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ESTORSIONE Foggia, Lazzaro D’Auria: simbolo della ribellione al racket

Lazzaro D’Auria, classe '66, imprenditore agricolo, da sette anni è sotto scorta e rappresenta l'emblema della ribellione al racket nella terra della quarta mafia.

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
10 Luglio 2024
Cronaca // Foggia //

FOGGIA – Due simboli, due versioni contrastanti, sullo sfondo di una storia di estorsione coinvolgente nomi di spicco della “Società foggiana”. Da un lato c’è Lazzaro D’Auria, classe ’66, imprenditore agricolo campano con interessi a Foggia e provincia. Da sette anni è “sottoposto a protezione di terzo livello rafforzata con auto blindata e 3 carabinieri a bordo”, rappresentando l’emblema della ribellione al racket nella terra della quarta mafia. Nel 2016, D’Auria denunciò i clan per una richiesta di pizzo di 200mila euro, seguita da due anni di minacce e intimidazioni, portando all’arresto e alla condanna definitiva di cinque persone, inclusi Rocco Moretti, classe ’50, uno dei nomi più noti della “Società foggiana”, condannato a 4 anni e 8 mesi.

Dall’altro lato, c’è Giuseppe Francavilla, classe ’78, noto come “il capellone”. Per vent’anni ai vertici del clan Sinesi/Francavilla, gestendo estorsioni e cassa, Francavilla rappresenta la vittoria dello Stato sull’antistato: sommerso da condanne, ha accettato la sconfitta, diventando il più importante pentito della “Società” dal ’92 a oggi. Dal 31 gennaio 2024, collabora con la giustizia. Francavilla ha dichiarato che D’Auria chiese aiuto ai clan per sgomberare gli abusivi che occupavano i 197 ettari di terreni comunali a Borgo Incoronata, terreni del valore di 3,6 milioni di euro che aveva acquistato. Secondo il pentito, D’Auria si impegnò a versare ai clan Sinesi/Francavilla e Moretti 200mila euro e una decina degli ettari acquistati.

Queste due versioni contrastanti di vittima e pentito sono al centro del processo in corso a Foggia da cinque anni, contro Giovanni Putignano, classe ’78, di Torremaggiore, imputato di concorso in tentata estorsione da 200mila euro. Difeso dagli avvocati Francesco Santangelo e Andrea Imparato, Putignano respinge le accuse. D’Auria lo ha indicato come una delle tante persone – tra cui il capo-clan Moretti e il pari grado sanseverese Giuseppe La Piccirella, condannato a 3 anni, 6 mesi e 20 giorni – che nel luglio 2017 lo minacciarono nelle campagne di Apricena.

All’epoca dell’incontro nelle campagne, D’Auria era già stato minacciato per 18 mesi con una richiesta di pizzo di 200mila euro. “Mi vennero vicino Moretti e il signor La Piccirella,” ha testimoniato D’Auria, “e iniziammo un dibattito sulla somma da pagare. Dopo molte trattative, cercai di ridurre l’importo a 20/30mila euro, ma Moretti sembrava voler accettare una cifra tra 150mila e 30mila euro. Tuttavia, La Piccirella insistette su 150mila euro l’anno perché ‘nessuno ti ha mai rotto le scatole’. Risposi offrendo 50mila euro, ma fu inutile. Mi dissero di non andare dai carabinieri e mi minacciarono, ricordandomi la fine del mio amico Lombardozzi.”

Matteo Lombardozzi, dipendente di D’Auria che cercò di convincere gli estorsori che l’imprenditore non aveva tutti i soldi richiesti, fu ucciso il 14 luglio 2017 in un agguato di mafia rimasto impunito.

Francavilla ha raccontato che, nella primavera del 2016, ebbe un incontro con D’Auria in via Telesforo. “C’eravamo io, Rocco Moretti e altre tre persone. D’Auria ci chiese di liberare i terreni che aveva acquistato, occupati abusivamente. Facemmo un accordo di 200mila euro e una decina di ettari, ma non si arrivò mai alla fase esecutiva a causa della nuova guerra tra i clan Sinesi/Francavilla e i Moretti. Il mio posto fu preso dai sanseveresi, il clan La Piccirella, che iniziarono atti intimidatori verso D’Auria. Ordinai attentati contro gli agricoltori per liberare i terreni.”

D’Auria ha smentito qualsiasi sua richiesta ai clan, sostenendo che gli occupanti furono sgomberati solo grazie all’intervento delle forze dell’ordine, e non per avvertimenti mafiosi. “Ci volle più di un anno per ottenere lo sgombero,” ha detto. Non denunciò subito l’incontro con Moretti nel 2016, ma lo fece nel giugno successivo dopo essere stato minacciato e schiaffeggiato da tre sconosciuti armati, “per paura. Poi ho denunciato tutti gli episodi estorsivi.”

Due simboli, due verità contrastanti.

Lo riporta Lagazzettadelmezzogiorno.it

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