Il tema del caporalato emerge spesso, soprattutto in seguito a tragedie come quella di Satnam Singh. Tuttavia, per andare oltre la cronaca e trovare soluzioni sistemiche, è necessario comprendere le basi normative che hanno permesso a questa piaga socio-lavorativa di prosperare.
Storia del caporalato in Italia
In un contesto globale, il caporalato ha radici nella tratta degli schiavi nelle Americhe, fondata sulla negazione dei diritti e della dignità umana. In Italia, il fenomeno appare agli inizi del Novecento. Già nel XIX secolo, con i cosiddetti “gabellotti” della mafia siciliana, esistevano figure simili ai caporali.
Negli anni Settanta, accanto alla figura del caporale legato alle grandi aziende agricole, emerge il “caporale puro”, un intermediario di manodopera che organizza squadre di lavoratori e incassa una percentuale sulla giornata lavorativa e sul trasporto. Questo caporale attua forme di violenza e sudditanza psicologica, segnando l’inizio di una negativa evoluzione del fenomeno di sfruttamento.
Fino a circa vent’anni fa, il caporalato riguardava principalmente lavoratori italiani, vittime di una sudditanza psicologica occupazionale: “Devo essere bravo e fare regali, così il caporale mi fa lavorare”. Le commissioni di collocamento, attraverso liste di disoccupati stilate dai sindacati, limitavano parzialmente il fenomeno. Tuttavia, alcune aziende continuavano a rivolgersi ai caporali.
Dagli anni Novanta, il caporalato riaffiora con forza, assumendo forme sempre più invasive, fino a toccare la gestione materiale della vita dei lavoratori sfruttati.
Il ruolo del collocamento pubblico
Il collocamento pubblico, istituito con la legge n. 264 del 29 aprile 1949, regolava la mediazione nel mercato del lavoro, affidando questa funzione allo Stato e prevedendo sanzioni penali per gli intermediari privati. Le aziende dovevano richiedere lavoratori attraverso un ufficio di collocamento che stilava liste di disoccupati. Con il tempo, diverse leggi modificarono questo sistema, liberalizzando progressivamente il mercato del lavoro.
La liberalizzazione del mercato del lavoro
Dagli anni Settanta, la legge n. 83 del 1970 e lo Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970) introdussero modifiche che culminarono nella completa liberalizzazione delle assunzioni con la legge n. 609 del 1996. Questa riforma aprì le porte agli intermediari privati. La riforma Bassanini trasferì le funzioni del collocamento pubblico alle regioni e alle province, mentre la legge Biagi e il Jobs Act del governo Renzi completarono la deregolamentazione del mercato del lavoro, indebolendo le tutele esistenti e favorendo ulteriormente l’intermediazione privata.
Considerazioni e proposte
Per contrastare efficacemente il caporalato, è evidente che bisogna ripristinare il ruolo regolatore dello Stato. Tuttavia, questa soluzione deve bilanciarsi con gli interessi del mondo imprenditoriale. Occorre trovare soluzioni miste che combattano lo sfruttamento, riconoscendo diritti certi ai lavoratori, come l’assunzione e la copertura assicurativa, e valorizzando eticamente il settore agricolo.
Rilanciare il settore agricolo deve avvenire attraverso l’etica e la valorizzazione delle produzioni, non tramite la riduzione dei diritti dei lavoratori.
Lo riporta Valori.it