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Il Sud è alla frutta. Ma si parla solo della “questione settentrionale”

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
27 Ottobre 2017
Editoriali // Foggia //

Il divario tra il Nord e il Sud aumenta, segnale inquietante di un’Italia che ancora non è effettivamente “una”. Della questione meridionale non parla ormai più nessuno. In compenso, esplode la questione settentrionale: due regioni, il Veneto e la Lombardia, chiedono maggiore autonomia, dopo aver convocato referendum consultivi che si sono conclusi con la schiacciante vittoria dei sì, una terza, l’Emilia Romagna, avvia una trattativa col Governo nella stessa direzione. Che ne sarà del Mezzogiorno?

A questo interrogativo ha cercato di rispondere l’incontro dibattito promosso dal Movimento Democratico e Progressista della provincia di Foggia, e una volta tanto non si è trattato della solita passerella politica, condita da slogan che lasciano il tempo che trovano, ma di una riflessione seria, profonda.

A fare la storia della questione meridionale ci ha pensato il direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno, Giuseppe De Tomaso, che è partito da lontano: “L’unità d’Italia è stata portata a compimento grazie al drenaggio fiscale da parte del Nord, che si è pagato le Guerre d’indipendenza con il prelievo forzato dalle casse del Mezzogiorno, poi i dazi doganali che hanno impoverito il Sud, infine l’intervento straordinario che ha sempre sostituito e mai veramente integrato quello ordinario, così come avrebbe dovuto essere. L’esito dei referendum deve preoccuparci perché mette in discussione la stessa Unità del Paese, dopo che certe politiche regionali, ma anche nazionali, hanno minato quella economica.”
De Tomaso ha spezzato una lancia in favore della Cassa per il Mezzogiorno: “Il divario si stava riducendo, fintanto che l’intervento straordinario veniva governato dall’agenzia nazionale, con il sopraggiungere delle Regioni ha ripreso a crescere.”
Tesi importante e sacrosanta, che andrebbe approfondita, ma sembra che nessuno se ne accorga. Intanto in Puglia le cose vanno perfino peggio, come ha tenuto a rimarcare il segretario regionale della Cgil, Pino Gesmundo: 53% di disoccupati, la metà dei pensionati costretta a vivere con 500 euro al mese, le povertà che crescono. “E l’attualità di oggi rilancia la questione settentrionale… I referendum del Veneto e della Lombardia dimostrano che si è perduta di vista una verità elementare: il Paese non si salva, se non tutti assieme. Bisogna cambiare registro, e in fretta. L’Europa è nelle mani di una tecnocrazia più attenta agli interessi delle lobby, che non a quelli della gente. C’è una classe politica che non riesce a diventare classe dirigente, che si limita ad interpretare la pancia della gente, e determina la propria visione e le proprie strategie, in termini di pancia e non di prospettiva. È per questo che, alla fine, le politiche dei diversi schieramenti si assomigliano. È invece necessario tornare ad avere una idea forte e consapevole di Paese.”

Insomma, è una questione politica, come si diceva una volta? Si, lo è. Ed è proprio dalla politica che bisogna ripartire. Lo ha detto a gran voce, nella Sala del Tribunale della Dogana gremita di gente, il politico per eccellenza: Massimo D’Alema. “Il Mezzogiorno soffre dell’assenza di politiche pubbliche. C’è bisogno di una politica nazionale del Mezzogiorno, che oggi non esiste.”
L’ex premier ha invitato il folto pubblico che affollava la Sala del Tribunale di Palazzo Dogana a non farsi illusioni per il prossimo futuro: “la stentata ripresa economica del Paese si concentra nel Centro Nord, che è ormai divenuto un’appendice dell’industria tedesca. E la ricchezza aggiuntiva prodotta dalla cosiddetta ripresa, va a vantaggio del profitto e della rendita.”
D’Alema ha snocciolato dati precisi anche rispetto alla presunta crescita occupazionale tanto propagandata dal governo. I dati della Banca d’Italia dicono che abbiamo 850.000 occupati in più, ma un miliardo e 100 milioni di ore lavorate in meno. L’apparente contraddizione si spiega col fatto che il precariato è cresciuto dal’11 al 20%.

“La ripresa – ha incalzato D’Alema – si fonda su bassi salari, sul lavoro precario, sul super sfruttamento del lavoro. Per crescere, il Sud avrebbe invece bisogno di un forte rilancio degli investimenti pubblici, ma per questo è necessaria una radicale svolta nel Paese, che riporti serietà nella politica, ridotta oggi a chiacchiericcio sguaiato, ad un susseguirsi di trovate e colpi di teatro finalizzati ad ottenere vantaggi immediati e a calcoli personali, privi di una prospettiva di largo respiro.”

D’Alema ha puntato il dito senza mezzi termini contro le grandi agenzie della spesa pubblica “che tagliano fuori il Mezzogiorno. L’alta velocità si ferma a Napoli e comunque gli investimenti calano, quest’anno si sono ridotti del 4%. Quando Renzi ha deciso che il volano della ripresa dovevano essere gli sgravi fiscali o la distribuzione di incentivi a pioggia, piuttosto che gli investimenti, ha fatto scelte precise, che sono andate a vantaggio delle imprese del Nord ed hanno danneggiato il Mezzogiorno.”

Il relatore ha concluso mettendo in guardia dalla deriva qualunquista: “Se vuole affrontare in modo efficace i suoi problemi, il Sud non può prescindere dalla politica, e da una politica di redistribuzione. Altro che ridurre le tasse per tutti, come va predicando Renzi. Bisogna tenere a mente quello che diceva don Milani: fare parte eguali tra diseguali è una grande ingiustizia. Il Sud ha bisogno prima di tutto di giustizia.”

fonte letteremeridiane.it
A cura di Geppe Inserra

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