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KHADY Un’immigrata alla guida della Caritas di Foggia. È Khady Sene

Nel 2013, inizia a fare volontariato alla Caritas di Foggia

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
17 Settembre 2024
Cronaca // Foggia //

Khady Sene, 31 anni, senegalese, è la nuova direttrice della Caritas di Foggia. È la prima donna immigrata a ricoprire questo ruolo in Italia, ed è anche la più giovane a dirigere una Caritas diocesana. Arrivata in Italia nel 2012 per motivi di studio, Khady è stata nominata dall’arcivescovo di Foggia-Bovino, don Giorgio Ferretti, in riconoscimento del suo decennale impegno accanto agli ultimi. È una storia che parla di coraggio, determinazione e impegno sociale.

Dopo il diploma in lingue ottenuto in Senegal, Khady si trasferisce in Italia con l’obiettivo di proseguire gli studi. Tuttavia, una volta a Foggia scopre che il suo titolo di studio non viene riconosciuto. Questo imprevisto non la scoraggia: si diploma da privatista, prima alle scuole medie, poi in una scuola serale in finanza e marketing, mentre di giorno lavora come receptionist per mantenersi. Nonostante il lavoro intenso, Khady continua a inseguire il suo sogno e si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, senza mai abbandonare l’idea di laurearsi.

Nel 2013, inizia a fare volontariato alla Caritas di Foggia. L’impatto con la realtà locale è forte: scopre la difficile condizione di migliaia di migranti che vivono nei ghetti, spesso vittime di sfruttamento e criminalità organizzata. Khady si sente subito chiamata a intervenire e, con una fede profonda, interpreta questo incontro come un segno del destino. Da volontaria diventa mediatrice culturale, poi operatrice, finché assume la responsabilità dei progetti Presidio e Sipla, focalizzati sulla tutela dei diritti dei migranti.

Lo riporta l’Avvenire.

La sua vocazione è sempre stata quella di essere presente sul campo. “Ho scelto di lavorare nei ghetti perché sentivo il bisogno di vivere quella realtà da vicino,” spiega Khady. Il suo impegno è concentrato soprattutto sui temi del lavoro, creando collaborazioni con imprese e istituzioni, e instaurando un dialogo costruttivo con le forze dell’ordine per facilitare il rilascio dei permessi di soggiorno.

Una delle storie più significative del suo percorso è quella di Kemo, vittima di un’aggressione razzista nel 2019. Khady lo ha seguito durante tutto il suo percorso di guarigione, prima in ospedale e poi accogliendolo in Caritas, aiutandolo a ricostruire la sua vita fino a diventare autonomo, con una casa e un lavoro.

Ora, come direttrice, Khady dovrà organizzare e coordinare l’intero staff della Caritas diocesana, portando avanti i progetti già avviati e creandone di nuovi. È un compito impegnativo, ma lei è fiduciosa: “Il vescovo ha a cuore molti progetti, e li realizzeremo insieme alla comunità.” Il suo sogno per Foggia è quello di una città unita, capace di vivere in armonia. “Il mio lavoro non è mai stato quello di dividere, ma di unire,” afferma, confermando la sua volontà di coinvolgere le parrocchie e le organizzazioni locali per costruire una rete solida di solidarietà.

Khady è consapevole della percezione che molte persone hanno di lei come “la direttrice degli immigrati”, ma tiene a sottolineare che il suo impegno andrà ben oltre le questioni migratorie. “Il mio ruolo non sarà limitato agli immigrati, ma a tutti coloro che hanno bisogno di aiuto.”

Nonostante le sfide, Khady ha sempre affrontato le difficoltà con ottimismo e resilienza. Riconosce di non aver mai subito gravi episodi di razzismo, anche se ammette che occasionalmente si è sentita diversa. Tuttavia, ha imparato a non dare peso a questi episodi, preferendo concentrarsi sulla solidarietà e sull’accettazione che ha trovato nella comunità. “Temevo qualche commento negativo alla mia nomina, ma non ce ne sono stati. C’è tanta gente che va oltre il colore della pelle, e questo mi dà forza per andare avanti.”

Il suo lavoro alla Caritas la porta a confrontarsi con storie di grande sofferenza, ma anche con momenti di riscatto. Tra i ricordi più dolorosi, c’è quello di Emmanuel, un giovane del Ghana che Khady ha assistito fino alla sua morte. Ma ci sono anche storie di successo che le danno speranza: come quella di una giovane donna salvata dalla tratta insieme al suo bambino, oggi autonoma e con una vita stabile. “La tua nomina è un riconoscimento per tutti noi,” le ha detto questa ragazza, parole che Khady ricorda con emozione.

Khady non dimentica il dramma dei ghetti, una realtà che l’ha profondamente colpita fin dal suo arrivo in Italia. Visitando per la prima volta il ghetto di Torretta Antonacci, ha provato un forte disagio, sapendo che, mentre lei tornava a casa in un ambiente sicuro, migliaia di persone vivevano in condizioni disumane. È per questo che il suo impegno per il superamento dei ghetti prosegue con determinazione. Recentemente, ha partecipato a un tavolo di discussione con il prefetto e varie organizzazioni, esprimendo la speranza che i nuovi progetti abitativi non diventino “ghetti d’oro”, ma vere opportunità di integrazione per i migranti.

Il sostegno della sua famiglia, rimasta in Senegal, è forte. Khady è la prima della sua famiglia a continuare gli studi e a impegnarsi attivamente per i diritti degli ultimi. Per questo motivo, la sua nomina è motivo di orgoglio non solo per lei, ma per tutti coloro che la sostengono nel suo cammino.

Lo riporta l’avvenire.

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A settembre, c’è nell’aria una strana sensazione che accompagna l’attesa. E ci rende felici e malinconici. Un’idea di fine, un’idea di inizio. (Fabrizio Caramagna)

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