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GEMMELLARO Henri de Toulouse Lautrec

Parigi 1881 – 1901

AUTORE:
Ferruccio Gemmellaro
PUBBLICATO IL:
24 Aprile 2024
Cultura // Manfredonia //

L’esposizione rodigina, a cura di Fanny Girard, Jean-David Jumeau-Lafond e di Francesco Parisi, pone in corretto risalto la vita e le opere di Henri de Toulouse Lautrec, sovente poste in una dimensione marginale, ostentandone i manifesti in Liberty e le riprese dei nottambuli gaudenti nelle notti della Ville Lumière.
Gli autori hanno dunque scenografato una pregevole esposizione nel Palazzo Roverella, attenti a ricomporre una magnificenza della Belle Époque, le cui tessere sono da ricercare nelle immagini realizzate dagli artisti a essa contemporanei.

La rassegna, inoltre,è ben commentata, oltre dai curatori, da Johann Naldi, Bertrand duVignaud de Villefort, Mario Finanzi e da Nicholas Zmelty.

Il visitatore, pertanto, può ammirare, tra un dovizioso assortimento di duecento firme, di cui sessanta di Lautrec, opere di Edgar Degas, Pablo Picasso, Pierre Bonnard, Paul Signac, e non mancano gli italiani quali Giovanni Boldini di Ferrara, Federico Zandomeneghi di Venezia, Giuseppe De Nittis di Barletta, tutti spentisi in Francia; l’insieme dell’allestimento artistico è suddiviso in undici sezioni e ognuna racchiude una perfetta ambientazione a soggetto: Paris la villespectacle, La formazione di un artista, Le peintresdu petit boulevard, Sur la scène, I paradisi artificiali, L’invenzione del cabaret artistico: Le Chat Noir, Lesartsincohérents: una rivoluzione gioiosa, Elles, Gli amici letterati e artisti, I muri degli artisti, La rivoluzione grafica.

Ne facciamo una succinta sintesi delle opere e degli autori prima di inoltrarci nella sfera di Lautrec.

Il parigino Edgar Degas è presente nella sezione ‘La formazione di un artista’ col carboncino e pastello “Étude de danseuses”1895 (collezione Liliana Regina Tieger), uno studio su due ballerine in primo piano con le braccia piegate e sollevate nel ricomporsi i capelli, di cui una è del tutto nuda e tracciata in scuro e la seconda in sanguigno, e dove nel fondo sono schematizzate altre in eguale posizione; la scelta dell’artista di votarsi al tecnicismo grafico, dopo l’utilizzo dell’olio, sarebbe nata per una sua disfunzione agli occhi.

Il malacitano Pablo Picasso è in ‘Sur la scene” con il pastello su tela e carta “Yvette Guilbert-Bouquet de fleurs”1903, uno pseudo-dittico in collezione privata. La figura femminile, per lo più sfocata in un interno indecifrabile, ritratta in abito lungo e scollato, è appena reclinata quasi diagonalmente e dal viso traluce con dolcezza un sorriso nel fissare il riquadro sottostante, che l’artista ha intitolato “Bouquet de fleurs”, schematizzato con diverse tonalità, un espediente artistico posto successivamente per rivestire senza meno un danno.

Ancora nella sezione ‘Sur la scène’ è posto l’olio su cartone “L’Écuyère” 1894 (collezione The Philips, Washington D.C.), del francese nato a Fontenay-auRoses, Pierre Bonnard, già artista dei Nabis;infatti, nel 1889 al caffè Volpini di Parigi aveva partecipato a un’esposizione dei Nabis con i lavori di Bernard, Paul Sérusier e Gauguin.Di quest’opera esposta a Rovigo, vi è unna seconda versione del ’97 custodita nel Museo d’Aix-les Bains in Savoia. Vi appare l’immagine di una cavallerizza allungata ben salda sul dorso del corsiero in galoppo. La luminosità della donna e dell’equino sono in netto contrasto con lo scurismo della visione di uno scarso pubblico che osserva e il tutto appare in una forma dai lineamenti confusi, elementari. Un movimento artistico, questo dei Nabis, infatti, alla ricerca della sintesi formale,in cui la descrizione delsoggetto passa in secondo piano rispetto alla disposizione dei colori, i quali devono attrarre subito l’attenzione dell’osservatore, plasmando in lui un modello dall’accezione irripetibile.

Del pariginoPaul Signac, in ‘Amici letterati e artisti’, vi è l’olio su tavola “Portrait de Gabriel Fabre” 1889, in cui il musicista – compositore assai noto negli ambienti simbolisti – è ritratto mentre è intento sui tasti del pianoforte; il movimentoimpresso alle mani e alle dita appare suggestivoper un certo realismo e dove lo si può notare anche traspirante dal viso, pur esso sfocato. Il tutto è segnato da una insistenza di pennellate verticali, alcune curvate, decisamente più scure della tonalità prevalente nell’opera, quasi una miscellanea delle sue saggiatetecniche, quali Puntinismo, Impressionismo e Divisionismo.

DelferrareseGiovanni Boldini, nella sezione ‘Paris, la ville spectacle’,è da soffermarsi sull’olio “Scène de fète” del 1889, in dubbio tra l’avermarcatoil Moulin Rouge o leFolies Bergère, un coloratissimo tripudio di personaggi in affollata promiscuità tra il rosso prevalente della pittura; l’opera appartiene al museo parigino d’Orsay. Una forma, la sua, che lo afferma quale interprete emblematico della Belle Epoque.

Il pastello “L’attente (in attesa)”1898 dell’impressionista veneziano Federico Zandomeneghi (dal Palazzo Tè di Mantova) è appaiato con “L’attesa” 1883 (Galleria Bottegantica di Milano) del barlettano Giuseppe De Nittis, definito ‘il pittore delle parigine’,

entrambi nella sezione ‘La formazione di un artista’.

Due distinte opere di figura femminile seduta ma ognuna in diverseespressioni di riflessione, attendendo qualcuno o qualcosa; la prima in una sorta di rilassatezza e la seconda quasi di rassegnazione.

Il veneto Zandomeneghi ha preferito il verde en plein air dei campi sotto un cielo di nubi lacerati da azzurro, quale conato del suo impressionismo, e le tinte dell’abito e della chioma si armonizzano con quella di un caseggiato confinato nel profondo piano. Il pugliese De Nittis ha scelto, invece, la luce del bianco tersosia per l’abito scollato della donna, verosimilmente la moglie francese Léontine, sia per lo sfondo credibilmente casalingo, una tenda a cascata chiusa, sebbene appaia una breve frazione di verde prato sottostante; opera in cui si avverte l’influenza tecnica d’arte giapponese che l’artista aveva sperimentato. Il presentimento segnato nel viso della donna non può sfuggire al pensiero nell’osservatore che da lì a un anno avverrà la scomparsa del coniuge.

Non si può fare a meno di correre a un altro suo dipinto tragli ultimi, “Colazione in giardino” 1883, in cui appaiono la moglie col figlio Jacques e il suo posto apparecchiato metaforicamente senza di lui, che sarebbe deceduto l’anno dopo. Il capolavoro in olio su tela è visibile nella pinacoteca del Palazzo della Marra a Barletta, fra la collezione donata da Léontine.

Il francese Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa nacque il 1864 ad Albi in Occitania da una famiglia di nobile discendenza. I suoi genitori, il conte Alphonse-Charlese la contessa Adèle ZoëTapié de Céleyran, erano primi cugini, figli di sorelle, madri degli sposi, nella tradizione di serbare così la purezza del sangue aristocratico.

“Tieni sempre a mente, figlio mio, che soltanto la vita all’aria aperta e alla luce del giorno è davvero salutare: qualunque essere, privato della libertà, si immiserisce e muore in breve tempo…”

Queste parole furono l’insegnamento morale del padre Alphonse ma che Henri non seppe o non volle seguire, imprigionatosi nell’oscurità dei cabaret, sino a divenire un bohèmien avido di catturare nei suoi ritratti qualsiasi immagine che lo ammaliasse nel turbine delle notti parigine.

La propedeutica artistica la dovette ai corsi di Léon Bonnat, insigne e popolare pittore dell’epoca e che in seguito avrebbe formato Edvard Munch. Nel 1982, Lautrec modella “Académie”, una coppia di nudi in cui lei, su uno sgabello, si pone mostrando la schiena, volgendo lo sguardo altrove per non incontrare il pene dell’uomo in piedi frontalmente accanto; verosimile qui un cenno di pudore dello stesso artista, che lo proietta sulla figura femminile. Un’opera accademica che non si discosta dall’interesse allora ricorrente per il naturalismo, custodita nel museo del suo paese natale, Albi, a lui intitolato.

Nel 1884, a vent’anni, Lautrec, dopo essere transitato dall’atelier di Fernand Cormon, “il pittore da salotto” dallo stile accademico, ne fondò uno tutto suo a Montmartre; una scelta che mise in apprensione sua madre, data la nomea di un suburbio frequentato da una popolazione amante dei cabaret, dei café-chantants e delle case di tolleranza.

Oltre al problema sanitario di una disostosi congenita sorta per la sua nascita dall’amplesso tra consanguinei, causa certamente della sua deformità simile al nanismo, la patologia, un danno cerebrale che lo avrebbe trascinato dalla sedia a rotelle alla morte ad appena 37 anni, si era certamente aggravata nel disordine delle frequentazioni; si spense tra le braccia della madre disperata, a Malromé, nel castello di famiglia, dove, ormai con la morte addosso, aveva cercato l’ultimo anelito di sopravvivenza.

Tra le sessanta sue opere esposte a Rovigo, in una sorta di percorso dall’impressionismo al postimpressionismo per toccare l’Art Nouveau, ne scorriamo alcune, nell’intento di alludere alla cronologia iconografica.

Nel 1881 ritrae sua madre in “”Adèle Tapiè de Celeyran” dal dignitoso aspetto, seduta al tavolo e che osserva la tazzina col piattino posta tra l’una e l’altra mano, le sole appoggiate sul piano, in una gestualità da vera signora. Il candore dell’abito illumina la scena dell’interno casalingo. L’opera è nel museo di Albi.

Nel 1884, l’anno del suo incigno professionale, ritrae ancora sua madre in “Comtesse Alphonse de Toulouse-Lautrec”, questa nel Museo de Arte de São Paulo, ancora in bianco con camicione merlato, su una panca all’aperto e nell’immancabile portamento col busto ritto, aristocratico; l’insieme della composizione non lascia spazio diverso dall’ostentare un variopinto scenario della natura. Poi volge l’attenzione sullo zio Charles e ne fa il grafico “Portrait de Charles de Toulouse Lautrec”, che ha le sembianze, o vera rassomiglianza, di un suo autoritratto, oggi in collezione privata.

Dopo due anni, pare smarrire l’eticità della famiglia, più della genitrice; se ne discosta ed ecco che dipinge, in una dimensione postimpressionistica, “Artilleur et Femme”, tela esposta nel museo di Albi. Personaggiricchi di colore ma dai visi appena delineati, entrambi enucleati da un campo sfumato, in atteggiamento che potrebbe essere interpretato come uno scambio di battute dopo l’atto appena consumato o in procinto d’esso.Il giovane artista non è ancora del tutto avviluppato dalla viziosità delle notti e pertanto intenderebbe di essere molto meno esplicito di Degas nel suo “Dans le salon d’une maison close” del ’79, in cui è ritratta la donna,voltata ancora nuda,mentre si sta riasciugandole natiche con un andamento di fiacchezza.

Nello stesso periodo dipinge “A Grenelle, buveused’absinth” una giovane al tavolino, dove è posato un bicchiere di assenzio; dal volto carico di mestiziasortisce uno sguardo fisso nel nulla, avvisaglia di un certo alcolismo conduttore di allucinazioni. L’opera si potrebbe interpretare come un inconscio richiamoalcomportamento dell’autore; possibile, tuttavia, un impulso di scacciarne l’abuso ma che non se ne sottrarrà mai.Il bianco luminoso della camiciola sbracciatadiscorda da una triste tonalità invasiva, la metafora di una esistenza oppressa. Il quadro è a Bogotà nel museo Casa de la Moneda.
Il 1887 propone l’olio su tela “AuBalmasquéà a l’ÉliséeMontnartre”, che coglie una coppia, lui in cilindro e frac che cinge col braccio la vita della donna, la quale indossa una sorta di appariscente culotte chiara in un tutto sfumato con rapide pennellate, a mostrare la nudità delle gambe sino all’attacco delle natiche.

Nel 1891 Lautrec è ormai ben riconosciuto tra cabaret e case con filles de joie, quella coreografia che lo ispira; appare allora il suo famoso manifesto, “Moulin Rouge-La Goulue et Valentin le Dèsossè”, dedicato in carboncino alla famosa coppia di ballerini del locale, Lousie Weber e Jacques Renaudin,“Louise la golosa” e “Valentin il disossato”,una composizione di tratti meno precisi ma con riferimenti essenziali; nel 1894 è la volta del postribolo“AuSalon de la rue des Moulins”, pastello su carta, dove sono ritratte delle donne, giovani o meno, in attesa sui divani rossi. Le loro fattezze sono ben curate e le posture assumono un netto verismo; pregevole la donna in primo piano, che si evidenzia con l’indumento chiaro rispetto alle tonalità anche in nero delle compagne, e che con la mano regge il ginocchio della corrispondente gamba piegata sull’altra allungata verso il pavimento, in maniera civettuola, così da scoprire in essa un lembo di carne sopra la calza nera. Entrambi i lavori sono nel museo di Albi.

L’anno seguente crea l’olio su tela “La Dansemauresque o LesAlmées. Panneaux de droite pour la baraque de la Goulue, à la Foire duTrône à Paris” una sorta di opera trionfale in cui emergono in primo piano il cugino dottor Gabriel Tapié de Céleyran, il fotografo Maurice Guibert, lo scrittore Oscar Wilde, Jane Avril famosa ballerina del Moulin Rouge, Lautrec e il giornalista critico letterario Félix Fénéon” tutti compagni della notte a contemplare la danzatrice accompagnata dal ritmo degli strumenti di una coppia in costume orientale e dal suono del pianista che appare distanziato a sinistra. I personaggi e la scenografia sonocomunque distinguibili ese nel pannello si tracciano due diagonali a ics, la danzatrice è focalizzata nel triangolo superiore, in apparenza prospettica sul capo di Jane, e pare che l’autore abbia voluto assegnare sia a essa che alla suonatrice l’evidenza dei toni più vivaci rispetto al modesto cromatismo della scena.

Un’opera, questa, esposta al Musée d’Orsay, che incute la sensazione dell’addio ai compagni e ai paradisi artificiali.
Alla vigilia del nuovo secolo, dunque, l’Art Nouveau o stile Liberty cattura gli artisti, tra i quali non manca Lautrec, che in ogni caso si attarda sulla disciplina grafica, in particolare manifesti, incisioni e illustrazioni.

All’alba del Novecentosi discosta per davvero dai paradisi artificiali, per cimentarsiin unarinnovata e depurataiconografia, ed elabora, poco prima della sua scomparsa,“UnExamen à la faculté de médicine de Paris” 1900, anche questa oggi ad Albi, un tentativo, forse, di esorcizzare il presentimento della sua imminente fine.

Un’opera comprensibile nei particolari scenografici e nei personaggi, pur dalle tinte cupe eccetto il rosso sulla “divisa” dell’esaminatore; unarigenerata peculiarità di bellezzache la morte prematuranon gli ha concesso di applicarvisi, cristallizzandolo nel ‘pittore dei cabaret’.

Ferruccio Gemmellaro
Meolo città metropolitana di Venezia
8 aprile 2024.

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