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Illegittimo “pubblicizzare” il proprio studio professionale a prezzi eccessivamente bassi

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
30 Novembre 2012
Casi e Sentenze //

(fonte image: btinf)
Foggia – CON la sentenza n. 19705 del 13 novembre 2012 la Suprema Corte di legittimità ha confermato la sanzione disciplinare irrogata dal Consiglio dell’Ordine nei confronti di alcuni avvocati, rei di aver diffuso col mezzo della stampa una pubblicità suggestiva in violazione delle norme di settore. In un primo momento la sanzione disciplinare era stata quella della sospensione dall’esercizio della professione per due mesi, successivamente il Consiglio Nazionale forense sostituiva alla suddetta sanzione, quella più clemente dell’avvertimento.

Nel merito tuttavia il CNF riteneva che sussistesse l’illecito disciplinare, poiché il messaggio pubblicitario inserito in un box su un quotidiano era connotato da slogan sull’attività svolta dal ricorrente, con grafica tale da porre enfasi sul dato economico e contenente dati equivoci, suggestivi ed eccedenti il carattere informativo, per cui il messaggio integrava modalità attrattiva della clientela con mezzi suggestivi ed incompatibili con la dignità ed il decoro professionale, per la marcata natura commerciale dell’informativa sui costi molto bassi.

Gli avvocati sono stati ritenuti responsabili dell’illecito disciplinare di cui al R.D.L. n. 1578 del 1933, che all’articolo 38 pone il divieto di commettere fatti non conformi al decoro e alla dignità professionale. Perciò era stato promosso il ricorso, che le Sezioni Unite hanno respinto per ciò che atteneva alla parte dell’illecito disciplinare, individuando alcuni punti fondamentali della vicenda.

La pubblicità informativa della propria attività professionale, avvisano i giudici, quanto alla forma ed alla modalità deve rispettare la dignità ed il decoro della professione e non deve assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa. Inoltre, l’articolo 17 bis del codice deontologico della professione forense stabilisce le modalità specifiche dell’informazione e l’art. 19 fa divieto di acquisizione della clientela con modi non conformi alla correttezza ed al decoro.

Ne consegue che la sanzione irrogata dal CNF è da ritenersi lecita, visto che l’organo professionale procedente ben può individuare una forma di illecito disciplinare (non certamente nella pubblicità in sé perfettamente legittima nel suo aspetto informativo ma) nelle modalità e nel contenuto della pubblicità stessa, in quanto lesivi del decoro e della dignità della professione, e non nell’attività di acquisizione di clientela in sé, ma negli strumenti usati, allorchè essi siano non conformi alla correttezza ed al decoro professionale.

Infine, continuano i giudici, va sottolineato che l’articolo 4 del D.P.R. n. 137 del 2012, che ribadisce la legittimità della pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, la struttura dello studio ed i compensi richiesti per le prestazioni non è applicabile nella fattispecie ratione temporis, potendo essere utilizzato solo ai fini di una corretta interpretazione della normativa vigente all’epoca dei fatti.

Tra l’altro, lo stesso articolo 4, al comma 2, stabilisce che la pubblicità deve essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria. Sulla base di questi presupposti, la Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione effettuata dal CNF.

(A cura dell’Avv. Eugenio Gargiulo)

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