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Adozioni, Corte Europea condanna Italia

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
9 Ottobre 2012
Casi e Sentenze //

Adozioni internazionali (fonte image: ivostrisoldi.it)
Adozioni; Corte europea condanna l'Italia (fonte image, archivio: ivostrisoldi.it)
Roma – L’ITALIA non rispetta la Convenzione dei diritti dell’uomo in materia di adozioni. È quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentenza del 25 settembre 2012 (ricorso 33783/09) con la quale ha condannato l’Italia poichè, per i giudici di Strasburgo, la legge 183 del 1984 è contraria alla convenzione nella parte riguardante il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini.

Ha chiarito la Corte di Strasburgo che è contraria alla Convenzione una legge che impedisce a chi è stato abbandonato alla nascita di conoscere le circostanze in cui la nascita stessa è avvenuta, nonché di conoscere l’identità della madre. È una sentenza avente portata storica, con la quale la Corte prova a bilanciare due diritti ugualmente rilevanti, ma contrapposti: da un lato quello della madre all’anonimato, dall’altro quello del figlio ad apprendere un elemento importante della propria identità. Ora l’Italia, avendo ratificato la convenzione, è tenuta a modificare la normativa concernente al “diritto all’oblio”, che assicura una protezione assoluta all’anonimato della madre, in quanto considerato contrario all’articolo 8 della Convenzione europea, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

La storia ci racconta di una donna, abbandonata alla nascita dalla madre, dopo un periodo in orfanotrofio, veniva adottata da una famiglia. Divenuta adulta, aveva cercato di ottenere informazioni sulle circostanze della nascita e sull’identità della madre, ma le autorità nazionali avevano respinto la sua richiesta. Ogni tentativo in questa direzione – portato avanti anche dopo molti anni, fino a quando la donna aveva 63 anni – era fallito. Di qui il ricorso alla Corte europea, che ha dato ragione alla ricorrente, bocciando la legislazione italiana.

Ma cosa ha stabilito la Corte: “ha riconosciuto che il diritto a conoscere le proprie origini rientra in quello all’identità personale che è protetto dall’articolo 8 della Convenzione, in quanto elemento essenziale della vita privata e familiare di un individuo”. Non solo. Il desiderio di sapere quali sono le proprie radici non si estingue nel corso degli anni. Ciononostante ha ammesso la sussistenza di un diritto della madre a non svelare la propria identità, diritto che può essere legittimamente tutelato sul piano nazionale anche per evitare il ricorso all’interruzione di gravidanza o all’abbandono del minore, senza alcuna garanzia per la salute della madre e del neonato.

Il punto, afferma la Corte, è che l’Italia mette da parte ogni bilanciamento dei diversi interessi in gioco e introduce nel proprio ordinamento “una protezione assoluta dell’anonimato della madre, senza contemperarla con le esigenze del bambino, che, cresciuto, vuole venire a conoscenza di elementi della propria identità”. Ecco la novità. In poche parole si deve affermare una maggiore discrezionalità in favore dei giudici che dovranno stabilire qual è il diritto preminente da tutelare.

“La Corte, accertata la violazione della Convenzione, ha riconosciuto un indennizzo di 5mila euro per i danni non patrimoniale (la richiesta era stata di 250.000 euro) più 10.000 euro per le spese. Inevitabile, poi, una modifica legislativa, proprio per evitare condanne a ripetizione da parte della Corte europea”, dice l’Avv. Claudio Sansò, Coordinatore Nazionale AMI
Presidente AMI SALERNO.


Redazione Stato

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