp esposti a mutazioni che portano a generare esemplari mostruosi”. ”Ma i mostri tossici non dormono soltanto in fondo al mare”, scrive ancora nel suo testo Di Feo. Molti cittadini  sarebbero stati, e sono ancora, “ignari” di avere residenza “in quartieri che sorgono intorno, o addirittura sopra, a vecchi stabilimenti di armi chimiche, in molti sono stati all’oscuro della reale produzione di queste fabbriche”[2]. Miscele “cancerogene”, che hanno minato l’ecosistema, “inquinando aria, terra, acqua”. Partendo dalle ultime informazioni raccolte da alcune opere di bonifica nell’’impianto modello” di Civitavecchia, dove si imprigionerebbero le sostanze tossiche in cilindri di cemento, Di Feo nel suo testo pone anche il problema dei “siti di raccolta” ma soprattutto della “possibilita’ che i veleni giacenti in mare possano finire in mani pericolose”. Secondo il giornalista italiano gli ordigni seminati dai militari statunitensi sarebbero “a pochi metri di profondità dalle acque” erigendosi in questo modo ad una fonte indiretta di armi (Di Feo scrive “incredibile self service” di munizioni)  per qualunque terrorista, che potrebbe infatti “mettere le mani sulle armi più potenti in circolazione” così provocando di conseguenza una vera e propria apocalisse. (elaborazione su fonte Espresso)


[2] L’Acna di Rho ha convogliato i suoi scarichi nella falda idrica che scorre verso il centro di Milano, quella di Cesano Maderno ha contaminato la Brianza e sempre in Lombardia a Melegnano dai suoli della Saronio continuano a sbucare nuvole nocive. I dossier dell’intelligence britannica parlano di 60-65 mila tonnellate di armi chimiche prodotte a Rho, 50-60 mila tonnellate a Cesano Maderno, altre decine di migliaia a Melegnano. Il tutto secondo le priorità di guerra, scaricando fanghi e scarti nei fiumi e nei campi. I militari italiani per tutto il dopoguerra hanno protetto due stabilimenti di gas top secret: uno a Cerro al Lambro, davanti al casello milanese dove nasce l’Autostrada del Sole, l’altro aCesano di Roma, nel territorio della capitale. Sono stati smantellati soltanto nel 1979, senza notizie di un risanamento sistematico. Non si sa nemmeno se ci sia stata una bonifica dei laboratori sperimentali di via del Castro Laurenziano, nel cuore di Roma, accanto alle aule della Sapienza e ai condomini, dove si testavano i nuovi gas. Quando, dopo la caduta del muro di Berlino, i generali hanno deciso di abbattere le loro riserve chimiche, le sorprese non sono mancate. Tutti i governi italiani avevano negato la presenza di gas bellici sul territorio nazionale; Giulio Andreotti nel 1985 lo aveva addirittura ribadito davanti al Parlamento. E invece esistevano almeno tre bunker, ripuliti poi nel massimo segreto. Il più importante era sul lago di Vico. Un’installazione colma di misteri e pericoli: durante i lavori nel 1996 una nube di fosgene è scappata via e ha raggiunto la strada, aggredendo un ciclista. Quell’uomo è l’ultima vittima europea delle armi chimiche. Solo nel 1997 si è scoperto che l’Esercito aveva messo da parte almeno 150 tonnellate di iprite del modello più micidiale, mescolata con arsenico. In più c’erano oltre mille tonnellate di adamsite, un gas potentissimo ma non letale usato contro le dimostrazioni di piazza. E 40 mila proiettili chimici. Per neutralizzarli è stato creato unun impianto modello a Civitavecchia che imprigiona le scorie velenose in cilindri di cemento.

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