SEGUO con interesse e sgomento il programma televisivo di Michele Santoro “Animali come Noi” audacemente condotto dalla giovane giornalista di rai 3 Giulia Innocenzi ed ormai giunto alla quarta puntata settimanale. Allevamenti intensivi, mattatoi lager, maltrattamenti, abuso di farmaci, allevatori senza scrupoli, controlli furbescamente elusi e qualche rara eccezione virtuosa.
Assodato che la filiera zootecnica intensiva resta un’attività dalle mille criticità ed inconfutabilmente fallimentare sul piano del rispetto degli animali, insostenibile appare pure l’impatto ambientale, tra consumo idrico e cerealitico – foraggiero. Così come eccessivo risulta ancora il consumo di carni rosse procapite. Senza metterla sul piano dello scontro frontale tra animalisti ed allevatori o tra carnivori e vegetariani e vegani, più di tutto, nella puntata sugli allevamenti di bufale in Campania, mi ha colpito una frase in particolare.
La vergogna della terra dei fuochi resta un fenomeno già da tempo tristemente noto (eco balle comprese) e neppure le angherie subite da quelle bestie inermi (di cui ero al corrente da allevatore e da giornalista) mi hanno indignato quanto l’affermazione gonfia di miseria e ipocrisia del proprietario di uno degli indegni allevamenti visitati dalla truppe. Messo al cospetto dell’evidenza, per giustificare l’ignobili ammasso di carcasse di bufalini lasciati morire di fame poiché maschi e dunque inutili ai fini della produzione della gustosa mozzarella, se ne esce con una di quelle perle degne di un sobbalzo dalla poltrona:-“Mia mamma c’ha avut l’infart, mio padr è anzian e siamo dovuti star appers a loro ultimament. In azienda c’erano solo gli indiani che non sapevano che fare ed hanno combinato ‘sto casino!”.
Agghiacciante.
Le centinaia di migliaia di cittadini indiani che giornalmente da circa due decenni si adoperano nei nostri allevamenti, caseifici, malghe d’altura, alpeggi e pascoli, nonché tra i tratturi di ciò che resta delle antiche transumanze, rappresentano quanto di meglio queste bestie possano auspicarsi. Aldilà della sacralità che riconoscono alle vacche (nella maggioranza induista), gli indiani basano il loro operato su un rispetto generalizzato nei confronti di ogni animale, dal cane al gatto, dal pulcino al cavallo.
Denotano grande calma e pazienza oltre a capacità lavorative di settore mediamente superiori. La maggior parte di loro si rifiutano persino di spennare qualche vecchia gallina o piccione, di sgozzare agnelli a pasqua o capretti a Natale e non per credo religioso. Alcuni di loro sono diventati soci di aziende e di importanti consorzi caseari come quello del “Parmiggiano-Reggiano” e della “Grana Padano”. Sono abilissimi casari e lavoratori sensibili ed instancabili. Totalmente il contrario dell’immagine che goffamente avrebbe voluto dare di loro quell’allevatore casertano.
A quell’allevatore augurerei di acquisire solo un briciolo dell’umanità e della gioia interiore di questa gente. Quelle terre dimenticate non sarebbero apparse così insalubri, i cumuli di rifiuti avrebbero cessato di innalzarsi e ardere e quei bufali, maschi e femmine, avrebbero vissuto di sicuro un’esistenza mille volte più degna.
Con ogni probabilità sarebbe successo questo se lì ci fossero stati solo gli indiani.
(A cura di Antonio Gabriele, Monte Sant’Angelo 30.03.20179